Messico | Ferrocarril Barrancas del Cobre: dall’oceano al deserto


Los Mochis è una città fetida, vicino all’oceano ma non così tanto da avere l’incanto di una spiaggia o il fascino di un porto. Il porto è in una località dal nome curioso, Topolobambo, affacciata sul golfo di California, 25 km più a ovest, e qui attraccano le navi da La Paz. Chiudesse la stazione del treno, forse la gente si dimenticherebbe di Los Mochis, attrezzatissima per dare un letto a tutti i viaggiatori di passaggio e alquanto anonima durante il giorno, quando gli stranieri a spasso per le sue vie hanno per lo più perso il treno del mattino, e ciondolano annoiati per far venire sera, la brava guida sotto braccio e qualcuno un libro di Cacucci.

Da Los Mochis parte, una volta al giorno, il Ferrocarril Barrancas del Cobre. Si tratta di uno dei percorsi ferroviari più straordinari del mondo: dall’oceano Pacifico, attraverso ponti, gallerie, impalcature varie, sale fino al canyon del rame – il Barrancas del Cobre, appunto – e alle montagne, nella verde terra degli indios Tarahumara. La stazione fuori città si sveglia che non è ancora giorno. I viaggiatori arrivano alla spicciolata, chi a piedi chi in taxi. Alcuni hanno dormito davanti all’ingresso per assicurarsi un posto sul treno in classe economica. Se terminano i biglietti, si aprono le porte della “primera express”, a prezzi non proprio popolari, ma in ogni caso soldi spesi bene. Chi dorme davanti alla stazione non è solo, visto che alle tre di notte, puntuale da tanti anni, arriva l’auto del vecchio che prepara i tacos, anch’essa un prodigio di ingegneria termoelettrica self-made: bagagliaio segato in due per dare spazio alle piastre e una stufa a legna con camino.

Il treno parte tra le sei e le sette del mattino. Parte a fatica, rumoroso e lento. Lo superano gli insetti e lo rincorrono le farfalle. La gente, lungo la ferrovia, si sistema sulle sedie per vederlo passare. Il tragitto è lungo 652 km e viene coperto in 14-16 ore, ma qui tutti sono ben disposti a ritardare, appiccicati ai finestrini o affacciati al predellino. Grazie a 37 ponti e 87 tunnel, il treno supera un dislivello di 2400 metri, attraversando un paesaggio che passa dalle distese di cactus all’alta montagna, sino a piombare nuovamente nel deserto di Chihuahua. ? un viaggio dove si parla poco e si ammira molto, tanto la natura quanto la mano dell’uomo. A metà tragitto il treno si ferma per un quarto d’ora e le porte vengono aperte. Non siamo in nessun luogo in particolare, ma accanto alla ferrovia si profila il bordo del “Barrancas” e solo da qui è possibile abbracciare l’imponente sistema di 20 canyon che corrono fino all’orizzonte verde e azzurro. Diversi viaggiatori scendono con le tende e si accampano dove trovano. Aspetteranno il treno del giorno dopo per proseguire. Attorno, sul marciapiede e tra i binari, il mercato degli indios Tarahumara, sandali ai piedi ricavati dai copertoni, pelle dorata e vesti coloratissime. Il profumo delle focacce si mescola con quello degli abeti.

I Tarahumara, nella loro lingua, si definiscono rarámuri, ossia “uomini e donne che corrono”. Vivono in ripari naturali e si nutrono prevalentemente di mais e fagioli. Il controllore del treno, elegantissimo, mi spiega che questa gente non sa che cosa siano il cancro e le malattie cardiovascolari. Se scenderete a Creel avrete modo di conoscerli meglio. A 2340 metri di altezza, la cittadina di Creel, annoverata fra i luoghi magici del Messico, è la tappa più gettonata fra i viaggiatori del Ferrocarril. Il grosso infatti si ferma qui, a sei ore da Chihuahua, e qualcuno fa uno stop di un paio di giorni, qualcuno di settimane. Da Creel, fondata nel 1907 come semplice stazione ferroviaria, è possibile esplorare una miriade di sentieri fra cascate, abetaie e laghi, sino a scendere sul fondo del canyon, dove il clima torna subtropicale. Se poi amate meditare, inoltratevi sino alla vecchia missione di Sant’Ignazio, in un grande prato fra rocce, cavalli e grotte abitate dagli indios. Qui sono venuti in pellegrinaggio molti scrittori americani e non, cercando di fare propria l’energia e la pace del luogo. Forse ne vedrete qualcuno aggirarsi per il vecchio cimitero dei pionieri o cavalcare col diario in mano i massi a forma di rana. L’aria è buona per scrivere: c’è rumore solo due volte al giorno, quando passa il treno per il deserto seguito dal suo compagno verso il mare, in direzione opposta.

Testo e foto di Devis Bellucci

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