Molti villaggi della Galizia non sembrano spagnoli: se qualcuno venisse bendato e lasciato a La Faba, o a Ferreiros, probabilmente penserebbe di essere nella Nuova Zelanda del Signore degli anelli. Dev’essere tutto quel verde, bagnato e rigoglioso, che ribolle di alberi dalla corteccia grassa e ritorta, di cippi ricoperti di muschio e di prati abbaglianti. Ma O Cebreiro riesce comunque a essere un caso a parte, a sembrare letteralmente immerso nel brodo primordiale. È una sensazione strana, ma intuitiva, che forse può essere chiarita con un’idea ancora più strana: dicendo che, a Cebreiro, tutto brulica. Che persino le pietre per terra sembrano a un passo dallo sbocciare, come fiori.

Qualcuno lo ha definito “la porta della Galizia”, perché è il primo villaggio significativo che si incontra dopo aver superato la provincia della Castiglia. Santiago de Compostela è a meno di 150 chilometri, ma quassù, a 1300 metri, i pellegrini dimenticano la loro meta. Si guardano intorno: vedono le capanne di pietra e paglia, la nebbia densa che bagna le pendici del villaggio anche nelle giornate di sole e hanno la sensazione che O Cebreiro sia una meta più antica di Santiago. Una meta ancestrale. Lungo il sentiero che parte da Laguna de Castilla, migliaia di occhi di pecore, mucche, galline e maiali controllano, misteriosi, il passo del pellegrino. L’odore dolce e caldo dello sterco, degli orti e dei frutteti si fa sempre più corposo. Simboli druidici iniziano a comparire sulle cortecce degli alberi. D’altronde le capanne di paglia di segale sparse sulla vetta del Cebreiro sono pallozas ed è probabile che risalgano a cinque secoli prima dell’anno Zero, prima di Gesù, addirittura prima dell’arrivo dell’Impero Romano, quando la Spagna era abitata dai celtiberi. Si dice che O Cebreiro fosse il luogo iniziatico dei loro sacerdoti, che qui si esercitavano con le forze occulte della natura.
Per secoli questo luogo è stato loro, anche perché i celtiberi erano dei celti particolarmente tosti. Si ipotizza che mangiassero una sola volta al giorno, come gli animali. Che vivessero con noia la pace e che accorressero con euforia alla guerra. Scipione Emiliano lottò molti mesi per espugnare Numanzia, la loro città, e quando riuscì a sfondare le sue difese non trovò altro che una montagna di cenere di paglia e d’uomini. Come racconta Miguel de Cervantes, i celtiberi avevano preferito incendiare la città e loro stessi. È da quell’anno, il 133 A.C. che la latinizzazione della zona è iniziata e nei secoli successivi i druidi del Cebreiro sono stati sostituiti dai monaci benedettini e le croci celtiche da quelle cristiane.
Ma basta camminare per i viottoli di Cebreiro per sentire che qui il cristianesimo non si è fatto da solo e che non ha rimosso del tutto quel passato ancestrale. La chiesa di Santa Maria Real risale all’ XI secolo e la sua struttura è chiaramente preromanica. Ma sembra che i suoi mattoni siano stati impastati nello stesso brodo primordiale delle pallozas. La storia del Calix de Milagro, qui conservato, non è meno misteriosa. Si racconta che nel XIV secolo un contadino salì al Cebreiro sfidando una tormenta di neve titanica. Entrato nella chiesa, si accorse di essere in ritardo per l’inizio della messa e, mortificato, si mise in coda per ricevere l’eucaristia.

Il fatto suscitò il sarcasmo del prete, che voltandosi verso il sagrestano scherzò:“è incredibile quanta strada siano disposti a fare questi contadini, pur di addentare un pezzo di pane…”. Ma ecco che l’ostia iniziò a brulicare nelle sue mani e, in men che non si dica, si trasformò in carne vera e propria. La carne di Gesù, naturalmente. Un evento talmente miracoloso che, secondo alcuni presenti, portò la statua della Santa Maria a prendere vita per qualche secondo, per strabuzzare gli occhi.
Ancora un secolo dopo, nel 1488, Isabella la Cattolica si recò in pellegrinaggio e di fronte al Calix de Milagro pensò che era ciò di cui la Cattolicissima Spagna aveva bisogno, così lo caricò sulla propria carrozza e ripartì nella direzione di Madrid. Ma non appena i cavalli penetrarono nei boschi circostanti, una forza oscura si impadronì di loro. Non c’era verso di mandarli avanti, non volevano che il Calix lasciasse i boschi del Cebreiro.
Così adesso le reliquie del Calix sono ancora lì e i pellegrini che si trovano a guardarle, di colpo, ricordano di non essere nel villaggio di Panoramix, ma sul Cammino di Santiago. E dopo una notte nell’antico hospital, magari mangiando il cebreiro (formaggio tipico), possono riprendere la strada. Ormai a un passo dalla fine.
Testo di Elia Rossi| Foto web RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE.COM
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