Disavventure liquide

di Federico Formignani

Ne avevo sentito parlare come di un coinvolgente spettacolo della natura. Dalle pendici del monte, ricoperte di fresca vegetazione subalpina, nell’intrico di boschi ricchi di pini alti e forti  (alla mente, le foreste canadesi) il fiume ancora bambino si getta a capofitto lungo forre sempreverdi e saltella fra le sponde ingentilite da muretti di cemento armato che, di tanto in tanto, creano piccole pozze laterali nelle quali si specchiano, fra le brume grigie dei pennacchi di civettuole ciminiere, le vette immacolate (ma non troppo) dei monti. Più giù, in collina, attraverso case e superstiti cascine, prati e pendii orfani di mucche al pascolo, le acque scivolano paciose e risplendono di mille, indescrivibili colori; dove incontrano una conceria di pellame, assumono riflessi brunastri che rimandano alla visione di certi tratti del Rio Negro amazzonico, torbido e possente.

Fantastica è poi la visione sempre diversa delle sfumature cromatiche che venano il corso d’acqua; iridescenti serpentelli oleosi e violacei, dipinti dagli scarichi delle botteghe artigiane e da quelli delle fabbrichette che cromano metalli. Abbacinante il bianco immacolato (come non pensare al candore delle nevi eterne!) che si accumula nelle frequenti anse di un percorso a biscia e nei ripetuti intoppi di legni morti trasportati dalla corrente, che si uniscono ad una raccolta eterogenea di oggetti casalinghi scaraventati gioiosamente in acqua dai vari ‘fan’ della natura. Questo bianco artificiale si gonfia a formare nuvole vaporose alimentate dai residui di detersivi industriali e di variegati scarichi urbani. Talvolta, la superficie glauca della massa in movimento si accende sotto i riflessi del sole e disegna strisce d’arcobaleno ammalato.

Rifiuti nel Lambro

In alcuni tratti, sotto la grande città, il fiume vive un’entusiasmante vita diversa. Moderni Caronte ne percorrono il cammino, movimentato dalla presenza di una fauna stanziale (pantegane o vellutati castori?). Poi, quasi a volersi liberare degli effluvi e dei liquidi misteriosi, miscelati obtorto collo e accumulati nel percorso dal monte al piano, il fiume gonfio di pioggia straripa e cambia i destini del parco orientale della città, che diventa un lago. Ecco allora che le barriere di rive fangose, mal tenute da striminziti cespugli, vengono spazzate via e l’acqua irrompe dappertutto, impetuosa e felice. Felice come ai tempi di Bonvesin da la Riva (1250) quando pullulava di gustosi gamberetti; o all’epoca in cui Francesco Petrarca (1353) così la descriveva: ‘…a piè del colle scorre il limpidissimo fiume e benché piccolo, è capace di sostenere barche di ordinaria grandezza’. Ora il corso d’acqua assume sembianze di vero fiume e scivola veloce verso il suo destino. Fra un trionfo di aggrovigliate rive con robinie, sambuchi e romantici salici piangenti (memorie orientali di impenetrabili mangrovie) il Lambro, in frenetica discesa, con le sue acque cristalline e i suoi profumi pungenti, arriva al Po e miscelando i propri destini con quelli del grande padre di tutti i fiumi italiani, arriva diluito al mare. Con un po’ di fortuna, potrà farsi accompagnare dal nuoto impetuoso del pesce siluro. ? ff

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