Ubínam gentium sumus ?

di Federico Formignani

Non è facile come può sembrare rispondere all’interrogativo che si è posto Cicerone secoli fa. In quale luogo siamo? In ogni luogo e in nessun luogo, è la risposta. Una prima considerazione può portarci a identificare come luogo d’elezione quello in cui siamo nati o quello che, più frequentemente, ci viene assegnato dalla capricciosa roulette dell’esistenza. In entrambi i casi sarà un lembo di terra che per una somma di motivi ‘sentiamo’ nostro e pienamente rispondente ai personali bisogni e aspettative. Non sempre comunque questa ‘fisicità’ del luogo d’elezione assume una connotazione, appunto, fisica. Spesso ci affidiamo alla mente, alla fantasia, al sogno. Sarebbe un vero peccato non ricorrere a tali poderosi strumenti, mezzi propulsori per galoppi sfrenati, magiche fionde verso spazi infiniti che solo noi siamo in grado di immaginare, nascostamente nutrire, intimamente gustare.

Ecco allora che mi ritrovo ragazzo, quando i miei viaggi, i miei luoghi dei sogni, erano prevalentemente affidati alle paginette del mitico Calendario Atlante De Agostini oppure ai paginoni di un atlante un po’ vecchiotto. I vari paesi, nelle carte geografiche, avevano colorazioni per convenzione ripetute anno dopo anno: verde pisello l’Italia, albicocca-arancio carico la Spagna e la Germania, rosa la Gran Bretagna, violetto la Francia e così via. Quando il sogno d’evasione ‘lavorava’ in grande, ecco che varcavo gli oceani e mi ritrovavo in Asia: l’India con lo stesso colore della Gran Bretagna, di cui era ancora ‘colonia’; La Cina misteriosa, col suo colore giallo intenso e con i complicatissimi nomi delle sue città che mio padre mi leggeva, scandendo le sillabe e simulando una (presunta) dizione mandarina: Shan-ghai, Chung-king, Pei-ping, Can-ton; mi divertivo un sacco e in questo modo ‘viaggiavo’!

Antica mappa del Belgio

Dall’altra parte del mondo, c’era il verde carico degli Stati Uniti, il viola del Messico (come la Francia) e il color albicocca o arancio del Brasile (come la Spagna).. Per non parlare dell’Africa, con le tre grandi ‘macchie’: quella viola delle colonie francesi, quella rosa dei possedimenti britannici e quella del Congo belga a metà via – in quanto ad estensione – tra il giallo-Cina e quello della piccolissima Svizzera. I bellissimi colori delle carte geografiche!

Il piccolo giallo della Confoederatio Helvetica mi intrigava molto più degli altri, tuttavia. Situata poco sopra il verde della Lombardia e il rosa del Piemonte (le regioni italiane riempivano anch’esse lo stivale di colori) rappresentava per me la prima meta sognata e da conquistare, a soli quarantacinque chilometri da Milano. Eccola la terra straniera che avrei per prima ‘calpestato’, soddisfacendo quell’impulso prepotente che avvertivo di uscire dai miei angusti confini (Lombardia e poco altro). Così, un giorno d’estate mi ritrovo a Como, ospite di una vecchia zia che faceva la bagnina al Lido di Villa Geno. Sfuggo la prepotente tentazione di tuffarmi nelle fresche acque del lago e mi fiondo con passo svelto in piazza Cavour. Con pochi spiccioli di spesa prendo la filovia per Pontechiasso, al confine con la Svizzera. Ricordo come fosse ieri l’emozione intensa provata nel sostare, le mani attaccate al cancello della vecchia dogana, che divideva fisicamente il mio asfalto color verde pisello da quello giallo della Confederazione. Grazie alla mia educata e ridicola richiesta e alla stupita benevolenza di un doganiere svizzero, sono così riuscito a mettere entrambi i piedi, senza esibire documenti, sull’asfalto giallo. Il primo suolo straniero della mia vita. ? ff

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