Alto Piemonte: viaggio al centro della Terra. Restando in superficie. Il supervulcano, fenomeno geologico senza pari e i supervini del suo territorio
di Gianfranco Podestà
Da qualche tempo chi passa da queste parti si guarda intorno con occhi diversi. Rocce, ciottoli, massi che costituiscono lo scenario tipico della bassa Valsesia e dei suoi dintorni non sono più soltanto semplici elementi paesaggistici. Oggi si sa con certezza che in questo angolo di Piemonte nemmeno troppo conosciuto milioni e milioni di anni fa, ancor prima della deriva dei continenti, è avvenuto qualcosa di terribile e straordinario: un’esplosione vulcanica di potenza immane che ha scoperchiato il suolo fino a 25 km di profondità cui è seguito, nelle ere successive, l’affioramento di strati di origine magmatica in superficie grazie alla spinta della faglia africana. Il risultato è un territorio sul quale si può incontrare e “leggere” la mappa dell’abisso geologico terrestre sottostante a un vulcano.
La scoperta si deve all’intuizione e alla dedizione di due studiosi di fama, i professori Silvano Sinigai, dell’Università di Trieste, e James Quick, docente alla S.M. University di Dallas. Sono stati loro a individuare e definire ben 8 geositi diversi nell’area ricompresa tra Valsessera, Valsesia fino a lambire il Lago Maggiore, evidenziando un fenomeno unico d’interesse mondiale, ovvero il rinvenimento del fossile di un supervulcano. Il valore scientifico di questa scoperta è stato riconosciuto dall’UNESCO inserendo il territorio nel Sesia-Valgrande Geopark.
Ciò che più colpisce è la varietà degli affioramenti e residui vulcanici, ben identificati dagli esperti. Si va ad esempio dalla peridotite, costituente del mantello terrestre, alle rocce magmatiche come le dioriti, dalle kinzigiti ai graniti di origine vulcanica, dalle rocce della mega breccia generate dall’esplosione avvenuta 280 milioni di anni fa ai tufi derivati dalla deposizione delle ceneri piroclastiche associati a blocchi di lave solidificate. Il modellamento progressivo dei materiali ha portato alle diverse conformazioni morfologiche che oggi possiamo vedere esplorando la regione del Geoparco: la zona alpina, quella delle colline e la piana del fiume Sesia, caratterizzate da angoli incantevoli, aree naturali e coltivate.
Se è vero che il Supervulcano getta una nuova luce sull’identità del territorio, finalmente chiarisce e spiega scientificamente come mai il vino proveniente dal medesimo uvaggio nebbiolo, tradizionale del luogo, presenti caratteristiche così diverse a distanza di pochi chilometri, seppure con un denominatore comune: grande stoffa e qualità. Sono produzioni DOCG e DOC limitate, alcune già ben note, altre considerate di nicchia, tutte con altissimo valore storico. Così i rari Bramaterra e Lessona si distinguono dal blasonato Gattinara, anche se in cinque minuti d’auto si possono vedere e visitare le rispettive vigne. Lo stesso vale per Ghemme e Sizzano, e in parte Fara, che condividono affinità per via dei medesimi terreni morenici, ma con i precedenti hanno scarsa parentela. Una manciata di chilometri più a nord e il discorso cambia di nuovo e merita qualche parola in più.
Siamo alle pendici del Monte Fenera, ora parco naturale, che si staglia isolato a guardia dell’ingresso alla Valsesia, ricco di boschi, grotte naturali, testimonianze di abitanti preistorici. Le colline disegnano un paesaggio dolce contraddistinto da vigneti ordinati ma per nulla invasivi, anzi armoniosi e ben integrati nella rigogliosa vegetazione, spesso associati ad alberi da frutto e altre coltivazioni.
Gran parte degli impianti sono relativamente recenti, perché qui come in altre zone dell’Alto Piemonte si è verificato un abbandono massiccio della viticoltura fino alla seconda metà degli anni 90. I contadini lasciavano i campi per la fabbrica e un guadagno sicuro, fuggendo da un vino impegnativo, che chiedeva tempo e pazienza prima di essere venduto o, più spesso, svenduto. Poi gradualmente la rinascita: i pochi viticultori rimasti vedono premiata la loro ostinazione mentre nuovi appassionati di vini pregiati, con l’occhio lungo e sensibilità alla raccolta bellezza di queste parti, decidono di investire. Oggi il Boca DOC, prodotto nell’omonimo comune e nei limitrofi di Maggiora e Cavallirio, in provincia di Novara, non disdegna il confronto con i grandi nebbioli del basso Piemonte, al punto che qualcuno comincia già ad ipotizzare una possibile tenzone tra le tre “B”: Barolo, Barbaresco, Boca. Forse si esagera, ma un microclima favorevole e un terreno unico in Italia, costituito da porfidi vulcanici e ghiaioso in superficie, più una piccola indispensabile percentuale di uvaggi autoctoni (Vespolina e Uva Rara, ovvero Bonarda Novarese), conferiscono a questo rosso potente e austero caratteristiche uniche e inconfondibili.
Quanti regali ci ha lasciato il supervulcano, senza che per tanto tempo ne fossimo consapevoli. Valli, monti, rocce e torrenti, sinuose colline raccontano la storia del mondo ai suoi albori. Gli appassionati di geologia, mineralogia, speleologia trovano qui un’autentica “miniera” di stimoli e suggestioni. Ma anche i non esperti possono percorrere itinerari di trekking con il supporto dall’associazione Supervulcano Valsesia, e magari concedersi un bicchiere di nettare primordiale.
Associazione Supervulcano Valsesia
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