Nel Piemonte ‘terroiristico’

del Columnist Federico Formignani

Un titolo shock? Calma! Niente di pericoloso, come farebbe pensare una sua veloce lettura.

Si parla semplicemente di Langhe; per meglio dire di quella porzione di terroir istintivamente riconducibile alla celebre zona della Borgogna denominata Côte d’Or. Il terroir principe di quest’area è quello di Clavesana, nel cuneese, ideale per la messa a dimora delle vigne, a loro volta protette dalla ventilazione perfetta che scende dal Monviso e si unisce ai vapori che salgono dal fondovalle nel quale ‘gigioneggia’, con curve e controcurve, il Tanaro; tutto a beneficio del vino che vi si produce. Avvicinarsi in auto al cuore delle Langhe, attraverso le pianure lombarde e piemontesi a nord del Po, vuole dire cambiare, per il tramite delle emozioni visive che il viaggio propone, più prospettive geografiche. In rapida sequenza: fiumi, ponti, rettilinei, rotonde, i primi rilievi; quindi cittadine più o meno grandi – compatte o sparpagliate in decine di frazioni tra i colli – e infine l’ingresso sorprendente e insieme entusiasmante nella vasta, vastissima area delle terre coltivate a vite. Sono tappeti, coperte, piumoni di verde uniforme che coprono colli, morbide pendenze, piccole valli, bordano le strade che si arrampicano e discendono per arrampicarsi di nuovo. L’insieme dei panorami è davvero rilassante; tutto scorre con semplice, inaspettata pacatezza.

È un mondo antico e moderno, quello che si scopre. Un mondo che nelle moderne diavolerie del web, del marketing e dell’MBO (management by objectives) ci sguazza e del quale si alimenta. Ma è anche un mondo fatto di persone (350 famiglie di Coviticoltori) e sono loro, da sempre, a recitare un ruolo di primo piano nelle fortune della vite e del vino, attingendo ad un copione da tempo codificato: amore per la propria terra, per il proprio lavoro; certamente faticoso, ma anche sereno e soddisfatto soprattutto perché preparato con cura: enologi, biologi, ‘specialisti’ del terreno, viticoltori che a loro volta sanno come potare le vigne, come proteggerle dalle intemperie e come vendemmiare a tempo debito.

A chi altri, se non agli uomini e alle donne della Cantina Clavesana, sarebbe venuto in mente di auto-appiccicarsi l’etichetta di ‘Siamo Dolcetto’, dai polivalenti significati? ‘Dolcetto’ perché i chicchi d’uva matura in vendemmia sono molto dolci: non tanto per la concentrazione zuccherina che possiedono, quanto per la loro relativa bassa acidità. ‘Dolcetto’ anche perché le vigne migliori, quelle che potremmo definire come ‘divora-sole’, hanno dimora sulle porzioni di terreno meglio esposte, sui ‘düssets’, appunto; dossi e colline a disegnare i contorni nobili di una terra descritta con passione da Fenoglio, da Pavese. Clavesana è il cuore, dignitosamente ‘ubriaco’, di un distretto che con i suoi paesi, frazioni, completa questo straordinario patchwork del vino; a nord Monchiero, Dogliani, Piozzo, Farigliano, Belvedere.

A sud di Clavesana, ecco Murazzano, Cigliè, Marsaglia e Rocca Cigliè.

‘Gli anni Cinquanta hanno accordato agli Italiani la costanza. A noi, che Siamo Dolcetto, hanno dato l’ostinazione; ne abbiamo sempre avuto bisogno. Abbiamo imparato che chi non ha bisogni propri, difficilmente si ricorda di quelli degli altri’. Anna Bracco, direttore di Clavesana, ma in ‘cantina’ dal lontano 1975, ricorda ancora una volta che perseverare con costanza a far fatica non è diabolico, ma necessario. Senza che parli, gli stessi concetti vengono espressi dal viso scolpito dalle stagioni e dal tempo di Giovanni (naturalmente Bracco) presidente della Cantina dal 1987.

‘Fare vino’ e basta? Sarebbe troppo facile e, alla fine, quasi noioso. Ecco perché la Cantina Clavesana funge da centro motore per un insieme di iniziative che hanno dell’incredibile. A quelli di ‘Siamo Dolcetto’ piace poi tanto riunirsi; non solo per discutere di lavoro e di come migliorarlo; hanno a disposizione una ‘scuola’ in paese, acquistata e adattata al meglio; buona per i corsi formativi e per le ‘feste’ e ricorrenze del borgo; e Anna Bracco aggiunge, arguta: Dolcetto docet. Hanno persino trovato nomi di ‘ragionata’ fantasia per i loro vini: Avus (dalle vendemmie di prima foglia); Sansossì (dolcetto di buona china) e così via, vinificando. Quindi la perla finale: l’annuale festival ‘Rock and the Wine’, la cui musica coinvolgente, con interpreti rock di fama internazionale, dispone di un palcoscenico speciale: lo spazio antistante l’altare maggiore della Chiesa di Sant’Anna alle Surie, frazione di Clavesana. Padrone di casa e appassionato (musica rock e buoni vini) è il parroco Don Armando.

Foto web | RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE

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