di Elia Rossi
“Viaggiano i perdenti: i più adatti ai mutamenti”, recitava una canzone dei CSI. E possiamo tenerla sullo sfondo, adesso, per dire che la storia della via di Stade, per quanto medievale, esprime una sensibilità moderna. Quella del viaggiatore inquieto, che attraversa chilometri di mondo sospinto da un turbamento, da una malinconia o, più semplicemente, dall’impossibilità di restare immobile di fronte a una società percepita come decadente. Difficile dire che Alberto di Stade possa essere un Jack Kerouac o un Bruce Chatwin del Basso Medioevo, ma la sua storia ha lo stesso sapore di fuga dalla realtà esterna e poi di scrittura del viaggio come ricerca di uno spazio in cui l’anima ferita possa rifugiarsi.
Siamo in Bassa Sassonia. Alberto è il priore del monastero benedettino di Stade. Un monastero reso particolarmente ricco dai rapporti coi proprietari terrieri della zona. Alberto non riesce a rassegnarsi all’idea che dei monaci benedettini possano sedersi così comodamente nella routine quotidiana, così decide di mettersi in viaggio. Si ipotizza che, tra andata e ritorno, abbia percorso più di 3000 km, alcuni a bordo di piccole imbarcazioni fluviali, altri a cavallo, molti a piedi. Ma quando, alcuni mesi dopo, ritorna a Stade ha la gioia in volto. Ce l’ha fatta: ha raggiunto Roma e qui è stato ricevuto da Papa Gregorio IX. Ha ottenuto il permesso papale di impostare il convento benedettino secondo la regola cistercense, più vicina al vangelo originario. Ecco, però, che il suo sogno impatta con la realtà. I confratelli non sono disposti a rinunciare ai propri privilegi. I rapporti coi proprietari terrieri locali sembrano più importanti dell’imitazione di Cristo. È così che Alberto rinuncia al suo ruolo. Entra in un ordine minore, da poco fondato (quello dei francescani) e, per il resto dei suoi giorni, non fa altro che scrivere.

Ci vorranno molti anni perché qualcuno possa notare che tra i suoi scritti c’è un dialogo brillante, in cui due frati, di nome Tirri e Firri, discutono sulla strada migliore per raggiungere Roma dalla Sassonia. Di fatto, è il suo diario di viaggio. Proviamo a collocarlo nella geografia odierna. Giunto all’attuale Brennero, Firri consiglia una strada che attraversa l’Alto Adige e poi la Val Sugana, dopodiché costeggia il Brenta fino alla Via Emilia. Gli appennini vengono valicati sul passo di Serra, da qui la via passa a Bibbiena e poi, costeggiando il lago Trasimeno si inserisce nella via Francigena, a Montefiascone. Ma, a questo punto, siamo ai giorni nostri. È solo ora che il cammino di Alberto diventa una Via: la Romea di Stade, appunto.
Parte del lavoro si deve all’incontro tra il teologo tedesco Uwe Schott e l’antropologo italiano Giovanni Caselli. Nel 2008 decidono di rivolgersi ai comuni tedeschi attraversati da Alberto di Stade e si trovano nella piazza affollata di Ochsenfurt dove il sindaco, uno storico di origini polacche, ha deciso di unire gli altri amministratori sassoni, insieme ad albergatori e guide turistiche, per ascoltare la loro proposta. Poche ore dopo, è nata l’associazione tedesca “Via Romea di Alberto di Stade”. Ma perché il cammino prosegua oltre il Brennero, bisogna aspettare un altro anno, quando Caselli viene raggiunto a Bibbiena dai sindaci di Subbiano, Galeata e Santa Sofia. “L’associazione italiana ha incontrato molte diffidenze”, racconta a tal proposito Caselli, “ma gradualmente, dopo l’adesione del comune di Bolzano, tutti i comuni della Romagna, Toscana, Umbria e Lazio si sono uniti. Mancano i comuni veneti.”
La storia del tratto italiano è assai più travagliata di quello tedesco. Ma, in mezzo a molte difficoltà, oggi sono tante le cose che bollono nel pentolone della via Romea di Stade. Buona parte del percorso è stato segnalato, dunque disponibile per i pellegrini che volessero percorrerlo. La Comunità Toscana “Il pellegrino” ha curato una cartografia approfondita. L’associazione italiana Via Romea Germanica si sta impegnando molto nella segnalazione dei sentieri e nell’elaborazione di materiale informativo. Degno di nota il Festival del Cammino, che per tre giorni ha portato pellegrini di tutta Europa nell’Alta Valle del Bidente (Forlì-Cesena) tra convegni, stand e gite a piedi.
Ma c’è di più. Racconta Caselli: “in ottobre un folto gruppo di norvegesi camminerà da Trondheim a Roma, per celebrare la Via ed unirla alla Scandinavia”. Perché la vera particolarità della Via di Stade è la sua capacità di rigenerare un’antica, ma dimenticata, continuità tra provincia italiana e cittadine del Nord Europa. Come ricorda con ironia Caselli: “ad Ochsenfurt l’anno scorso mi offrirono il loro tipico dolce di Pasqua. Con mia grande soddisfazione, scoprii che era niente altro che la panina casentinese”. E ancora: “Arezzo è una città di modello tedesco” e “quasi tutte le fondazioni monastiche dell’Aretino sono tedesche”. Se è avvenuta una cesura, ciò è dovuto ai nazionalismi di fine Ottocento, alla loro ideologia. Oggi, finalmente, siamo in grado di tornare europei, possiamo sbarazzarci di tutte quelle impalcature. Non dobbiamo far altro che metterci in cammino, nelle nostre terre. ? er
Link utili: Mulattiera dei Pellegrini di Passo Serra – Via Romea di Stade
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