di Nicolò Cambiaso
Dall’invenzione della ruota in poi, passando per gli antichi greci per arrivare fino a oggi, la strada è stato l’elemento che più di ogni altro forse ha determinato la presenza dell’uomo in un territorio. Strade per viaggiare, per spostare le merci, per collegarsi ad altri luoghi. Strade per spostare gli eserciti o per andare a scoprire posti nuovi, e strade per vivere – più facilmente – la vita di ogni giorno. Eppure ancora adesso, dopo molti millenni, ci sono posti – comunità piccole e grandi, paesi e addirittura città – a cui non arriva alcuna strada. La rubrica che inauguriamo oggi ve li racconterà, con la calma e lo sguardo attento che sono proprie di chi viaggia a piedi.
CABO POLONIO – Un faro alla fine del mondo
La punta di freccia di un indiano Charrua che si infila tra le onde del mare: così molti descrivono l’aspetto del promontorio di Cabo Polonio, guardandolo dall’alto del suo faro di mattoni bianchi e rossi. Un paio di centinaia di case, sparse come grani di sale su di una collinetta rocciosa e sferzata dalle onde dell’Oceano Atlantico. A soli sette chilometri dalla Ruta 10, la statale che corre (quasi) lungo la costa, l’Uruguay nasconde una delle sue perle più belle: un insediamento spartano, quasi selvaggio, in cui ancora oggi non arriva l’acquedotto né l’elettricità, e la luce alla sera è garantita dai generatori a gasolio – o, più spesso, dalle candele.
Novantacinque abitanti, stando all’ultimo censimento (datato 2011), che vivono perlopiù in una condizione di semi-abusivismo e precarietà. La terra qui infatti è divisa tra lo Stato e alcuni piccoli appezzamenti privati. Ma i locali hanno spesso costruito dove gli pareva, o forse dove sembrava loro più bello: e così, senza alcun piano urbanistico e apparentemente senza logica alcuna, è poco a poco cresciuta all’interno di questa area protetta – Cabo Polonio fa infatti parte dello SNAP, il Sistema Nacional de Areas Protegidas – una comunità autonoma che si sta rendendo sempre più celebre e conosciuta in Sud America.

Non sono pochi infatti ormai i turisti, anche europei e americani, che approfittano della bella stagione e dei prezzi bassi per venire a visitare questo luogo. L’aria che vi si respira è tra il fricchettone e l’anarchico: case in muratura e legno – quasi sempre un misto delle due cose – coi tetti in lamiera, colorate con colori sgargianti e ricoperte di murales artistici o politici; giovani uomini e donne scalzi, con vestiti leggeri, quasi sempre uno strumento musicale o una chitarra in mano; e alcuni anziani, barbe lunghe e volti segnati dal sole, che raccontano di vite da pescatori e bofonchiano ostilità nei confronti del governo e dell’autorità costituita, che periodicamente minaccia di cacciarli da lì.
Cabo Polonio infatti è area protetta per più di un motivo: il promontorio del faro, e le due isolette che punteggiano la costa a poca distanza dalla spiaggia, ospitano infatti un’impressionante colonia di leoni marini. La fascia costiera che separa l’insediamento dal resto del mondo è invece una rara e preziosa distesa di dune mobili: montagne di sabbia che cambiano effettivamente posizione di continuo, a seconda del vento, e che sono attraversabili unicamente a piedi, a cavallo o a bordo degli enormi autobus 4×4 rialzati che fungono da servizio navetta per la comunità. La lotta tra i “coloni” e il governo è dunque sempre accesa, e la crescente popolarità del paese non contribuisce certo a placare gli animi. Tra chi vorrebbe radere al suolo tutto per preservare l’ambiente, chi difende la storia e le tradizioni del posto, e chi vorrebbe mettere a reddito anche questa porzione di costa offrendola in pasto ai turisti e agli immobiliaristi, il futuro di Cabo Polonio è quantomai incerto. ? nc
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