di Lucio Valetti
Tra le città americane è una delle più dinamiche, pioniera di nuove tendenze e impareggiabile mix di culture. Ed è anche a pochi passi dalle isole dei Caraibi, facilmente raggiungibili con una crociera Carnival.
Il vento sbatte le palme, ulula tra i radi grattacieli di questa parte della città. Strappa i cappellini dei turisti e solleva la sabbia di uno degli spiaggioni più famosi al mondo. E scrosci d’acqua tropicali misti a un’insistente pioggerellina autunnale da brughiera brianzola tolgono questa giornata dalla media straordinaria di 180, si dice, giornate di sole all’anno. Una Miami Beach così, cupa e plumbea, non te l’aspetti. Così si sta a guardarla dal rifugio dell’Essex House Hotel, albergo un po’ fané dell’Art Deco District, aspettando di rientrare negli standard del Sunshine State, la luccicante Florida.
Tutto il quartiere è un po’ fané, nato nel periodo dell’Art Deco, con qualche vaga struggente atmosfera europea, rotta dai contrasti dell’american style fatto anche di divagazioni kitsch. Tenui architetture di pregio tipiche dell’epoca e sfacciati villoni degni di Nerone e la sua Domus Aurea sulla mitica Ocean Drive. Romantici, curatissimi ristoranti all’aperto da quartiere latino parigino impreziositi, ironicamente, da esibizioni di ballerine da lap dance e “violentati” da musiche rap. Straordinaria, o insopportabile, America. Senza ritegno e misura. La sera prima i locali luccicanti della Ocean Drive erano invasi da torme di bermudati turisti, o forse locali, discretamente rumorosi. Non pioveva ancora, i neon la facevano da padrone, i profumi noti delle hamburgherie si confondevano con quelli piu’ raffinati dei locali sushi che anche qui vanno per la maggiore. Una giornata cosi’, questa. Di attesa. E di scoperta.
Non confondiamo Miami Beach con la Miami “normale”, come prima cosa. Non c’entra nulla. Non è semplicemente la spiaggia di Miami. E’ un’altra città, perfino un altro mondo. Un piccolo mondo che festeggia quest’anno i suoi primi cent’anni. Il Centennial Festival Celebration sarà infatti in corso per tutto il 2015 con una serie di manifestazioni ed eventi che varrebbe la pena di vivere. Senza aspettare i prossimi cent’anni. Un secolo fa appena fuori Downtown Miami c’era un insieme di isolotti nudi e selvaggi, disabitati. Qualcuno vide in quel paradiso extraurbano una prospettiva di sviluppo. E si cominciò a “colonizzare” gli isolotti. Per fortuna con insperata eleganza. Così, nella parte sud, soprattutto negli Anni ’30, è nato un quartiere Déco, che costituisce uno straordinario esempio di arte urbanistica. C’era stato anche un momento di abbandono, ma poi negli Anni ’70 i vecchi palazzi di South Beach sono stati salvati con l’intervento di architetti celebri e capaci. Il resto è storia di oggi. Un ridondante senso di festa che si respira ovunque.
Due strade e due tipi di suoni riassumono in un attimo Miami Beach. Le strade sono la Ocean Drive e la Lincoln Road Mall. Con la prima gli italiani hanno quella familiarità ormai consolidata da magazine popolare per via di Versace e la considerano un pezzetto d’Italia. I riti serali più trasgressivi, di tendenza, anticipatori di quello che vedremo da noi tra un po’, si consumano qui, accompagnati da musiche altrettanto d’effetto. Qualche volta geniali. Carosello di auto senza sosta, le più sfacciate possibile, le più vistose possibile, le più ricche possibile. Capita, per esempio, di vedere gruppi di turisti organizzati, di quelli solitamente portati in giro da una guida con ombrellino alzato sopra la testa perché non si disperdano, in Ocean Drive. Selva di telefonini e macchine fotografiche brandite e la guida che spiega. Tutti attenti e compìti. Silenziosi, ispirati. E la guida che non smette di parlare. Ma davanti non c’è un Van Gogh con i suoi misteri da capire, un Rembrandt con le sue magie da leggere, un Picasso con le sue inquietudini da interpretare, ma la casa di Versace, il villone kitsch con tanto di portale ‘finto Cinquecento’ spagnolo, palme, arzigogoli architettonici vari, più famosa ed evidentemente emozionante di un Van Gogh. Ogni epoca ha i propri miti. La Lincoln è l’altra. Una lunga strada rigorosamente pedonale negata perfino a biciclette e innocui mezzi di locomozione ecologici come pattini e skateboard, è un corridoio di un grande centro commerciale all’aperto. Di qui e di là vetrine, ristoranti, caffè, snack bar e una folla a piedi. Rilassante e seducente. Come le musiche ammaliatrici che escono dai negozi.
E poi c’è lo spiaggione immenso. E i riti di tutte le spiagge americane. Joggers d’ogni tipo e colore, residenti dall’aria sicura invidiati da sperduti turisti della prima ora. Ci puoi stare a Miami Beach, perfino visitare Downtown Miami, che è una classica città americana. Fatta di grattacieli, quartieri periferici, quartieri ricchi e quartieri miserabili, e qualche idea geniale. Per esempio Wynwood. Prendete una zona industriale un po’ in disuso. Di quelle fatte di piccoli capannoni quadrati e bassi, tutti uguali e anonimi, come se ne vedono anche da noi. Decidete di riqualificarla con un progetto studiato a tavolino e in qualche anno diventa il quartiere più in della città. Si chiama Wynwood, appunto, è nella periferia più sperduta di Miami ma è qui che nascono le idee artistiche più innovative. I vecchi capannoni hanno preso vita, fuori i colori dei murales, tutti di stile diverso, dentro artisti d’ogni capacità e speranza. Una piccola città variopinta dentro la metropoli. Andateci ogni terzo mercoledì del mese per vederla animata più di Ocean Drive a Miami Beach. Ma con uno stile decisamente più chic. E da Miami, poi, se ti viene voglia, puoi partire per un piccolo giro nei Caraibi. E’ una tentazione forte e l’occasione ogni giorno sono le navi della Carnival. Partono come bus e tornano, metti dopo una settimana, dopo un giro per le isole. E’ spettacolare una nave da crociera. Un condominio di quelli moderni, tutto acciaio e vetro, buttato giù sul mare in orizzontale. Ti aspetti che affondi e invece sta miracolosamente a galla. Per via di una legge fisica. C’è da fidarsi di una legge fisica. Dentro, tutto insieme, un albergo con tutto quel che deve avere un albergo, ristoranti compresi. Poi i giochi di un villaggio turistico, animatori, cinema, teatro, piscine, discoteche e nightclub. C’è anche un accenno di prua, un po’ di marinai a bordo, compreso un comandante italiano davvero gentile che si chiama Massimo Marino, e il condominio diventa una nave. E si parte.

In Giamaica ci si va così, da crocieristi. Se siete gente che va in barca andare da Miami in Jamaica sopra una luccicante cosa lunga più di 300 metri e alta una sessantina, che nel nostro caso è la lussuosa nave Carnival Breeze, può farvi uno strano effetto. Nel senso che non si avverte il senso della navigazione. Si sta al ristorante attorniati da vocianti americani, nel casinò, in piscina, nel Mall dello shopping, in palestra, in discoteca, e la Giamaica appare. Dal nulla. È questo il fascino della crociera? Posti che ti vengono serviti senza fatica insieme ai pasti al ristorante? Il posto è Ocho Rios, in questo caso. Cittadina piena di effigi e ricordi di Bob Marley e con un curioso divertimento, la scalata di una cascata. L’acqua viene giù e noi si va su. Discretamente spettacolare. E si riparte, tappa successiva le Isole Cayman. Grand Cayman, per l’esattezza, la più grande di un magnifico arcipelago di terre colorate e luminose. Palme, mare, fondali trasparenti, una baia di bellezza straordinaria bordata dalla mitica Seven Miles Beach, una spiaggia di sabbia bianca lunga sette miglia appunto e una cittadina, George Town, dalle atmosfere coloniali. Più Caraibi di così. Quel che succede nelle centinaia di banche stipate nella minuscola capitale per le quali l’isola va famosa è un’altra storia. Il bus-nave da crociera continua il suo giro. Messico, Cozumel, un’isola. La sorpresa. Sei in giro per i Caraibi e ti abitui a questo mix un po’ strano tra sfumature spagnoleggianti e infiltrazioni yankee un po’ kitsch, e piombi dentro il colorato mondo messicano. Tutto diverso. È proprio Messico questo paradiso staccato al largo di Cancun. Nei colori, nel calore della gente, nella rilassatezza che avverti ovunque, nella semplicità. Todos amigos aqui, altro che il rigore delle Cayman, per dire, dove ti strappano la macchina fotografica dalle mani se ti azzardi a scattare in spiaggia. E questo mare favoloso, a volte bordato da hotel iper moderni, a volte semplice come l’isola di Robinson Crusoe con un chiosco e pesce fresco da mangiare bevendo tequila.
Foto Sergio Pitamiz| Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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