Postumia, la Via che non c’è

di Elia Rossi

Questa volta usciamo dal campo dei cammini già battuti ed entriamo in quello dei cammini ancora da tracciare. Già: è il campo delle esplorazioni; quello di una «prima volta» che con questo articolo ci piacerebbe provocare. Stiamo infatti parlando di una Via italiana che, oggi, esiste solo nei libri di storia. È la Postumia. Una rotta che taglia l’Italia Settentrionale come in coast to coast frontale e privo di ghirigori: da Genova ad Aquileia, lungo un tragitto che disegna una linea retta. Per citare i riferimenti più forti: Genova, Tortona, Piacenza, Cremona, Verona, Vicenza e infine il Friuli, attraverso Aquileia, Grado e Trieste. Il mar Ligure e l’Adriatico abbracciati in solo cammino. Si può fare?

La prima risposta, seppur affermativa, forse non è incoraggiante, giungendo da un modello non facilmente imitabile. L’Esercito Romano, infatti, la percorreva con una relativa naturalezza, calzando nient’altro che dei sandali di cuoio e corda. Secondo alcuni studiosi, fu proprio la facilità con cui le sue truppe percorrevano la Postumia a garantire a Roma la capacità di controllare l’Italia padana, premiando le tribù filo-romane e precipitando, inesorabile, ogniqualvolta una città opponesse resistenza. Ma per quanto riguarda il camminatore odierno, va precisato che oggi, di quella strada lastricata rimane ben poco.  Ovvio: con la sua distruzione è andata perduta anche la naturalezza dello spostamento; il sogno di unire le due coste dell’Italia padana, a piedi, risulta così scoraggiato. E non stiamo parlando degli ultimi anni. Già la Repubblica di Genova, pare, non si impegnò nella manutenzione del tratto stradale della Postumia. Si racconta infatti che, a metà dell’XII secolo, Federico Barbarossa avesse in programma una spedizione punitiva contro la città, ma che rinunciò proprio per le difficoltà di approvvigionamento lungo quella Postumia devastata dall’incuria.

Eppure, con un balzo avanti nella storia, troviamo questa Via in una delle prime “guide turistiche” della geografia italiana contemporanea. Siamo nel 1837, quando l’editore Giuseppe Vallardi dà alle stampe il suo tinerario d’Italia, ossia Descrizione dei viaggi per le strade più frequentate.  L’opera si rivolge ai camminatori ottocenteschi che, sulla scia di Goethe e di Stendhal, intendono viaggiare lungo le strade dell’Italia artistica, storica e letteraria. Ecco che, seppur evitando di pronunciarne il nome, Vallardi propone un tragitto la cui descrizione ricalca in buona parte le tappe della Postumia.

A piedi nei boschi

Ma torniamo alla domanda di partenza («oggi, si può fare?»). Una premessa: oggi è difficile, se non impossibile, ricostruire il tracciato originale. In particolare per quanto riguarda la parte occidentale, essa è stata travolta da sconvolgimenti urbanistici e ambientali. Lo storico Cirnigliaro sostiene che il punto di partenza sia l’odierna Piazza San Giorgio, a Genova. Da qui in poi, alcuni studiosi ritengono che il suo tratto dovesse raggiungere Tortona lungo la valle dello Scrivia (il che, oggi, rimanderebbe alla statale 35). Per altri invece il riferimento più attendibile è la valle del Bormida. Secondo alcuni storici Verona e Vicenza erano collegate dai colli, secondo altri da fondo valle. Va precisato che la cartografia «ufficiale» della Postumia, oggi, non riguarda il mondo del trekking, ma quello della storia locale.

Eppure, alla domanda iniziale possiamo rispondere con certezza: «sì, si può fare. Anzi: in parte è già stato fatto». Grazie a questa rubrica ho avuto la fortuna di conoscere viaggiatori che mi hanno raccontato storie personali. Uno di questi è Luca Tognoli, che ha percorso buona parte della via Postumia in bicicletta. “Ho conosciuto la via Postumia leggendo un libro di storia”, ha raccontato, “e mi ha incuriosito”. La sua curiosità lo ha portato a parlare con studiosi e a scavare nelle biblioteche con lo spirito di Tintin. Alla fine di questa ricerca gli è stato possibile tracciare una «sua» ricostruzione del tragitto, nella quale ha mediato tra le tesi degli storici attraverso un parametro moderno: il buon senso sportivo. Il risultato è pubblico, e reperibile su Google Maps.

Dopodiché Tognoli si è messo in viaggio, inserendosi nella Postumia da Pavia. Da qui ha raggiunto Trieste  in una quindicina di giorni. La sua storia può incoraggiare i camminatori, ma non dargli la sensazione che il percorso sia già compiuto. “È una via alquanto dimenticata”, sottolinea, “non mi risulta ci sia nulla di ufficiale per quanto riguarda bicicletta o trekking”. Ovviamente, per il pellegrino futuro, la principale difficoltà riguarda il pernottamento. Essendo un cammino non ancora attrezzato, non sempre è possibile trovare ostelli o campeggi e spesso bisogna ripiegare sugli alberghi turistici. Tuttavia, pur essendo un cammino che ancora non esiste, quello della Postumia è un cammino che merita di esistere. Il suo valore riguarda anzitutto una possibilità geografica che esso dischiuderebbe: l’unione, per orizzontale, dei due principali cammini che tagliano per verticale il suo italiano, ovvero la Francigena e la Romea di Stade.

In secondo luogo, in questo clima di riscoperta del turismo slow, lungo i cammini storici italiani, solo la Postumia consentirebbe di portare coloro che viaggiano a piedi in Friuli Venezia Giulia e nelle sue, troppo spesso dimenticate, città. Si pensi ad Aquileia, il cui Foro è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità  o al Castello di Miramare e alla sua Riserva Marina. Si pensi a cosa significherebbe raggiungere quest’angolo d’Italia da Genova, a piedi, lungo un cammino non più lungo della Via Francigena o di Santiago de Compostela. ? er

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