Non ho voluto mancare all’ultimo atto dell’Esposizione Universale che, nella prossima edizione (2017) sarà di scena ad Astana, in Kazakistan e quindi (2020) a Dubai, paese caratterizzato dal deserto, dai grattacieli avveniristici e da montagne di dollari. Alle cinque, i tornelli dei vari ingressi hanno smesso di far passare gente ma dentro siamo rimasti in tanti. C’è la cerimonia di chiusura da vedere; con le autorità, gli ospiti di riguardo, i cori dei bambini, la banda, le delegazioni straniere con gli abiti sgargianti dei loro Paesi e una raccolta di facce del mondo in gioiosa attesa dello svolgersi del programma: discorsi ufficiali, musiche, luci e un soddisfatto atteggiamento di chi potrà poi dire ‘io c’ero’. Sempre da vedere, ci sono i giochi d’acqua e di luci dell’ormai famoso ‘Albero della Vita’, senza contare i colori dei fuochi d’artificio che sono sempre belli da vivere anche se un po’ velati di tristezza perché suggellano le fasi finali di feste, ricorrenze, chiusure di stagioni o manifestazioni che non ci saranno più domani e che, forse, potranno ripetersi non si sa bene quando, in differenti circostanze e contesti.
Anche la magnifica folla sorridente dell’Expo non ci sarà più. Non mi sfuggono però gli ultimi, frenetici ‘movimenti’: con passo affrettato, masticando panini, gruppi di giovani determinati a ‘entrare’ nei padiglioni per lunghi mesi proibiti per via delle estenuanti code. Altri, più tranquilli, scivolano fra Decumano e Cardo concedendosi soste frequenti, oppure guidando amorevolmente le carrozzelle di parenti e amici disabili; molte le coppie giovani che ‘manovrano’ i passeggini dei figli – chi dorme e chi frigna – procedendo a zig-zag per evitare gli assembramenti. Dappertutto palloncini di ogni misura e colore, cappelli di paglia vietnamiti (hanno avuto grande successo!) uomini e donne con trolley a traino, pericolosi per gli stinchi degli altri. Non sfuggono, poi, gli enormi consumi di gelati, dolcetti, pizzette e focaccine del popolo semovente. Quindi, foto di tutti i tipi: con prolunga sulla testa della gente, selfie individuali e di gruppo, una foto e un bacio per i più giovani. Per terra, non una carta o un rifiuto di qualsiasi genere. Davvero incredibili gli ultimi sussulti del grande spettacolo popolare, calcolato in milioni di persone. Il marchio di fabbrica di Expo 2015.
E all’interno dei vari padiglioni? Naturalmente non di quelli ‘grandi’ e superstar come Brasile, Cina, Russia, Italia, Francia, Stati Uniti e molti altri, ma di quelli in coabitazione, in un certo senso. Entri nei famosi ‘Clusters’ (riso, cacao e cioccolato, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio Mediterraneo, mare e cibo, zone aride) e passi da un paese all’altro; tutti zeppi di profumi, odori pungenti, oggetti ‘tipici’ e un po’ ripetitivi di nazioni che vantano un artigianato semplice ma che alla gente piace tanto: legni intagliati, strumenti musicali ‘tribali’, monili in metallo e pietre dure, stoffe, tessuti, magliette ecc., per non parlare di quello che si può comprare e gustare a casa: erbe aromatiche, te, caffè, bevande e liquori dalle etichette esotiche e incomprensibili; tutto condito da sorrisi e cortesie da parte di neri, asiatici, sudamericani. Una specie di caccia al tesoro che non ha tregua e per molti è nuova; un messaggio culturale che non mancherà di venir assimilato e rivissuto dai turisti e dai viaggiatori del futuro.
La caccia al timbro, col passare dei giorni, è diventata spasmodica. In quest’ultimo giorno di Expo, vige il ‘fai-da-te’. Il personale Passaporto, mentre gli addetti dei vari stand continuano a chiacchierare rilassati, viene timbrato direttamente dai visitatori. Una vera e propria Schengen mondiale senza ‘controlli’. Superato il Cardo, sempre con la gente in movimento, aumentano le musiche. Quelli del Kazakistan cantano ballate popolari, le danzatrici Thai si esibiscono all’esterno del loro padiglione, mentre le mille musiche di Expo sembrano annunciare l’imminente fine di questa grande ‘Fiera’ moderna, ragazzine in calzamaglia si esibiscono in gruppo con balletti aerobici. Molti baracchini fingerfood hanno già chiuso i battenti e diversi padiglioni o locali di ristoro hanno fatto altrettanto raccogliendo pile di sedie e tavolini impacchettati e pronti per il viaggio finale del giorno dopo. Permangono nell’aria folate di fritto, di burro d’arachidi assieme a profumi di dolci. Mentre percorro il ponte che scavalca l’autostrada dell’uscita di Roserio, il cielo scuro si accende degli ultimi respiri luminosi e chiassosi di Expo 2015. Lo so, è un po’ sciocco. Ma mi sento davvero orgoglioso di essere milanese.
del ‘Columnist’ Federico Formignani | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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