Cento suoni del Giappone da salvare

Okhotsk

Siamo abituati a pensare che preservare un territorio dalla devastazione industriale e dall’inquinamento significhi prevalentemente conservare intatto un paesaggio, evitando che la mano dell’uomo lo deturpi e lo privi della sua identità originale. Ma non si tratta solo di questo. Esiste un patrimonio intangibile, ancora più fragile, ma altrettanto prezioso: i suoni. In effetti senza di loro anche la più mozzafiato delle vedute resterebbe una cartolina muta e anonima. Il Giappone sta cercando da anni di “salvare” i suoni più caratteristici della sua terra, minacciati ogni giorno dall’avanzare della tecnologia, dell’inquinamento sonoro e delle grandi città. È il 1996 quando l’allora Ministro dell’Ambiente decise di stilare la lista dei “Cento suoni del Giappone”. Arrivarono oltre 700 segnalazioni e candidature da tutta la nazione, ma un apposito gruppo di studio selezionò i cento più “a rischio” e che più simboleggiavano l’identità culturale giapponese. Viverli sulle propria pelle (anzi, sulle proprie orecchie) è l’emozione più grande, ovviamente, ma online si trovano diversi video e raccolte per un “ascolto a distanza”.

Forse il più famoso suono incluso nella lista, citato praticamente in ogni guida turistica sul Sol Levante, è quello che fa il vento quando passa tra le alte canne della foresta di bambù a Kyoto: un fruscio vigoroso in cui, per qualche istante, ci si sente completamente immersi. Ma ci sono tantissimi altri “rumori naturali” attraverso cui il Giappone racconta se stesso. Il primo nell’elenco è, ad esempio, il ghiaccio scricchiolante che naviga lentamente sulla superficie del gelido mare di Okhotsk, una porzione di oceano Pacifico che separa il nord del Giappone dalla Siberia. C’è poi l’atmosfera brulicante di vita che solo chi compie un’escursione tra le montagne del parco nazionale Daisetsuzan, in Hokkaido, può sentire. Anche la “sabbia sonora” della spiaggia di Kotobikihama (prefettura di Kyoto) produce un suono particolarissimo quando viene calpestata, grazie allo spessore dei granelli, al grado di umidità e alla composizione chimica.

Ogni suono della lista ha la sua identità precisa. Quello del fiume Oirase, nella prefettura di Aomori, è ben diverso da quello del fiume Rurikei vicino a Kyoto; così come le onde che si infrangono sulla costa di Izura-kaigan non hanno nulla a che fare con quelle della spiaggia Kojigahama. Le campane della torre dell’orologio di Sapporo non si possono confondere con quella della pace di Hiroshima, o con quelle della chiesa greco-ortodossa di Hakodate. All’apparenza sembrano uguali, ma proprio per questo bisogna imparare (di nuovo) ad ascoltare: ogni vibrazione merita di essere riconosciuta e ricordata.

Sono tantissimi gli animali, soprattutto gli uccelli, il cui verso un tempo accompagnava la quotidianità delle popolazioni rurali, mentre oggi – con la crescita dei grandi centri abitati – è sempre più raro. Ci sono anche le assordanti cicale di Yama-dera, il loro volo sibilante sopra la foresta di Honda-no-Mori, i grilli di Osaka, la particolarissima melodia dei suzumushi, piccoli insetti che sembra davvero stiano agitando piccoli campanelli tintinnanti.

I festival sono una parte integrante della cultura giapponese, dunque non potevano certo mancare nella lista delle “identità sonore” della nazione. Spicca la melodiosa e incredibile armonia delle conchiglie “Matsu-no-Kanjin”, suonate in particolari occasioni come fossero flauti. Anche i suoni prodotti dall’uomo, tipici delle città, hanno tutto il diritto di rientrare nell’elenco perché, a loro modo, suscitano e conservano un’atmosfera particolare e unica. È il caso di alcune locomotive di epoche diverse, dei pendagli sonori (i cosiddetti “wind chimes”) appesi fuori dalla stazione ferroviaria di Oshu, dei telai delle fabbriche tessili di Showa, degli artigiani che intagliano il legno a Nanto.

C’è qualcosa di molto intimo e delicato nel raccontare un luogo attraverso i suoni che lo caratterizzano nella sua parte più profonda e tradizionale. Anche se non sempre vi prestiamo la dovuta attenzione, sono loro a caricare di identità una cultura, un paesaggio, un’intera nazione. Impariamo dal Giappone. Viaggiamo, osserviamo e, da oggi, soprattutto ascoltiamo.

di Chiara Beretta | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

 

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