Nessuno scompare davvero

Nessuno scompare davveroElyria vive a New York, ha 28 anni, un lavoro e un marito. Un giorno, senza dare spiegazioni a nessuno, compra un biglietto per la Nuova Zelanda, prepara lo zaino e se ne va. Non si fa più trovare. Attraversa il Paese in autostop, in balia del caso e degli eventi. Ha una meta da raggiungere, in realtà, ma nessuna certezza su quello che troverà – se lo troverà. A prima vista Nessuno scompare davvero, sorprendente romanzo d’esordio della giovane americana Catherine Lacey, sembra un roadtrip di formazione, entusiasmante e avventuroso, come ce ne sono tanti altri in letteratura. Ma basta leggere le prime pagine per rendersi conto che c’è molto di più: si tratta di un viaggio senza destinazione, di un’immersione in una mente sofferente e confusa, in cui è facile immedesimarsi.

Elyria – la cui voce, a tratti un vero e proprio flusso di coscienza, guida il lettore – non è un viaggiatore tipico: nulla di ciò che incontra la affascina o la stupisce, non si cura di descrivere il paesaggio, non cerca riposo né nuovi stimoli. Deduciamo il suo movimento fisico perché ci dice di salire e scendere da alcune auto di passaggio ma, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere in qualunque (o nessun) luogo tanto è anonima la Nuova Zelanda in cui vaga.  Ciò che si rivela più chiaramente pagina dopo pagina sono invece i contorni della protagonista, che tessera dopo tessera ricompone il mosaico della propria vita e dei propri pensieri: incompleto e tormentato, ma con tutti i pezzi essenziali. Così al movimento fisico orizzontale, quello che porta Elly da un punto all’altro dell’isola come se fosse un sacchetto di plastica vuoto in mezzo al mare, si affianca un movimento verticale, che dalla superficie della coscienza porta in profondità: vorticoso e inesorabile, come un corpo morto che affonda. Calzerebbe a pennello una già troppo citata suggestione nietzschiana: leggendo, precipitiamo nell’abisso che Elly si porta dentro e che lei stessa ha scrutato per anni (e iniziamo a capire il perché), talmente profondo e buio che non sappiamo più chi sta guardando cosa.

Il romanzo, l’ho detto, è sorprendente e penetrante. O lo si ama o lo si odia, ma non può lasciare indifferenti. A renderlo eccezionale è anche la scrittura di Lacey: ci costringe all’apnea, amplificando l’ideale immersione nelle profondità di una mente depressa con periodi lunghi e contorti, eppure dotati di una chiarezza lampante. “Mi tornò in mente una cosa che aveva detto non so chi sul viaggio – dice Elyria – e cioè che a volte il corpo si muove troppo velocemente per l’anima e l’anima ci mette un casino di tempo a raggiungerlo perché anima e corpo non si parlano tra loro, e però il corpo senza l’anima è una bestiola abbandonata, per cui pensai che forse era il caso di fermarsi e aspettare l’anima, e mi rendevo conto di quanto fosse melodrammatico tutto ciò ma decisi di fregarmene perché dopo tutto non l’avevo mica detta io per prima quella cosa, e anche se non mi ricordavo chi era stato ero abbastanza sicura che si trattasse di un tipo vecchissimo o europeo o entrambe le cose: un tipo affidabile, insomma”. Il viaggio di Elyria è insomma una fuga, ma una fuga impossibile perché, come capirà lei stessa (anche se “a ripensarci adesso non mi sembra una grande scoperta”), nessuno scompare davvero, perché nessuno davvero può fuggire da se stesso.

Catherine Lacey
Nessuno scompare davvero
Edizioni Sur, 2016 (edizione originale 2014)
243 pagine
16, 50 euro

di Cecilia Basile |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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