Sin dall’inizio dell’XI secolo e in maniera sempre più diffusa nei secoli successivi, dal XII al XIV, si assiste alla nascita e alla diffusione dell’arte vetraria in Europa. Le zone d’elezione sono quelle della Francia del nord e dei centri costieri lungo il Reno, in Germania, che si ispirano ai preziosi smalti limogini e alle severe ma decoratissime miniature dei codici medievali. I maestri vetrai sono artigiani-artisti nel senso più completo del termine. Grazie a un’innata capacità, che si sarebbe affinata con lo scorrere dei secoli, sono in grado di fabbricare splendide lastre di vetro colorato in pasta, che trattano quindi con sapienti operazioni di taglio e di legatura con tessere di piombo. Nel vetro così lavorato, inseriscono la pittura e la miniatura che altri artisti creano, nobilitando l’opera con l’impiego di specifiche tecniche, adatte alla ‘materia-vetro’ che trattano con perizia ed inventiva. Questi secoli, artisticamente irripetibili, vedono l’edificazione delle grandi chiese gotiche. Infinite le soluzioni cromatiche e tecniche, unitamente a quelle architettoniche, che hanno visto la più felice delle realizzazioni nella splendida cattedrale di Chartres.
Nei primi anni del Quattrocento la ‘giovane’ Fabbrica del Duomo di Milano incontra non poche difficoltà nel reperire dei vetri da lavorare e nella ricerca degli artisti-vetrai. La Lombardia non poteva basarsi su esperienze precedenti, a differenza di ciò che era avvenuto, con esiti felici, per altre importanti chiese gotiche dell’Italia centrale, grazie alla presenza di numerosi maestri-vetrai francesi e renani qui giunti, unitamente ai vetri da lavorare. Nascono così, all’inizio del Trecento, le prime vetrate sui ‘cartoni’ predisposti dagli artisti italiani della pittura su tavola o del fresco. In supporto a questa disciplina, per certi versi nuova, agiscono i più grandi nomi dell’arte italiana: a Siena Duccio da Buoninsegna, a Orvieto Lorenzo Maitani, la scuola di Giotto e Simone Martini ad Assisi, in Santa Croce a Firenze ancora Giotto con Taddeo e Agnolo Gaddi. Al 18 febbraio dell’anno 1397 risale la delibera con la quale la Fabbrica del Duomo inizia ad occuparsi delle vetrate; ma è solo nel 1403 che viene commissionata ad artisti del luogo una prima vetrata-campione per la sacrestia settentrionale; muniti di fogli di cartapesta per i cartoni, lastre di vetro colorate importate dall’estero e piombo, i pittori incaricati si avvalgono presumibilmente del contributo di maestri-vetrai giunti da lontano. Tra i migliori esecutori di vetrate di questo periodo, emergono Michelino da Besozzo, Antonio da Pandino, Nicolò da Varallo, abile questo nel tratteggiare quadri domestici e artigianali.
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Tra il 1420 e il 1540 vengono eseguite per il Duomo ben quindici grandi vetrate ed è proprio il Quattrocento, definito il primo periodo aureo, che vede all’opera maestri del contado e altri, per lo più anonimi, provenienti dal cenacolo di maestri-vetrai della comunità religiosa dei Gesuiti, attiva in Milano sotto il Ducato di Francesco Sforza. Fra questi, nella seconda metà del Quattrocento, risalta l’arte di Cristoforo de Mottis, considerato il migliore dipintore con vetri della cattedrale milanese, cui si affiancano altri notevoli artisti, ricordati dalle cronache del Duomo. I vetri milanesi del Quattrocento si stagliano, nel vasto panorama delle opere espresse, per la loro ‘lombardità’, privi come sono delle asprezze gotiche dei vetrai francesi e tedeschi. Dopo l’anno 1570 l’arte del vetro decade. Nel Seicento e nel Settecento non vengono più commissionate vetrate ma unicamente lavori di manutenzione e integrazione, in molti casi mal eseguiti. Questa nobile arte, forse più ‘artigianato’ che arte, rinascerà verso la fine del XIX secolo e Milano sarà all’avanguardia, con opere sacre e profane che troveranno spazio in Europa e nelle Americhe. Viene rivalutato il lavoro manuale, del ‘pezzo unico’ che pone in risalto mestiere, abilità tecnica e fantasia creatrice. Seguirà il periodo del Liberty, del floreale, con la bellezza del vetro colorato impiegato per contro-vetri, lampadari, paralumi e persino per le tombe di famiglia del cimitero Monumentale.
del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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