Spaccanapoli, il cuore della città partenopea

spaccanapoliUn lungo e scuro corridoio. Un’espressione che ben si addice ad un antico maniero inquadra il centro storico di Napoli. Spaccanapoli, come comunemente è conosciuto il Decumano Inferiore, è in realtà l’insieme di ben sette strade e racchiude un veritiero riassunto della città. È lungo circa 2.000 metri, toccando palazzi nobiliari e chiese e intersecandosi con stretti vicoli. È scuro in quanto l’ampiezza delle vie è ridotta e il sole non riesce a penetrare tra le facciate ravvicinate degli edifici. È un corridoio perché è un rettilineo senza un minimo grado di curva, una riga che taglia la città, che spacca Napoli appunto.

Concentriamo le nostre attenzioni solo su un tratto di Spaccanapoli, quello costituito dalle vie Benedetto Croce e San Biagio dei Librai. È questo il centro storico della città. Iniziamo l’interessante passeggiata da piazza del Gesù Nuovo, dove un obelisco sembra indicarne la posizione come una bandierina su una mappa. Scrutiamo le facciate dei palazzi per apprezzarne l’eleganza e anche per individuare la targa dell’UNESCO che spiega il motivo per cui il centro storico è patrimonio dell’umanità: Napoli è una delle più antiche città d’Europa. I suoi luoghi conservano traccia di preziose tradizioni, di incomparabili fermenti artistici e di una storia millenaria. Nelle sue strade, piazze ed edifici è nata e si è sviluppata una cultura unica al mondo che diffonde valori universali per un pacifico dialogo tra i popoli.

La facciata dell’omonima chiesa del Gesù Nuovo è davvero particolare per un tempio religioso e, in effetti, l’edificio nacque come palazzo residenziale della famiglia Sanseverino nel 1470 per poi passare di proprietà ai Gesuiti, che lo trasformarono in chiesa. Se l’esterno rimane piuttosto anomalo per le decorazioni con bugne di piperno a punta di diamante, l’interno è degno delle migliori chiese barocche, con grande ricchezza di marmi, affreschi e sculture. La chiesa, pur essendo dedicata all’Immacolata Vergine Maria, è luogo di culto di San Giuseppe Moscati, un medico che esercitò la sua professione agli inizi del Novecento dedicandosi totalmente alla cura dei malati; la gente era talmente affezionata a lui che, quando morì, la notizia si diffuse con le parole “è morto il medico santo”.

chiesa-del-gesu-nuovoDalla stessa piazza si accede al Monastero di Santa Chiara, la maggiore basilica gotica della città. I napoletani sono così legati a questo magnifico complesso che una celebre canzone ha immortalato il loro dolore nel vederla in buona parte distrutta dopo un bombardamento del 1943: Munastero ‘e Santa Chiara / tengo ‘o core scuro scuro … / Ma pecché, pecché ogne sera, / penzo a Napule comm’era, / penzo a Napule comm’è …

Il complesso conta di un monastero e un convento, il primo per ospitare Clarisse benestanti e il secondo per i Francescani che curavano la chiesa. Ma senza alcun dubbio il luogo che più di tutti richiama la nostra attenzione è il bellissimo chiostro maiolicato. Il porticato disegna il perimetro di un cortile tagliato da due assi centrali, accompagnati da colonne e panche decorate con maioliche che raffigurano decorazioni vegetali e scene tratte dalla vita quotidiana di un’epoca ormai andata. Un vero capolavoro, reso ancor più ricco dagli affreschi secenteschi delle pareti laterali del chiostro.

monastero-di-santa-chiaraFinalmente ci addentriamo dentro la lunga e stretta via e dopo pochi metri passiamo di fronte al portone del Palazzo Filomarino, residenza del filosofo napoletano Benedetto Croce fino alla sua morte, avvenuta nel 1952. Per Croce vivere nel centro antico di Napoli era quasi un bisogno vitale: qui si dedicò alla storia della cultura napoletana e ai luoghi antichi della città, raccogliendo le sue ricerche in preziosi libri conservati nella sua ricchissima biblioteca, la stessa per la quale i principali intellettuali europei suoi contemporanei giunsero fin qui, per riscoprire la cultura del regno di Napoli.

Proprio il fermento culturale che fece di Napoli una città alla pari delle principali capitali europee spinse il giovane Isidoro Odin a lasciare la natia Alba per sperimentare le combinazioni di sapori create nella sua bottega di cioccolato, dove ogni sera, con l’aiuto della moglie Onorina Gay, dava sfogo alla propria passione creando prodotti perfetti per il popolo napoletano, tanto amante dei peccati di gola. Se anche noi ci riconosciamo in questo peccato, entriamo nel piccolo negozio di Gay-Odin e assaggiamo i classici nudi, i cioccolatini di molteplici varietà venduti senza essere avvolti nella carta, le foreste, cioccolato al latte in forma di tronco di albero, e il Vesuvio, preparato con la forma del celebre vulcano e l’aggiunta di nocciole, mandorle e gianduia.
Poche vetrine dopo, la Passione di Sofì è una tipica friggitoria che propone succulenti assaggi, che vanno dalle verdure al pesce, dalle pizzette alle croquette di patate e provola, tutti rigorosamenti fritti, con buona pace del nostro colesterolo. Quella della gastronomia è senza dubbio una delle arti napoletane più note e apprezzate. Una sosta alle piccole botteghe che espongono varie tipologie di prodotti alimentari, come pasta dalle forme particolari, limoncello, sughi, salsine e taralli, quindi, è d’obbligo, fosse solo per curiosare tra colori, odori e sapori. L’arredamento moderno e i comuni prodotti da bar non devono ingannare: Leopoldo è legato all’antica tradizione napoletana grazie ai suoi ottimi taralli, oggi preparati secondo varie ricette, tra cui anche quella vegana. Ma il migliore rimane il tarallo classico, preparato con nzogna, pepe e mandorle; la sua origine risale addirittura al 1700, quando nacque come cibo povero ottenuto dagli avanzi della pasta del pane uniti alla sugna (un grasso ricavato dal maiale) e al pepe, mentre le mandorle furono aggiunte solo nel secolo successivo. Un tarallo accompagnato da una birra ghiacciata rappresenta davvero un bel momento di piacere.

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Tra una frittura, un tarallo e un dolce, siamo ormai giunti in quella che, probabilmente, è la piazza storica più celebre di Napoli. Piazza San Domenico Maggiore deve il suo nome all’omonima chiesa, imponente come una cattedrale, il cui interno vanta ammirevoli opere d’arte. Ma più che sugli eleganti interni, ci soffermiamo sulla piazzetta, magari comodamente seduti a uno dei tavolini dei locali che invadono senza prepotenza il selciato, e ammiriamo i palazzi nobiliari ai lati della piazza. Tra questi, il Palazzo di Sangro di Casacalenda risale al XVI secolo e la sua facciata è purtroppo penalizzata dalla strettezza della via, che non consente di apprezzarne l’eleganza come meriterebbe. In particolare, il massiccio portale è impreziosito dallo stemma della casata che domina sul timpano. Il palazzo è legato al principe di Sansevero, famoso per le scoperte, le doti paranormali e le alchimie. Il personaggio fu sicuramente particolare, tanto che diverse leggende aleggiano intorno al suo nome, non dipingendone in realtà un quadro positivo. Per meglio comprendere tali dicerie, abbandoniamo Spaccanapoli per poche decine di metri. La deviazione è obbligatoria: sarebbe davvero imperdonabile saltare la piccola ma meravigliosa Cappella di San Severo, un piccolo gioiello artistico che vanta un autentico capolavoro al suo centro. Il Cristo Velato dell’artista Giuseppe Sanmartino non può lasciare indifferente neppure un profano dell’arte; la scultura raffigura Gesù tolto dalla croce e ricoperto da un leggerissimo velo, che non riesce a nascondere i tratti del volto. Qui scopriamo la prima leggenda, secondo cui il principe cavò gli occhi all’artista in modo che non potesse mai più creare altre opere di così eccezionale bellezza. Scendiamo nella cripta per stupirci, e forse inorridirci, per due scheletri che racchiudono un esempio pressoché perfetto di corpo umano, con tanto di organi interni e tutto il sistema dei vasi sanguigni. Ma com’è possibile che secoli fa si potessero creare modelli tanto perfetti? Ebbene, una seconda leggenda sostiene che ancora il principe fece uccidere due servi, una donna e un uomo, facendoli imbalsamare in modo che mostrassero tutti i visceri, le arterie e le vene. Raccapricciante o meno, la cappella è una tappa d’obbligo che non deve essere evitata.

piazza-san-domenico-maggioreStrano a dirsi, ma la piazza San Domenico Maggiore condivide un angolo con un’altra piazza, stretta e lunga, che a prima vista è sicuramente scambiata per una via. La Piazzetta Nilo è dominata dall’omonima chiesa con facciata rossa e particolarmente elaborata. L’edificio è conosciuto anche come Cappella Brancaccio in quanto chiesa privata della famiglia. L’interno merita una visita in particolare per il bassorilievo realizzato da Donatello, che impreziosisce il monumento funerario nell’abside. All’angolo opposto rispetto alla chiesa, scopriamo il motivo del nome della piazza, una statua del dio Nilo. Se la statua della divinità ricorda la presenza degli Alessandrini duemila anni fa, il bar Nilo testimonia il passaggio ben più recente di una divinità calcistica ancora venerata dai Napoletani. Un caffè, tra l’altro ottimo, è una perfetta occasione per sorridere di fronte a un vero e proprio altarino dedicato a Diego Armando Maradona, qui un mito sempre amato.

diego-armando-maradonaSiamo ormai in Via San Biagio dei Librai. Il nome della strada omaggia San Biagio, protettore dei librai, e non è un caso se la sua figura è legata proprio al luogo dove, nella seconda metà del Seicento, con la ripresa della vita intellettuale, si aprirono numerose botteghe di librai, anche di commercianti stranieri, in seguito al rinnovato interesse letterario. Oggi, però, gli interessi sono altri e di librai non c’è più traccia.

Che sia Natale o ferragosto, un’altra deviazione obbligatoria è quella per Via San Gregorio Armeno, conosciutissima per le botteghe presepali. Nei cortili interni non è difficile osservare gli artigiani, veri e propri artisti del settore, mentre preparano con cura maniacale gli scenari in legno e sughero dove poi andranno posizionati i pastori. Questi sono esposti con orgoglio e ironia sulle bancarelle lungo la strada, che si susseguono le une alle altre come in un museo. E di museo si può parlare, in quanto molte statuette sono prodotte a mano e curate fin nei minimi dettagli, con gli abiti di vera stoffa. Oltre alla meraviglia di questi pastori, ci scappa più di un sorriso scoprendo volti di personaggi celebri dello spettacolo e della politica, dello sport e del mondo napoletano. Le dimensioni variano fino a raggiungere l’altezza reale, dedicata a personaggi cari ai locali, come il mai dimenticato Pino Daniele. Fortunatamente non mancano i personaggi tradizionali del presepe napoletano. Oltre, naturalmente, al Bambin Gesù, Maria e Giuseppe e ai re magi, il più noto è Benino, un pastorello che dorme beato incurante di ciò che sta accadendo.

Spaccanapoli sembra terminare poco avanti, quando incrocia un’ampia via. In realtà, subito dopo il rettilineo riprende con la sua ridotta larghezza. Noi, però, ci fermiamo qui, magari visitando la Basilica di San Giorgio Maggiore, una delle più antiche. Rechiamoci presso l’abside, dove sono appesi due grandi quadri. Uno di questi è sostenuto da un telaio che può essere spostato grazie ad una corda. Con grande sorpresa scopriamo che dietro al quadro si trova un affresco del 1645, opera di Aniello Falcone, celebre artista napoletano, raffigurante San Giorgio nella classica scena mentre uccide il drago per liberare una donna. Sembra incredibile, ma l’affresco è stato scoperto solo recentemente, dopo essere rimasto nascosto per secoli.

Quest’ultima curiosità conferma come Napoli sia una città ricca di misteri e segreti, ben amalgamati a storia, cultura, arte e, perché no, gastronomia. Il tutto condito con la vivacità tipica dei Napoletani. Tutto ciò lo troviamo nella stretta Spaccanapoli, che a ben ragione può essere definita un perfetto spaccato di Napoli.

di Massimo Cufino  |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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