Gita ai fari di Galizia (II)

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Il viaggio riprende, e viene spontaneo avvicinarsi con tanta emozione  e un po’ di timore a questo primo tratto di costa che per secoli rappresentò l’ultimo lembo di terra prima dell’ignoto. Molto qui parrebbe complottare per creare scompiglio nelle nostre certezze di esseri razionali e, si dice, moderni. Un nome, Costa da Morte, un cielo squassato dai temporali, un mare fitto di tempeste, un fondale cosparso di relitti, un’atmosfera impregnata di leggende. Eppure nei giorni di calma non c’è paesaggio più struggente e presago. Andiamo, il momento è propizio.

Il nostro incontro d’avvio è con il faro  di punta Nariga, presso   Malpica de Bergantiño. La costruzione è recente e l’architettura rammenta lo scafo di una nave dal lungo comignolo. Proseguendo ecco Laxe. Mentre procediamo verso le belle spiagge di Soesto e Traba, in una zona di canneti molto apprezzata dagli appassionati di birdwatching, è netta la sensazione di essere furtivamente osservati. Nei castros, antichissimi recinti in pietra occultati fra la vegetazione, forse qualcuno degli abitanti molto speciali di cui narrano i miti galiziani ci segue con lo sguardo. Sono i “mouros” esseri dalla pelle chiara e i capelli biondi, dotati di poteri fantastici e custodi di un ricchissimo tesoro. Impossibile vederli se non, raramente, la notte. Il mondo celtico inizia a manifestarsi con forza: qui sul lato estremo dell’ovest i riti dedicati al sole trovavano l’ara ideale e definitiva.

Ma una forza magnetica ci invita a ripartire, sfiorando i faraglioni antropomorfi di Penedos de Pasarela e Traba, per raggiungere il faro di Camariña, che ospita il Museo dei Naufragi. Pochi litorali sono così splendidi, pericolosi e ingannevoli. Oltre 150 affondamenti si contano in questo tratto della Costa da Morte. Dall’antico faro del 1896 si può ammirare la lanterna più recente che si innalza fino ai 105 metri per allertare i naviganti a grande distanza. L’impressionante Cabo Vilán cela la spiaggia isolata di Trece, da scoprire a piedi. Le tracce dei tanti naufragi ci attendono al Cimitero degli Inglesi, in un panorama ammantato di melanconia non fosse per i pini piegati dal vento, un segno della forza vitale di madre natura.  Presso il Cabo Touriñán con il piccolo faro proteso a occidente, il posto speciale è la Playa di Nemiña, circondata da prati e boschi verdeggianti e prediletta dai surfisti. La strada di nuovo ci chiama. Come i pellegrini di Compostela che nonostante le fatiche del Camino compiono l’ultimo sforzo per arrivare fino a qui e bruciare gli indumenti in un rito purificatore di rinascita e metamorfosi, ci siederemo alle pietre intorno al faro di Fisterra, il mitico Finis Terrae. Abbiamo saggiamente atteso il tramonto visitando il villaggio con il bel castello di San Carlos, del 1757, oggi museo della pesca, e il santuario di Santa Maria das Areas; e abbiamo reso onore alle delizie di mare famose in tutta Spagna, a cominciare dal polpo a la gallega. Ora però è il disco incandescente che dobbiamo seguire nel suo ultimo bagliore prima di affondare nel ventre dell’oceano. Come generazioni e generazioni fecero prima di noi in questo antico altare battuto dal vento, l’Ara Solis sacra ai Fenici.

Il prossimo tratto di costiera verso sud si annuncia con la distesa di abbacinante sabbia candida della Playa Carnota, tagliata e sagomata dalla foce del fiume Valdebois. Sono sette chilometri protetti dalla maremma di Caldebarcos, zona di alto valore naturalistico in cui nidifica anche il rarissimo Fratino. Presso la punta della ria de Corcubión due siti da non mancare: il Monte Pindo venerato dai Celti, a picco sull’oceano, e in prossimità la cascata del fiume Xallas direttamente in mare, una rarità paesaggistica. Proseguendo, superato il faro di Lariño  e le spiagge adiacenti, fino e oltre Louro sarà un mosaico di arenili, pinete e coltivi ad accompagnarci verso la profonda baia di Muros e Noia. Le due cittadine posseggono antichi centri storici e gradevoli locande dove assaggiare un succulento polpo ai frutti di mare, se già non l’abbiamo fatto nel piccolo aggraziato porticciolo di Louro. Ora è il momento d’incontrare uno dei più spettacolari e antichi insediamenti celtici, il castro di Baroña, una fortificazione appollaiata sull’altura che domina la spiaggia omonima, ben riparata e dalle acque limpide. Il misterioso popolo che sopravvisse anche ai romani ha lasciato numerose testimonianze e la Galizia ne è ricca. Ci avviciniamo alla playa di Seira e non è facile trattenere la commozione. La dolcezza della laguna e poco oltre la spiaggia di Furnas riportano alla memoria tante scene del pluripremiato Mare Dentro, il  film di Alejandro Amenábar.

Sempre hacia el Sur, ecco lo storico faro di Corrubedo edificato nel 1854 a segnalare le estese secche dei fondali circostanti. La luce rossa contrasta inconfondibilmente con quella bianca del faro sull’isola di Sálvora. Scendendo  si entra nel parco naturale di Corrubedo, istituito a protezione di un ecosistema unico che comprende il poderoso complesso dunale e le lagune di Carregal e Vixán, ma anche le spiagge del Vilar e della Ladeira. Questi luoghi sono densi di leggende che si rifanno all’epoca carolingia e alle guerre contro i Mori. Incontreremo le gesta di Orlando nella laguna di Carregal e poi  sull’isola di Sálvora dove, oltre al faro, vedremo la statua di una sirena eretta per rievocare l’amore fra il nipote di Carlo Magno e la bellissima Mariña, sbocciato dopo un incontro fatale sull’isola di Arousa.  Questa, situata all’interno della Rìa, il grande fiordo che porta lo stesso nome, oltre allo storico faro di Punta Cabalo del 1852 conta una trentina di spiagge incantevoli, numerosi resti di fortificazioni, di un abitato romano e dell’antico mulino a maree di Aceñas. Tutt’intorno allevamenti di mitili, che ritroveremo in diverse ghiotte preparazioni alla nostra tavola. A proposito, prendiamo nota: ci troviamo nella provincia di O Salnés, una delle zone vinicole più nobili e importanti di Spagna. Una visita ai produttori di Albariño è d’obbligo. E se la testa un poco vacilla sarà un piacere sdraiarsi sulle bianche sabbie di Playa della Lanzada ringraziando il dio Bacco per la sua generosità.

Percorriamo la Costa da Vela, ancora non saturi di belle spiagge, dopo una sosta a Cangas. Le dune annunciano Playa de Nerga e più oltre, accessibile con una passeggiata fra gli alberi, la spiaggia di Barra isolata, tranquilla, frequentata dai nudisti, e quindi la piccola chicca di Playa Melide, circondata dai pini. Raggiungiamo il faro di Cabo Home, anch’esso munito di sirena anti nebbia come l’omologo di Fisterra, e ci immergiamo nella vista spettacolare delle isole Cies circondati da una natura potente, di terra e di mare. In cerca di panorami ancor più grandiosi saliremo al  Facho de Donón, antichissimo sito di vedetta che abbraccia l’orizzonte fino alle rías di Vigo e Pontevedra. Nello stesso luogo sorgono le rovine di un tempio galiziano-romano del III secolo d.C. dedicato al dio Berobreus. Ma è infine tempo di salpare, un’ultima meraviglia ci attende. Un tratto di mare che già vide le scorrerie di pirati turchi, tunisini e inglesi ci spinge alle Illas Cíes, parte del Parco nazionale das Illas Atlánticas de Galicia. Abbiamo ancora qualche aggettivo a disposizione ed è il momento di spenderlo, pur sapendo che sarà difficile trovarne di adeguati a quelle che Tolomeo definì Isole degli Dei. I fari, uno più ardito dell’altro, sono quattro distribuiti fra le tre isole di Norte, o Monteagudo, del Medio (anche detta del Faro) e Sur o San Martino. Tanti angoli selvaggi ricchi fauna e flora, un ecosistema naturale intatto e una spiaggia giudicata fra le più belle del mondo: Rodas, semplicemente sublime.

 Testo di Gianfranco Podestà | Riproduzione Riservata Latitudeslife.com

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