Il 6 luglio del 1535, sotto il regno di Enrico VIII, nella Tower Hill di Londra viene decapitato Thomas More, umanista, scrittore di chiara fama, uomo politico e fervente cattolico. In Italia questo notevole personaggio, tra i più importanti della storia d’Inghilterra, è conosciuto come Tommaso Moro, mentre il nome latino di Thomas Morus è dovuto alla Chiesa Cattolica, che nel nome di Papa Pio XI, nel 1935, lo ha canonizzato come martire. Thomas entra nella corte del Re nell’anno 1520, ricevendo l’anno successivo la nomina di Cavaliere. Uomo di cultura, vanta amicizie di rango; ad esempio quella di Erasmo da Rotterdam, che gli dedica la sua famosa opera Elogio della follia. L’amicizia non dura molto, purtroppo, a causa di una diversa visione sull’interpretazione del cattolicesimo: grande difensore Thomas More, altrettanto grande accusatore Erasmo, che imputava alla dottrina cattolica non pochi errori. L’impegno a corte lo assorbe molto; diviene segretario di Enrico VIII ed entra in polemica con Martin Lutero e la sua dottrina protestante. L’impegno di Thomas non sfugge all’attenzione di Papa Leone X che nel 1521 gratifica il sovrano inglese (non Tommaso Moro!) del titolo di Difensore della fede. Difensore sì, ma anche libertino, Enrico VIII, che si invaghisce di una dama di compagnia di sua moglie (Caterina d’Aragona): la bellissima e orgogliosa Anna Bolena. Per sposarla, Enrico si proclama capo della Chiesa anglicana, dopo che al cardinale Thomas Wolsey, arcivescovo di York, non riesce di ottenere il divorzio e l’annullamento del matrimonio con Caterina. Costretto a dimettersi (anno 1529) Wolsey viene rimpiazzato proprio da Thomas More, nominato dal re Cancelliere. Niente da fare anche in questo caso: il rigido, colto e cattolicissimo Thomas nemmeno ci prova, conoscendo l’opposizione al divorzio di Papa Clemente VII. Rinchiuso dapprima nella Torre di Londra, Tommaso Moro affronta alla fine il martirio.
Così è stato descritto il momento della sua esecuzione: ‘Avanzò quindi verso il ceppo, davanti al quale s’inginocchiò per la recita del Miserere. Poi si rialzò in piedi, e quando il boia gli si avvicinò per chiedergli perdono, lo baciò affettuosamente e gli mise in mano una moneta d’oro. Poi gli disse: ‘Tu mi rendi oggi il più grande servizio che un mortale mi possa rendere. Solo sta attento: il mio collo è corto. Vedi di non sbagliare il colpo. Ne andrebbe della tua riputazione’. Non si lasciò legare. Da sé si bendò gli occhi con uno straccetto che s’era portato appresso. Quindi, senza fretta, si coricò lungo disteso, appoggiando il collo sul ceppo, che era molto basso. Inaspettatamente si rialzò con un sorriso sul labbro, raccolse con una mano la barba e se la collocò di lato celiando: ‘Questa per lo meno non ha commesso alcun tradimento’. La sua testa viene mostrata sul London Bridge per un intero mese, quindi recuperata da sua figlia, Margaret Roper. Le spoglie di Tommaso Moro sono tuttora custodite nella Chiesa di San Pietro ad Vincula, vicino alla Torre di Londra.
L’opera di Tommaso Moro (Utopia, 1516) narra di un’isola ideale (l’ottimo luogo) che in realtà non è concreto (nessun luogo). Se l’Utopia è irrealizzabile, ecco che Moro impiega nomi quali: Itlodeo (raccontatore di bugie) per il protagonista, Ademo (senza popolo) per il governante di Utopia, Amauroto (città nascosta) per la capitale, Anidro (senz’acqua) per il fiume di Utopia. Il libro, scritto in lingua latina aulica, parla di una società pacifica dove è la cultura a dominare e a regolare la vita degli uomini. Moltissime sono le ‘frasi’, i ‘concetti’ che impreziosiscono l’opera e che danno la misura della grandezza culturale del suo autore. Eccone una piccola scelta. Sulle differenze sociali: ‘i governanti sono sempre intenti a produrre nuove leggi, senza riuscire con questo a far chiarezza’; riferendosi (forse) a Enrico VIII: ‘se un re è talmente odiato e disprezzato dai suoi sudditi da non riuscire a dominarli se non riducendoli alla miseria attraverso la violenza, l’estorsione, la confisca d’ogni bene, allora è meglio che abdichi’; tra ricchezza e povertà: ‘i ricchi sono spietati, malvagi e del tutto inutili alla società, mentre i poveri sono uomini semplici, dediti a una quotidiana fatica ch’è di grande utilità per lo Stato. Molto più che per essi’. Ancora: ‘la povertà e il bisogno, controllano gli animi più fieri e scoraggiano le ribellioni’. Salendo al patibolo: ‘rimango fedele servitore del re, ma prima di Dio’, anche perché, conclude Tommaso Moro: ‘l’anima è immortale e destinata per volontà di Dio alla felicità’.
del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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