Si può dire che abbia conosciuto la Bolivia attraverso il Chaco Boreal del Paraguay. Quello che è ora il ‘grande nord’ di questo paese, prima della Guerra del Chaco (1932-1935) vinta dopo tre anni di cruenti conflitti e circa centomila morti fra entrambe le fazioni in lotta, apparteneva alla Bolivia. Il conflitto era stato motivato dal desiderio del paese andino di avere accesso al fiume Paraguay e quindi all’Atlantico, avendo perso nella precedente Guerra col Cile (1879-1884) quello sull’oceano Pacifico. In realtà l’obiettivo non dichiarato ma economicamente interessante era quello di poter disporre di presunte risorse petrolifere che il territorio avrebbe contenuto. Da allora, Bolivia e Paraguay, siglata la pace definitiva nel 1938, sono divenuti il ‘cuore’ senza mare dell’America meridionale. Anzi, esagerando (ma solo un po’) viene spontaneo affermare come il vero cuore sia proprio il Chaco – a cavallo del Tropico del Capricorno – a unire ancor di più le due nazioni. Una zona vastissima, a torto definita desertica. Certo, percorrendola, la sensazione che si tratti di un territorio ‘senza confini’ e con poche tracce di vita, la si avverte per davvero. Ma è appunto un’impressione, perché il Chaco è di fatto un deserto ‘verde’ e vivo, con enormi distese di terreni punteggiati da infiniti arbusti spinosi, cactus, palme caranday – alte, snelle, con la sommità ricoperta da un ciuffo rotondo di foglie – e da altre piante di diversa altezza e fogliame. Le piccole paludi presenti non sono mai uguali a sé stesse, ma variano a seconda delle stagioni e delle precipitazioni piovose e le molte pozze d’acqua ospitano camalotes e irupé: gigli, foglie e piante acquatiche che si raggruppano, purificando l’elemento liquido. Numerosi i campi coltivati a cotone nei quali lavorano gli indios, ospitati nelle fincas (fattorie). Consistenti le mandrie di bovini, con grandiosi tori capi branco dalle corna enormi puntate verso il cielo e controllate dall’alto da un’infinita varietà di volatili. Dunque, proprio desertico il Chaco, non è! Al di qua e al di là del confine, numerosi parchi nazionali e riserve ambientali: il paraguaiano Defensores del Chaco, i boliviani Noel Kempff Mercado e Kaa Yia del Gran Chaco, creato nel 1995 e amministrato da popolazioni indigene. Territori protetti che ospitano il taguà (una specie di pecari), formichieri giganti, tapiri, gatti selvatici, nandù (simili agli struzzi), capibara, serpenti e persino alcuni puma e giaguari.
Il Rio Paraguay è la vena d’acqua principale della zona. Nasce in Brasile, scivola verso sud per oltre duemila chilometri, prima di confluire nel Paranà. È fantastica l’emozione che si prova percorrendo verso nord e controcorrente il grande fiume – dalla base navale di Bahia Negra della Marina paraguayana – a bordo della Patrullera 02 della marina militare. Il natante viaggia spedito, caracollando da una riva all’altra, per evitare le molte isole flottanti formate da tronchi, rami e camalotes. Il fiume ospita una fauna particolare: serpenti anaconda, jacaré (coccodrilli), i temibilissimi piraña e una incredibile varietà di altri pesci tra i quali, molto ambiti dai pescatori che si muovono su piccole e sottili piroghe, dorados, patì, e surubì. Sulle rive, tra la fittissima e alta vegetazione – i territori circostanti sono quelli tipici del Pantanal – non è difficile assistere alle evoluzioni tra i rami di vocianti scimmie e magnifici e rumorosi pappagalli Ara. Più avanti, il confine cambia; prima era tra Paraguay e Brasile, ora, superato l’Hito Tripartito (luogo, confine diviso in tre) e imboccato il Rio Negro, il confine è tra Bolivia e Brasile. La densità della foresta è impressionante, così come il movimento di uccelli da una sponda all’altra; osservando il fiume, si assiste al passaggio di giovani jacarè e si vede un enorme serpente anaconda che galleggia, morto, mostrando il ventre rigonfio. La Bolivia comincia e finisce qui, per quanto mi riguarda. Tutto il resto del paese è meraviglia pura: dalle catene andine dell’ovest, agli altipiani del centro sino alle pianure amazzoniche dell’est e più giù ancora quelle del Chaco tropicale. Un susseguirsi di panorami mutevoli e straordinari che racchiudono secoli di storia e di vita vissuta. Scrive Anna Maspero: ‘la cultura indigena qui non è relegata al folclore, ma è così ricca e forte da essere sopravvissuta all’impatto con il Vecchio Mondo, in parte mantenendo la propria singolarità, in parte fondendosi con la nuova cultura in un originale meticciato’. È sufficiente un input come questo per aver voglia di visitare un territorio di eccezionale bellezza e di sicuro interesse culturale.
Testo del Columnist Federico Formignani , foto di Silvia Antonini|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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