In Bolivia la Ruta del Che: nei luoghi della morte di Guevara

Era la primavera del 1997, esattamente 20 anni fa, quando, dopo un viaggio di cinque mesi attraverso Perù e Bolivia, sono arrivato a Vallegrande. Ecco i miei ricordi. Indimenticabili.

 Percorro su un’improbabile 4×4 presa a nolo a Santa Cruz, guidata da un ciarliero boliviano che non smette mai di parlare e che ascolto attentamente perché è una fonte inesauribile di informazioni, la strada tutta curve che attraversa la regione a sud ovest della città e si inerpica sulle propaggini della Cordigliera Orientale, ricoperta da tratti di foresta inframmezzati a campi coltivati, fino a Vallegrande.

Nell’area dell’aeroporto, ormai dismesso, un gruppo di tecnici cubani, formato da Roberto Rodríguez Suárez, Fernando Ortega, Greco Cid, Ector Soto e Jorge Gonzales, stanno conducendo una campagna di prospezioni geologiche per individuare se realmente qui sia stato sepolto il corpo del Che, secondo quanto aveva dichiarato nel 1995 il generale in pensione Mario Vargas Salinas,che aveva partecipato alla campagna anti-guerriglia nel 1967 voluta dalla CIA e che aveva preso parte alla sepoltura segreta avvenuta alle prime ore del 11 ottobre  in un pozzo scavato da un bulldozer sul bordo della pista.

Il paesino è pieno di giornalisti arrivati da ogni parte del mondo. Ma anche di viaggiatori sedotti dalla figura carismatica del Che.  Guevara e la sua tragica e barbara fine si sono trasformati in un’attrazione turistica per cui tutti parlano del Che, sono pronti a fare rivelazioni e a fornire notizie inedite. Anche René Cadima, il vecchio fotografo che l’ha fotografato morto, che vende a caro prezzo le stampe di sbiadite fotografie che ne ritraggono il corpo nella lavanderia dell’Ospedale.

Appunto dalla lavanderia inizio il mio «pellegrinaggio» sui luoghi del Che. Si tratta di un piccolo edificio situato in un prato appartato rispetto al resto del nosocomio. Mi accompagna la signora Susanna Osinaga, che allora era infermiera. Con la voce rotta dal pianto mi racconta come ne ha lavato il corpo insaguinato nei lavelli in pietra posti al centro. Le pareti sono totalmente ricoperte di graffiti e scritte dove ossessiva ritorna la frase: «Il Che è vivo e lotta con noi!».

ErchBlòssl, che vive da anni a Vallegrande, dove ha aperto un ristorante con guest house, produce un vino che imbottiglia con l’etichetta con il volto del Che. Personaggio dalle mille ambigue sfaccettature, sostiene di aver conosciuto il Che e di essere a conoscenza di molti eventi. Compresi quelli che hanno alimentato la leggenda nera della “maledizione” che ha coinvolto tutti quelli che hanno avuto a che fare con la morte del Che, come il soldato che l’ha ucciso, divenuto pazzo e a sua volta morto ammazzato, e comel’ex generale Gary Prado Salmón,autore della cattura di Guevara quando era un giovane capitano,che è stato gambizzato ed ora è su una sedia a rotelle.

Verso il luogo del martirio

Dopo Vallegrande la carretera non è più una strada, ma un segno tracciato nei fianchi delle montagne che salgono oltre i 3000 m, fra tratti rocciosi e basse formazioni di alberi spinosi. Il Río Grande scava profonde gole e ampie vallate, dove si addensano alcuni villaggi scarsamente popolati.

E’ in questa regione isolata e inaccessibile che nel 1966 Ernesto Che Guevara giocò la sua ultima partita con la morte in nome della rivoluzione e della libertà. L’8 ottobre 1967 Guevara fu ferito nella Chebrada del Churo e portato prigioniero insieme ai suoi nel minuscolo villaggio di La Higuera, dove fu rinchiuso nei locali della scuola. Il generale Barrientos, presidente-dittatore in quegli anni della Bolivia, ne ordinò la morte su indicazione di Washington. Il Che fu ucciso durante la notte e il suo corpo fu portato a Vallegrande per le foto di rito. Dopo che un medico militare ebbe amputato le mani al cadavere, l’esercito boliviano fece sparire il corpo, rifiutandosi di rivelare se i resti fossero stati sepolti o cremati. Nessuno ne seppe più nulla. Ernesto Che Guevara entrò nel mito.

Le ultime ore prima dell’efferato delitto

Solo 65 km separano Vallegrande da La Higuera, ma per percorrerli ci metto più di quattro ore di scossoni e sobbalzi. Ci inerpichiamo fino a Pucara, dove sostiamo per tirare il fiato e bere un mate de coca.

La Higuera è una manciata di case, dove vivono circa venti famiglie. Al centro della piccola piazza spunta il busto del Che fra gli alberi, che fanno ombra anche ai maiali, decapitato nel 1993 dai soldati della vicina caserma El Condor. Mani pietose hanno rimesso al suo posto la testa sommariamente abbozzata nella pietra. La scuola, dove Guevara fu tenuto prigioniero e poi ucciso, è oggi un dispensario medico.

Miguel, che conosce bene la zona, ci conduce alla Chebrada del Churo lungo un impervio sentiero che scende fino al fico dove il Che fu disarmato e alla pietra dove fu ferito alla gamba destra. Più di due ore di marcia. Poi si sale il pendio che porta alla capanna in cui vive con la vecchia madre Virginia Cabrita, la piccola donna (è nana) che vide per ultima il Che la mattina di quel fatidico 8 di ottobre del 1967. Allora aveva solo 11 anni. Pare che il Che le abbia detto: “Diventerai ricca dopo la mia morte”. La donna ripete questa frase come un mantra davanti alla sua povera capanna, raccontando quanto fosse bello e gentile quell’uomo misterioso. Commosso dalle sue parole le lascio qualche dollaro. Nel nome del Che.

Testo e foto di Pietro Tarallo |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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