Caffè Florian, il buon salotto di Venezia

Luogo d’incontro di scrittori ed artisti,  simbolo ed icona del passato, il caffè nacque da una moda che affonda le sue origini nella Turchia del XVI secolo e mai più tramontata, anzi esportata in tutto il mondo. Il Governo Veneziano, pur essendo inizialmente diffidente, ascoltava con curiosità i rapporti degli ambasciatori nei paesi soggetti alla dominazione turca,  che narravano di come quella bevanda in Oriente fosse considerata. Venezia non poteva certo fare sua un’abitudine propria di una civiltà con la quale aveva sempre avuto dei rapporti conflittuali, ma una delle descrizioni riferita ai Saggi del Senato fu fortunatamente convincente: “Quest’acqua negra e bollente quanto si possa sopportare,  si ricava da una semente che si chiama cavèe, la quale dicono ha la virtù di far stare l’uomo svegliato, si beve a lunghe sorsate, ma non già durante i pasti, bensì dopo, come un dolciume, e ciò mentre ci si intrattiene piacevolmente con degli amici, così nelle botteghe come anche nelle strade.”

Inizialmente considerata come una pianta medicinale, il caffè cominciò ad arrivare a Venezia a partire dal 1638 e fin dall’inizio riscosse un clamoroso successo, tanto che in breve tempo la città divenne il centro del commercio internazionale di questo prodotto prestigioso, che in parte veniva inviato negli altri stati italiani e il resto nei paesi europei. Nel 1683 la prima bottega di caffè fu inaugurata sotto i portici delle “Procuratie Nuove”,  quasi cinquant’anni dopo l’inizio della sua importazione. Perché si attese così tanto? Probabilmente perché secondo delle voci che giungevano da Istanbul quella bevanda poteva avere effetti deleteri  sull’uomo in quanto “causando la perdita della virilità, rammollendo il carattere e, data la propensione al consumo in una compagnia esclusivamente maschile favorendo perfino la sodomia. Venezia, non poteva certo permettere una tale decadenza…Ma molto più realisticamente fu un’altra ragione, di ordine sociale a determinare una sorta di divieto non scritto alla consumazione del caffè, infatti, mentre si sorseggiava questa bevanda le conversazioni non si limitavano a semplici frivolezze, ma si parlava e si discuteva di politica!

Nell’arco del secolo successivo, però, la libertà e la tolleranza dei costumi presero il sopravvento e i rapporti che Venezia  intratteneva con i Turchi si ammorbidirono per favorire gli scambi commerciali, per cui la consumazione del caffè divenne un piacevole rito quotidiano, durante il quale si stringevano relazioni amorose e si trattavano affari, si criticavano libri e spettacoli, si scambiavano pettegolezzi e si commentavano gli avvenimenti mondani, entrando a contatto con i più svariati ceti sociali. Fu così che in tutta la città cominciarono a spuntare come funghi botteghe del caffè, ognuna delle quali col passare del tempo divenne meta di un determinato tipo di avventori, per cui c’erano il caffè degli artisti, quello degli aristocratici, quello dei commercianti, quello dei marinai e quello dei malviventi… Ovviamente, la clientela più esigente ed elegante scelse come suo punto di ritrovo il più suggestivo salotto di Venezia, Piazza San Marco, con i fragili pizzi della basilica d’oro e del Palazzo Ducale per fondale, e precisamente il Caffè Florian, che si affaccia proprio di fronte al campanile e che può anch’esso definirsi un vero emblema della città. Inaugurato il 29 dicembre 1720 da Floriano Francesconi come “Venezia Trionfante”, divenne ben presto, per volontà popolare, “Florian”, la più famosa delle “boteghe da caffè” esistenti all’epoca. “Andemo da Florian” divenne una frase così ricorrente che la fama del locale superò quella di tutte le altre duecento botteghe esistenti: la sua posizione centralissima gli garantiva infatti un flusso di clientela inesauribile.

Lo scrittore austriaco Karl Hernold riassumeva con una punta di umorismo la sensazione che provavano i visitatori del Caffè Florian: “l’Italia è il paese più bello del mondo. Venezia è la città più bella d’Italia. Piazza S. Marco è la piazza più bella di Venezia. Il Florian è il caffè più bello della piazza. Così io bevo il mio caffè nel posto più bello del mondo.”
Mentre davanti ai meravigliosi dipinti che si affacciano dalle pareti, su tavolini di candido marmo circondati da morbidi divani di velluto rosso si servivano caffè e vini pregiati d’Oriente, Malvasia e Cipro, Greco e Rosoli, fuori dalle vetrate istoriate del Florian scorrevano le grandi e piccole vicende cittadine, sfilavano i fasti della Serenissima Repubblica di Venezia e la sua caduta, si accendevano le speranze dei cospiratori per la libertà dal dominio francese ed austriaco e all’interno delle sue sale si raccoglievano i feriti durante i moti del 1848.

Fin dagli inizi, al Florian, si incontrava una clientela selezionatissima, che riuniva nobili veneziani, ambasciatori, commercianti, avventurieri, gente di lettere ed arti, ma anche gente comune: un mondo così variegato non poteva non stimolare la fantasia e creatività di un commediografo sensibile ed attento ai costumi del suo tempo come Carlo Goldoni, che, si dice, vi fosse entrato per la prima volta nel 1721 ancora ragazzo. Casanova qui corteggiava le sue dame, essendo il Florian, all’epoca, l’unico locale in cui erano ammesse anche le signore. Il Caffè era un crocevia di umori e notizie, dagli affari di Stato ai pettegolezzi, alle frivolezze dell’ultima moda, e non pare un caso quindi, che Gaspare Gozzi, nel 1760, scelse di distribuire qui, al “Florian”, la sua “Gazzetta Veneta”, uno dei più antichi giornali d’Italia.

Le accoglienti salette ospitarono così, via via, personaggi di spicco dell’arte e della cultura come Lord Byron, Parini , Foscolo, Goethe, Madame de Stael, Chateaubriand, Dickens, Proust, D’Annunzio e la Duse, Rousseau, Rubinstein, Stravinski, Modigliani, Campigli, per citarne solo alcuni.

Honoré de Balzac in uno dei suoi “Racconti d’Italia” narra che il Caffè Florian “…è insieme una borsa, un foyer di teatro, un gabinetto di lettura, un circolo, un confessionale…”

Addirittura il grande scultore Canova trovò in Floriano Francesconi un fervente sostenitore, e per ricambiare fu lo stesso Canova, giacchè Floriano Francesconi era tormentato dalla gotta, a scolpirgli un modello della gamba, per permettere al calzolaio di prendergli le misure del piede senza farlo soffrire ulteriormente.

Caduta la Repubblica di Venezia nuovamente sotto il dominio austriaco, i discorsi e i dibattiti intorno ai tavolini del Florian, citato con la struggente nostalgia da Silvio Pellico ne “Le mie prigioni”, acquistarono sempre più una connotazione politica, perché proprio da qui Daniele Manin aveva proclamato i suoi ideali di libertà durante i moti del 1848. Dieci anni dopo l’immagine del già allora antico Caffè Florian subì un profondo rinnovamento: i lavori diretti da Lodovico Cadorin dell’Accademia di Belle Arti cancellarono l’impronta austera che si era conservata fino ad allora, arricchendo e ingrandendo le sale.

Notevoli sono nella saletta detta “del Senato”, l’allegoria della scienza e delle arti, mentre alla saletta “dei quadri” sono esposti i ritratti di uomini illustri.

Al Florian, alla fine dell’Ottocento, durante gli incontri tra Riccardo Selvatico e i suoi amici, nacque l’idea della Biennale d’Arte, la cui prima edizione fu inaugurata nel 1895, in omaggio a Re Umberto I e alla Regina Margherita d’Italia.

Neppure la Grande Guerra riuscì a fermare l’attività del Caffè, che continuò ad essere un punto di ritrovo e ristoro, anche perché dall’inizio del secolo, le estati del Florian si erano arricchite della presenza di una vivace orchestrina, secondo la più classica tradizione mitteleuropea del Caffè Concerto.

In seguito, dopo un periodo di relativo oblio, il Florian, come altri caffè “storici”, fu restaurato ed è tornato ad incarnarne una nuova vita, mantenendo comunque intatta l’atmosfera ricca dei fasti del bel tempo che fu. Oggi, infatti, entrando in questa sorta di tempio pagano, cuore pulsante di Piazza San Marco, accanto all’usuale e affezionata clientela veneziana, accade spesso di incontrare importanti personalità della cultura, della politica e del jet set italiano ed internazionale.

Quasi tre secoli di vita non potevano passare sotto silenzio. Sono secoli fatti di gesti quotidiani e di grandi avvenimenti, di momenti difficili e altri di grande esaltazione, anche sul piano culturale, di presenze destinate a non tornare e di personaggi illustri che hanno scelto le sale del Florian come ideale “seconda dimora” a Venezia. Esperienze, situazioni, realtà che avevano bisogno di testimonianza, di “ricordi tangibili” in un locale che ha contribuito a rendere grande il nome della caffetteria veneziana nel mondo. Di questa “storia” fatta di quotidianità e memoria restano gli oggetti o i prodotti che il cliente, sia esso famoso o no, incontra da sempre durante la sua visita al Florian. A partire dall’istante in cui si mette piede nei suoi deliziosi salottini, ci si sente come rapiti dall’atmosfera senza tempo che sempre lo pervade, felici di lasciarsi, anche se solo per qualche minuto, il resto del mondo dietro le spalle, fuori dalla porta che chissà quante ne avrebbe da raccontare.

Ma visto che questo privilegio non è alla portata di tutti e che molti clienti vorrebbero portarsi a casa un pezzetto del loro Caffè prediletto, da anni è stato creato l’apposito marchio Florian. E’ quindi possibile, acquistare le tazzine o i bricchi per il latte decorati con l’omonimo marchio in oro, o la raffinata tazzina, di porcellana Limoges, da accompagnare all’antica caffettiera filtro, o ancora i posacenere, il mug e la moka dal design esclusivo. C’è anche la caraffa per l’acqua “Florina”, un modello esclusivo del Florian.

Per i golosi e i buongustai c’è solo l’imbarazzo della scelta tra: la miscela speciale di caffè Florian; la confezione regalo con quattro qualità di caffè; il cacao; i cioccolatini Florian; i tè, dalla miscela speciale “Florian” e molti altri ancora, il liquore al caffè e lo zabaione, l’aperitivo Rosso Florian.

E infine, per un brindisi d’eccezione, il “Florian Brut Royal”, spumante doc metodo classico, imbottigliato in esclusiva per festeggiare la plurisecolare attività del Caffè.

Attualmente il Florian chiude a mezzanotte. Sul campanile di San Marco, la Marangona, che è la campana dei falegnami, gli dà il segno, scandendo i dodici colpi. L’orchestra allora mette a posto gli strumenti, mentre il pianoforte scompare sotto un cofano chiuso da un catenaccio, come Houdini scomparirebbe durante il numero di magia.

Il caffè si prepara per la notte che sarà corta poiché alle sette… si ricomincia.

Testo di Giuseppe Barbieri, foto di G. Barbieri e Archivio Caffè Florian   | Riproduzione riservata Latitudeslife.com

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