Diario di bordo di Viviana Biffani: l’autrice del blog Desperate Surfers Wife racconta il suo viaggio in Costa Rica in compagnia di suo marito e qualche tavola da surf.

Viaggiatrice solitaria o moglie di un surfista? Introversa moglie di un surfista, spesso e volentieri viaggiatrice.
Avete presente quella passione che toglie il fiato, che ti fa sorridere inebetito senza apparenti motivi, che sfida pioggia, freddo, stanchezza. Quel sentimento inusitato che ti travolge e che, nella sua massima espressione, ti estrania dal mondo e dalle sue brutture?!
Mio marito è un uomo fortunato, perché ha trovato l’ago che protende la sua bilancia interiore verso la felicità perenne. Mi piacerebbe dire che il fulcro di quel pendolo sia io. Ma parliamoci chiaro, da capricorno realista e pragmatica vi dico che, se di infedeltà siamo tutti vittime, condivido volentieri la mia vita di coppia con una tipetta alta, soda, scattante, sportiva…e che non si lamenta mai!
Il nostro ménage matrimoniale è una sorta di poligamia legalizzata:
Lui. Lei. Una, o più tavole da surf.
Ma prima di cedere ad una retorica compassione nei confronti della moglie, che si sacrifica per il bene familiare, eccetera eccetera…chiariamo alcuni punti!
Amo stare da sola per ore, osservando il mare in tempesta.
Adoro il silenzio della lettura, come anche il respiro della natura, che riesco a percepire con maggiore coinvolgimento quando sono sola.
L’oceano mi rende felice: camminare per ore su una spiaggia, senza che nessuno reclami la mia presenza, è una goduria infinita!
Il tocco caldo e travolgente del sole – quando per fortunate coincidenze astrali, onde e bel tempo coincidono – mi fa sentire viva e straordinariamente sana.
Viaggiare quanto più lontani da civiltà e movida è la massima aspirazione che il mio animo forastico possa anelare.
Avere la possibilità di fare qualcosa che amo profondamente, potendo, al bisogno, lamentarmi e alimentare l’umano vittimismo… è il massimo della vita!
Detto ciò, caro amico di schermo, veniamo al dunque.
Che il sipario si apra sulla: Vita Disperata della Moglie del Surfista!
Vacanze a Santa Teresa De Combano – Costa Rica
Premesso che il nostro budget ci permette solo di viaggiare ai margini della bassa stagione, quando anche i paradisi più assolati si trasformano in lande umide, grigie e piovigginose. Eccoci pronti, con armi e bagagli, a raggiungere una delle mete che da anni alimentava i nostri sogni di viaggiatrice da una parte, e surfista dall’altra: la Costa Rica. YESSSS! Santa Teresa è una ridente località surfistica, affacciata sul Pacifico, inserita nella meravigliosa penisola di Nicoya.
Tralascio le informazioni stile Wikipedia e passo alla vita vissuta.
Dopo un tranquillo trasferimento aereo Roma-Zurigo-San Josè con la tanto sconosciuta Edelweiss, quantoeconomica e inaspettatamentecomoda: nel giro di 24 ore, eravamo arrivati nella capitale Tica. Se non lo sapete, e sinceramente non siete tenuti, nel gergo locale, Tico si riferisce a tutto ciò che fa capo alla Costa Rica.
Tico è il ragazzo dalla pelle ambrata, che ti saluta sorridente al check-in dell’hotel.
Tica è la colazione a base di riso, fagioli, aglio, cipolla, carne/pesce e chi più ne ha… il famigerato Gallo Pinto, immancabile ogni mattina su tutte le tavole delle osterie locali, le cosiddette Soda. Luoghi conviviali assolutamente consigliabili. Ancor più auspicabile è chiedere a qualcuno di fiducia – che non sia legato da vincoli familiari a qualche ristoratore della zona – quale sia la Soda migliore. Perché come in tutto il mondo, i piatti locali possono essere deliziosi o infinitamente pessimi, e questa differenza abissale spesso è colmabile da un metro all’altro, entrando in un’osteria, piuttosto che in un’altra.
La nostra prima, piovosa notte in Costa Rica, l’abbiamo trascorsa in un hotel a quattro stelle, ma si, bando alle tirchierie!! La possibilità di viaggiare in economia sarebbe giunta presto, la mattina successiva.
Arrivati all’Hotel Palma Real, con tanto di conferma garantita da uno degli onnipresenti colossi delle prenotazioni online, e terminati check-in e convenevoli con l’impiegato di turno, abbiamo felicemente scoperto che, prenotando direttamente a loro – nella fattispecie a lui personalmente – avremmo potuto spendere la metà! Tutto questo, spiegato dal receptionist con la confidenza di chi si rivolge in modo compassionevole ad un ex compagno di liceo, che ha deliberatamente dimenticato l’amicizia decennale che li legava. Segna nome, cognome, indirizzo elettronico del tipetto e porta a casa. Informazione preziosa e post-it definitivamente smarriti tra la reception e l’entrata in camera. Ma tanto mica siamo travel blogger: la definizione più appropriata è viaggiatori professionisti, costantemente allo sbaraglio e perennemente distratti.
Notte tranquilla, sveglia all’alba (agevolati dal fuso orario), taxi diretto alla stazione centrale dei bus.
Un’ora buona di attesa, partenza del pullman alle sette o giù di lì – se siete alla ricerca di informazioni precise e perentorie, questo articolo non fa per voi. Ma vi voglio bene lo stesso!
La distanza tra San Josè ed il porto di Puntarenas è di 3 ore, salvo imprevisti. Le fermate sono numerose, ma devo dire che il bus è comodo e vanta anche una connessione wi fi. Che poi funzioni sì e no per brevi momenti, è un’altra storia.
Durante il percorso, alla seconda fermata avevamo già fatto amicizia con una coppia di romani (non dico italiani, no no. Proprio romani de Roma, come noi!) che da una vita abitano a Santa Teresa. Pina ed Ivano.
Pina mi ha iniziata al gusto del Gallo Pinto mattutino, alla calma oceanica e alle lunghe chiacchierate sulla spiaggia, in barba alla mia proverbiale orsitudine.
Nella lunga giornata di viaggio il clima piovigginoso e visceralmente caldo non dà scampo: siamo nella Green Season, un modo gentile per definire la stagione delle piogge, quella che trasforma il paesaggio in oasi paradisiaca e rigogliosa, ma che rende impossibile sentirsi asciutti e ben pettinati. Donne attenzione: il ciuffo ribelle e il trucco calato saranno sempre in agguato, pronti a rovinare il vostro look. Ma vi do una notizia meravigliosa e contemporaneamente destabilizzante: a Santa Teresa nessuno farà caso al vostro outfit, né alla vostra messa in piega.
Fatevene subito una ragione: abbandonate i costrutti cittadini, godetevi una sana trascuratezza e… pura vida! Non mi fermo a spiegarvi anche questo modo di dire, che altrimenti non la finiamo più, il viaggio è lungo.
Dove eravamo? A Puntarenas, giusto. Dalla comoda sveglia alle cinque, eccoci arrivare in punta di piedi alla partenza del traghetto delle 11.00.
Panchine esterne per noi, che se non ti sei ricordato di avere a portata di mano sciarpa e maglione, i -5°C della cabina potrebbero inficiare il sano proseguimento della tua vacanza. Un’ora e mezza di trasbordo e…arrivati?!? Ma manco per niente.
Nota di comodità: una volta caricati i bagagli sul pullman, non dovrai preoccuparti di scaricarli durante le varie tappe. Verranno gelosamente custoditi dall’azienda dei bus, che provvederà a consegnarteli alla tua fermata.
Consiglio personale: butta sempre un occhio al via-vai di borse e valigie che verranno caricate e scaricate ad ogni stop, che il furbetto di turno è sempre in agguato.
Scendi dal traghetto.
Risali sul bus.
Affronta altre due ore di bus, ma questa volta con un bonus: le strade non sono più quelle asfaltate della capitale. Nella felice penisola di Nicoya il vocabolo asfalto è avveniristico tanto quanto teletrasporto, mentre simpatiche parole del tipo: buca, pozzanghera, voragine… sono un piacevole compendio ad ogni tipo di trasferimento via terra. Rimpiangendo il mio collare, che per tanti mesi mi aveva accompagnata durante un decorso post operatorio, trascorrevo le due ore successive aggrappata alla spalla di Emanuele (il surfista che felicemente mi accompagna in questa vita), cercando di tamponare i sobbalzi, le frenate eccessive e le rare accelerate. Del resto, il paesaggio circostante era quello tipico della foresta centro americana, e le strade da buttero che ci trovavamo a percorrere non potevano che essere tali. Una colata di asfalto a tre corsie sarebbe stata fuori luogo.
A questo punto penserai: dai dai dai, siamo quasi arrivati!
Ma de che!!
Un cambio pullman non ce lo metti?!
E già, perché le famiglie del posto che se la comandano, e che hanno il monopolio del trasporto locale, non avevano mai visto di buon grado il pullman Gran Turismo in arrivo dalla capitale. Che le dinamiche cittadine rimangano a dovuta distanza! Tanto hanno detto, tanto hanno fatto.
Quando si entra nel territorio di Cobano, tutti, indistintamente, devono rinunciare alle comodità metropolitane ed appollaiarsi sul ben più caratteristico – e scricchiolante – torpedone, con tanto di borse e valigie in braccio, che mica c’è un portabagagli.
Posso fare una piccola digressione? Quando decidiamo un viaggio, la mia rara pigrizia prende inaspettatamente il sopravvento, lasciando spazio ad una fiducia infinita nei confronti del mio compagno che decide praticamente tutto.
Avete ragione, se me la vado a cercare volontariamente, non devo lamentarmi. La sua certezza e conoscenza turistico-vacanziera da cosa sono dettate? Dalla cosiddetta scimmia del surf e dai racconti epici di amici – altrettanto malati di onde – che prima di noi sono stati in un posto piuttosto che in un altro.
Dal canto mio, ho una spiccata fantasia che mi fa immaginare paesaggi paradisiaci e situazioni idilliache, senza essermi minimamente documentata.
Avete presente Santa Teresa de Cobano durante la Green Season, vista dagli occhi di una donna adulta, che arriva da Roma?!?
Eravamo finalmente giunti alla meta del nostro lungo pellegrinaggio. Cosa ci attendeva?
Un’ unica strada fangosa e trafficata, manco fosse Via Nazionale di sabato pomeriggio.
Una lunga sequela di negozietti, alberghi, ostelli, ristoranti e macchine, quad, motorini scassati ed odori di varia natura.
Ma la giungla?!? Ma il Paradiso perduto? Ma la lontananza dalla civiltà?!
Questa è stata la mia impressione della Costa Rica, che devo ammettere, è durata diversi giorni, durante i quali mandavo messaggi deprimenti alle mie amiche, rimanevo chiusa in casa a leggere – anche perché fuori diluviava – e mi ripromettevo di non cascarci più!!
Durante l’infanzia, mia madre trasteverina mi ripeteva spesso – con accento romano ma inaspettatamente aristocratico: Non sputà in cèlo che te ricasca…
Arrivavamo per la prima volta a Santa Teresa a giugno 2016, siamo alla fine del 2018 e di nuovo in fuga dall’Italia, destinazione: penisola di Nicoya- per la quarta volta in meno di due anni. La vita è bella perché ci insegna a non fidarci della prima impressione e a perseverare. Ogni volta che preparo i bagagli, diretta in Costa Rica, provo l’emozione di un ritorno a casa, di amici che ci attendono con la tenerezza di un familiare, di luoghi che si sono fatti strada nella mia anima.
Un momento, il merito non ce l’ha solo Santa Teresa, anzi… una menzione d’onore la dedico alle persone che abbiamo conosciuto e ad una spiaggia più appartata, intima, meravigliosa: Playa Hermosa.
Siete curiosi di sapere com’è andata?
Sono presuntuosamente sicura di sì…
Testo e foto di Viviana Biffani|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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