Overtourism: quando il troppo (viaggiare) stroppia

folla

L’overtourism, il fenomeno degli ultimi anni che va a braccetto con le città con più like, i miradores dei baci in penombra e dei filtri migliori, le cinque stelle TripAdvisor e i litorali dei #lasciatemiqui.

Un tapis roulant da cui non possiamo scendere. Ce la si potrebbe immaginare così la modernità. E noi che corriamo con la tecnologia che ci nevrotizza, i social network che ci fanno da personal trainer, le news che ci bombardano, le fake news che ci stordiscono e le notifiche del telefono che ci dopano.

Questo contesto fatto di (troppo) tutto, non a caso, ha inevitabilmente portato alla nascita di un nuovo fenomeno. Così, tra le tante (troppe) parole che abbiamo imparato negli ultimi tempi come selfie, followlike e unlike, aggiungiamoci pure overtourism. Un’altra delle cose che ci fanno sudare, sempre su questo tapis roulant che usiamo per soddisfare il nostro bisogno continuo di riconoscimento– in chi o in cosa, ancora non si capisce.

In principio era il turismo

In principio era il turismo. Poi è successo qualcosa. Ogni settimana, ogni giorno, ogni secondo e ogni stima di numeri confermano e sentenziano il nostro ingresso nell’era del troppo – del too much all’inglese, se in italiano non è (troppo) cool. L’overtourism è quindi la nuova parte della nostra sovrabbondanza; il termine letteralmente vuol dire – udite udite – troppo turismo e in pratica si concretizza in tutto ciò in cui ci si imbatte per strada.

Come accade in politica, l’overtourism è fonte di polemiche e fa scontrare pensieri e opinioni: se da una parte c’è chi ci vede una sorta di El Dorado, dall’altra c’è chi s’immagina la deriva della società e del pianeta; e poi c’è chi crede che la verità stia nel mezzo. E valla a scovare però in questo caos.

Che cos’è l’overtourism

Data in breve una definizione del termine, cerchiamo di comprendere esattamente in cosa consista questo fenomeno.

Avete presente quando avete pianificato una vacanza, una gita romantica, un weekend fuori porta (in Italia o all’estero non fa differenza) e non riuscite a trovare un albergo, un ostello, un appartamento libero? Quando cercate di prenotare una camera da qualche parte ma nessuno risponde, o meglio ancora, quando vi rispondono dicendovi che sono “tutte piene”? Ecco, questo è overtourism.

Avete presente quando, scavalcato il problema dell’accomodation, state cercando di godervi la città, ma le piazze sembrano dei pollai, le file ai musei sono lunghissime, le attese ai ristoranti infinite e le strade tanto affollate che vi risulterebbe più comodo farvi largo nella maratona di Boston? Ecco, questo è overtourism.

Avete presente quando volete fare una foto ad un monumento o ad un tramonto da un punto panoramico, ma non riuscite perché ciò che si vede nel vostro obiettivo o nel vostro iPhone sono solo le teste altrui? Ecco, anche questo è overtourism.

La lista di esempi potrebbe continuare ancora, ma si è già resa l’idea. Quindi, quando avete pianificato una vacanza, una gita romantica, un weekend fuori porta e fare tutto vi diventa stressante, da un certo punto di vista potete stare tranquilli. Perché non è colpa della sfortuna che vi (/ci) perseguita, ne’ tantomeno di qualche allineamento strano di pianeti che ha portato voi (/noi) e tutti-gli-altri nello stesso posto. È semplicemente overtourism.

Dov’è l’overtourism?

mona lisa

Se vi state chiedendo se ci sono luoghi più overtouristed, la risposta è probabilmente sì. Il punto è che proprio questi, sono quelli che – guarda caso- ci piacerebbe visitare di maggiormente. Un po’ perché sono famosi, un po’ perché le foto di Google non sono niente male, un po’ perché ci appaiono sulle storie di Instagram, e un po’ perché l’amico dell’amico ce ne ha parlato bene.

Come un cane che si morde la coda, facciamo parte di questo strano e circolare meccanismo che ci fa finire sempre lì. Al computer, a prenotare una delle (solite?) destinazioni che, in cuor nostro sappiamo, avranno scelto anche tutti-gli-altri. Ed è in questo modo, che i flussi turistici si paludano. E siamo, dunque, nella caliente Barcellona, o nella movimentata Madrid, in Times Square a New York, o piazzati davanti alla Mona Lisa a Parigi, su un ponte a Venezia, imbambolati sotto il Duomo di Milano o davanti ai cancelli di Buckingham Palace… e così via, a spintonarci per le strade o alle mostre, e a lamentarci orchestrando in coro “mamma mia quanta gente”.

Come reagiscono le città dell’overtourism all’overtourism

Il fenomeno coinvolge, sì, i turisti, ma anche, inesorabilmente, i locali. Se da una parte quindi c’è chi visita, dall’altra c’è chi ospita… o chi non vuole più ospitare. Infatti, la folla esagerata e il chiasso costante si aggiungono all’accumulo di sporcizia che tristemente deturpa i centri abitati, condendo il pentolone di tensioni che sta bollendo sul fuoco.

Non ci si deve stupire, allora, se sulla Barceloneta percepiamo l’urlo silenzioso degli abitanti che si traduce in cartelli e scritte al suon di “questo non è un beach resort” , o se la spiaggia di Boracay ha chiuso i battenti per sei mesi per fronteggiare il problema plastica e quella di Maya Bay in Thailandia per far riprendere il suo ecosistema.

Non ci si deve stupire neanche se le vacanze e la qualità della vita nei luoghi sono deteriorate in modo inesorabile. A Machu Picchu per vedere le rovine ormai si cammina in fila indiana, come nei formicai, a Madrid ci sono più case in affitto che persone, a Roma ci si prende il diritto di fare il bagno nella Fontana di Trevi per spopolare sui social e a Venezia c’è forse il primato di città più sovraffollata del mondo; qui, anche i piccioni sono stanchi della gente. Perfino a Reykjavik, che sembra tanto lontana e – troppo – vicina al polo nord, l’ambiente subisce le pene della piaga; e se a Milano ci sono le zone a traffico limitato per le macchine, nel centro storico di Dubrovnik – culla della popolare serie tv di Game of Thrones – ci sono quelle per le persone.

Non ci si deve stupire se a Polignano non si riesce a stendere un telo sulla battigia e se dalle terrazze il mare sembra un quadro di Pollock, dove i colori pero’ sono quelli dei costumi da bagno.  Non ci si deve stupire se gli abitanti delle mete iconiche protestano per tutelare quello che hanno e non ci si deve stupire neanche se Platone diceva che Eros spinge alla morte. Perché è più o meno ciò che sta accadendo: si stanno trascinando le città più amate verso l’oltretomba.

La fama porta gloria, tanti agi, servizi e benefici economici, ma tutto ha un prezzo.

I dati

Il turismo a livello mondiale è in forte crescita. Gli arrivi internazionali dal 2000 al 2017 sono quasi raddoppiati, da 680 milioni a ben 1.322 milioni (UNWTO, 2018). Nel 2017 il turismo si è gonfiato del 4,6%. Solo in Italia nell’ultimo quinquennio, dal 2012-2017, gli arrivi complessivi sono aumentati del 17,8% e le presenze del 12,1%. Per non parlare poi del caso China, che rappresenta una vera e propria bomba turistica: se nel 2000 erano circa 10,5 milioni i cinesi che viaggiavano all’estero, nel 2017 sono stati 145 milioni. Cifra che secondo l’Istituto di Ricerca Cinese sul Turismo Estero prevede toccherà quota 400 entro il 2030.

Questo è il contesto e questi siamo noi

tecnologia

L’overtourism è un fenomeno 2.0? Anche qui, la risposta è probabilmente sì. La tecnologia è un’arma tagliente, per cui da un lato si ricavano tanti vantaggi, dall’altro non si sa mai bene a cosa si va incontro. Quindi, se grazie agli smartphone, alla comunicazione veloce, al boom dei voli low cost e alle nuove logiche di accomodation di AirBnB che ci fanno risparmiare riusciamo a pianificare molto più comodamente il nostro viaggio, parallelamente siamo influenzati e ci influenziamo a vicenda.

Se a questo ci aggiungiamo la nevrosi da social network, da voler pubblicare e condividere tutto perché tutti devono sapere che “ancheioc’ero”, ecco che la pappa è servita. Un buon piatto fatto di idee un po’ riciclate e di post negli stessi identici luoghi. E così, salutiamo il piacere dell’esplorazione, di sbagliare e della conoscenza più autentica. Per carità pero’, sempre tutti insieme.

Cosa si fa e cosa si può fare

Per porre un freno alla sovrabbondanza turistica, molti Paesi e molte delle città colpite si stanno adoperando per limitare quantomeno i danni del fenomeno, affinando vere e proprie strategie per il futuro secondo cui il turismo responsabile is the way. Si stanno integrando i piani urbanistici – come a Barcellona, dove si lavora per razionare gli alloggi del centro -, ci si mobilita con conferenze ad hoc sul tema per una maggiore presa di consapevolezza (vedi quella a Washington del 27 settembre), e si sta cercando di distribuire i flussi di visitatori non solo nelle destinazioni più bazzicate ma anche altrove – come sta accadendo in Islanda. Tutto ciò confermerebbe che l’overtourism sia un dato di fatto e non una costruzione mediatica.

Ciò che si può fare non è rinunciare a viaggiare. È quanto più (sperare di) saldare una sorta di collaborazione con governi e infrastrutture. Scegliere mete differenti, meno mainstream, “spararci” meno selfie e tenerci certe cose per noi potrebbe aiutare.

Se rimango a casa sfuggo all’overtourism?

Per il momento probabilmente no. Perché poco poco fai qualche foto bella in giardino, acchiappi tanti like, entri tra le tendenze o diventi influencer atterriamo tutti da te.

Testo di Francesca Romana Sassone|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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