
Tempo di vacanze e – ogni tanto – rivisitazione di antichi viaggi e antiche situazioni. Anche perché la sostanza non cambia molto, nel senso che un “racconto” fatto molto tempo dopo (una volta dichiarato!) può rivestire lo stesso interesse di un altro compiuto il mese scorso. Dunque: salto indietro nel tempo e approdo a Cuba, dove ho fatto un viaggio in treno da Avana a Matanzas, il porto dello zucchero dell’isola. Eccomi nella stazioncina di Casa Blanca pronto per salire sul vecchio treno dipinto di rosso; il locomotore porta il numero 20803 e in più ci sono tre vagoni di ferro che oltre al rosso hanno una larga banda inferiore color crema. Sembrano dei container su ruote nei quali siano stati praticati dei rettangoli orizzontali (i finestrini) e altri verticali (le porte). Gli interni del treno, dipinti di un verdino d’annata, hanno file di sedie anch’esse in ferro sui due lati. Dopo una veloce colazione consumata presso il chiosco dell’imbarcadero, il manovratore sale sul tetto della locomotiva, armeggia con il grosso pantografo per adattarlo al cavo della corrente; una volta terminata l’operazione scende con quattro salti e si sposta nella piccola stazione per scambiare quattro chiacchiere con il bigliettaio gallonato. Le operazioni d’acquisto dei biglietti avvengono nel massimo ordine e i vagoni un po’ alla volta si riempiono di viaggiatori, molti dei quali lasceranno il convoglio in una delle frequenti stazioncine lungo il percorso.

Con il fischio di partenza, il treno si muove a passo d’uomo tra le modeste abitazioni di Casa Blanca. Per una decina di minuti caracolla fra il verde arruffato di una periferia industriale (il fumo denso e scuro di una ciminiera, alcune cave, discariche, rottami, piccole pozze d’acqua). Ogni tanto il convoglio si ferma per consentire ai contadini di raggiungere le case e i campi nei quali vivono. La linea corre (si fa per dire) al di qua delle colline che la separano dai centri della costa: Cojimar, celebre per aver ospitato Hemingway che qui ha ambientato il suo “Il vecchio e il mare”; poi Alamar, Celimar, El Mégano, Santa Maria del Mar, sino alla più estesa Guanabo. Le minuscole stazioni si perdono nella vegetazione, tagliata questa dalle stradine polverose che attraversano il binario unico: Barreras, Agromar, Guanabo Viejo. Treno modesto, senza dubbio, il ‘20803’; i servizi sono un piccolo antro nero, col water-vista-terra e un minuscolo lavabo collegato a un serbatoio dal quale scende l’acqua. Non mancano tuttavia piccole attenzioni: un paio di posti a sedere, infatti, recano sulla lamiera una scritta stampigliata in rosso (embarazadas) e una figurina di donna col pancione. I numerosi bambini scorrazzano in piena libertà e fatalmente finiscono sui piedi degli altri viaggiatori, ma nessuno protesta: una carezza e via, a correre di nuovo. Alcune donne di mezza età, forse stanche per il turno di notte consumato a l’Avana, si addormentano, il capo mezzo fuori dal finestrino.

Il porto dello zucchero è sempre più vicino e il panorama cambia un po’; lontane montagne azzurrine delimitano enormi distese di campi di canna da zucchero; ogni tanto un ingenio (fattoria-mulino) per la lavorazione del prodotto tagliato dai macheteros. Le prime case di Matanzas bucano il verde intenso della campagna; sono messe qua e là, in delizioso disordine. Poi un ponte sul fiume, il mare all’orizzonte. Da questo porto viene spedito quasi tutto lo zucchero prodotto a Cuba. Prima del ritorno all’Avana, c’è il tempo per visitare il vero gioiello di Matanzas: la famosa Botica Francesa, ovvero il Museo Farmaceutico, monumento nazionale. Nei grandiosi scaffali in legno che coprono interamente le pareti del locale, bellissimi vasi in ceramica bianca e colorata contengono pomate, tinture, elisir e unguenti per la cura di malattie, infezioni, disturbi di ogni genere. Fra i diversi tesori della Botica vi sono preziose porcellane francesi, una raccolta di etichette di ogni genere, ricettari medici, strumenti di pesatura oltre un interessante campionario di erbe medicinali. I profumi diffusi – delicati e pungenti – completano il fascino indiscutibile della Botica. All’uscita, l’imprevisto saluto augurale del “poeta” della città: mi mette in mano alcuni foglietti di carta a righe vergati in carattere stampatello-corsivo; poesie d’autore! Le liriche d’amore sono semplici e zuccherose come l’odore dello zucchero che impregna l’aria: ‘…no se si te comprendo, cuando hablamos de amor; no quisiera perderte, me muero de dolor’. Camiciola al vento, sorriso sdentato, il poeta saluta e scompare nella scacchiera di Matanzas.
Libertas Dicendi n°219
del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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