
La grande città della Cina è reduce da un’estate di sovra esposizione mediatica mondiale; e non è detto che finisca qui. Sono ormai tanti i fine settimana dedicati dagli abitanti – cinesi un po’ diversi dai fratelli che abitano nella Repubblica Popolare – a inscenare manifestazioni di protesta contro il governo locale, dotato è vero di ampie autonomie che tuttavia rischiano di venire annullate. Centinaia di migliaia di cittadini, con le mascherine sanitarie sulla bocca e brandendo ombrelli di ogni colore, “occupano”, a seconda delle direttive ben impartite, i luoghi nevralgici della città: l’aeroporto anzitutto, ganglio vitale per le comunicazioni internazionali e sicura cassa di risonanza perché i “fatti” vengano visti e valutati nel mondo; poi il centro finanziario, quello governativo, le strade di maggior scorrimento, le stazioni della metropolitana. Ovunque ci sia spazio e possibilità di elevare la protesta che – quasi sempre – finisce a botte con le forze di polizia, peraltro molto ben addestrate ed equipaggiate. Il risultato? L’ombra di Pechino sempre più incombente, con i mezzi militari ammassati al confine con Shenzen; la figurina asciutta e priva di emozioni della Governatrice che ammonisce a non oltrepassare i limiti della legalità; cosa più importante, i feriti e gli arrestati che aumentano ad ogni week-end e che rischiano di venire incarcerati nella madre patria Cina. Difficile in tale contesto, pensare di “vivere” la città come abbiamo fatto io e Lucio Rossi, un po’ di anni fa. Senza poliziotti e pericoli. In una bella giornata di sole.

Partendo proprio dal luogo d’arrivo: il fantastico aeroporto di Chek Lap Kok, costruito interamente sul mare, come appendice della più grande isola di Lantau; una città perfettamente autonoma compresa nella più grande città di Hong Kong -Victoria – Kowloon, ex famosa colonia britannica. Qui arrivano e partono migliaia di aerei, nelle ventiquattro ore della giornata. Lunghe piste di decollo-atterraggio; bracci di cemento-ferro-cristallo ad accogliere milioni di viaggiatori da ogni angolo della terra. Negozi, ristoranti, hotel, lounge lussuose, centri ristoro, bar, eccetera, che consentirebbero agli eventuali emuli di Tom Hanks di vivere a lungo senza mai uscire dal recinto aeroportuale, senza per questo fare a meno dei servizi essenziali per sopravvivere. E invece è il caso di uscire, per dare un occhio a questa megalopoli asiatica, utilizzando il treno-metrò. È una linea comoda e super veloce che collega l’aeroporto al centro di Hong Kong; un treno sempre molto affollato, dato che unisce numerose frazioni della ex-colonia. Va detto infatti che il territorio è montagnoso, ricco di isole, penisole, baie, promontori verdissimi. Lungo le coste e negli spazi relativamente pianeggianti, è cresciuta con gli anni una città-mito, un tempo vera porta d’accesso alla “misteriosa” Cina. Oggi Hong Kong compete in più campi con il colosso asiatico – e ne deve sopportare la continua tumultuosa crescita – pur conservando moneta propria, finanze autonome, traffici privilegiati. Ciò che, evidentemente, non sta più bene a Pechino.

Dallo Central Star Ferry del Victoria Harbour i vaporetti fanno la spola con la terraferma; e dal piazzale antistante partono le due linee di bus più frequentate di Hong Kong: sono la verde Heritage Route e l’arancione Metropolis Route. A due piani, quello superiore scoperto, consentono di percorrere le strade principali della città. La linea verde attraverso i quartieri di Sheung Wan e la zona Central; l’altra, in direzione est, lungo le aree commerciali e finanziarie di Admiralty e Wan Chai.Tutti sanno che la caratteristica di Hong Kong è quella di avere la più alta concentrazione al mondo di grattacieli, nati dall’esigenza di sfruttare spazi ridotti. Il più alto (440 metri) è quello del World Financial Center. Gli fanno da corona altri colossi quali il Lippo Center che assomiglia a un teleobiettivo, quello della sede della Hong Kong and Shanghai Bank di Norman Foster, l’altro della China Bank di Ieoh Ming Pei: moduli piramidali che si arrampicano verso il cielo. Non si passeggia a Hong Kong. La città è percorsa da innumerevoli “autostrade urbane” per la moltitudine di bus (cinque compagnie private) che la percorrono. Destano curiosità e tenerezza anche i vecchi tram a due piani, variamente colorati, che si insinuano nei saliscendi delle colline e percorrono le vie tortuose del centro storico. I pedoni dispongono di corsie sopraelevate (e coperte) che uniscono i vari centri finanziari e commerciali alla rete urbana dei trasporti. Il traffico automobilistico privato viene scoraggiato, per ovvi motivi. Alla fine, una gradevole giornata di bus e di passeggiate nei luoghi ora invasi purtroppo da gente incattivita e preoccupata per il proprio futuro. Auguri, Hong Kong.
Libertas Dicendi n°226 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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