Nei giorni scorsi ho ricevuto uno stranissimo messaggio di posta elettronica: senza nome del mittente, senza oggetto, nessuna data né ora d’invio; una mail che ha bellamente eluso le rigide regole di identificazione che tutti conoscono, viaggiando per il “cloud” in perfetto anonimato, con una sola essenziale indicazione: “Friedrich, Mailand, manca solo il tuo scritto”. Stop. Nient’altro.
Nessun dubbio su chi l’abbia inviato; è stata Lisa, alla quale avevo effettivamente promesso di scrivere, una volta attutito il magone per la sua scomparsa. In verità, il vasto mondo degli amici di Elisabetta Lampe, detta Lisa, si era mobilitato in massa per farle sapere – con piccoli gruppi di parole, con frasi affettuose e mai di circostanza, addirittura con articoli e lunghe lettere, che la sua accettazione a lasciarci era arrivata a sconvolgere i pensieri e i sentimenti di chi l’ha conosciuta e le ha voluto bene.
Friedrich (alla tedesca, come sempre); manca solo il tuo scritto. Ok, Lisa, adesso ci provo, non senza aver premesso che non è affatto importante che ci sia il mio contributo; non aggiunge né toglie alcunché al gran numero di testimonianze arrivate: un campionario di parole che fanno bene a tutti (e che tu in particolare avrai sicuramente apprezzato) perché si intuisce al volo che sono, tutte insieme: dolorosamente sorprese, per via del fatto che abituarsi all’ineluttabile non è nell’indole umana; teneramente confuse, perché testimoniano di un rimpianto evidente: non averti cioè fatto quella telefonata, quella visita promessa o inviato quel messaggio che tutti – nessuno escluso – è in grado di vergare su un biglietto o battere sui tasti di un PC. Cerca di comprenderci, Lisa, perché il dispiacere è stato grande, improvviso anche se temuto, definitivo e purtroppo irrimediabile. Mentre tu stai prendendo le “misure” del nuovo paese nel quale sei approdata e lo stai facendo con la consueta scrupolosità dell’osservatrice pacata, acuta e indagatrice, a me vengono in mente brandelli della nostra vita passata di giornalisti giramondo. Eh sì, perché tu, non contenta di essere stata una collega che per lavoro ha incrociato tutti i meridiani e i paralleli della Terra, hai trovato il modo di “allargare” i tuoi orizzonti geografici con le puntate in Cina perché il tuo (per sempre) cucciolo vive là; oppure attraversando per il lungo la penisola, per apprezzare da vicino quello che il tuo uomo si era messo in testa di realizzare: un bellissimo trullo, grande abbastanza per contenere i pensieri, gli affetti e i progetti che ti fossero venuti in mente. Da Milano alla Cina alla Puglia e ritorno; tragitti compiuti fisicamente e – negli ultimi tempi – chissà quante volte col pensiero, col cuore.
So che dove sei ora penserai e realizzerai scritti diversi e più profondi, al punto che le passate cronache di viaggio ti appariranno alla stregua di evanescenti bolle di sapone soffiate quasi per gioco. Ma io, che sono rimasto quaggiù, come posso soddisfare la tua richiesta di “scrivere” qualcosa? L’unico mezzo che ho a disposizione è il ricordo, i comuni ricordi. Non dimentico le varie “missioni” esplorative del nostro collaudato gruppo di giornalisti Neos: tra i templi megalitici di Malta a respirare storia e il mio prosaico suggerimento a mordicchiare un “pastizzi”: frittelle ripiene di formaggio e piselli. Oppure in Provenza, a Saint-Paul de Vence alle prese con la “pétanque”, con te che preferivi le immagini datate della gloria locale, Yves Montand, idolo universale delle donne. Non sono mancate due nuotate in compagnia: la prima nel Little Sound di Bermuda, dal cui pelo d’acqua commentavamo divertiti le casette multicolori del bordo riva, immaginando che da un momento all’altro sarebbero uscite fate e gnomi dalla pelle nera. Quindi nell’incredibile mare dell’isola malese di Tioman, con alcuni colleghi che camminavano spediti sotto il sole per una caccia al tesoro e noi lì, a molleggiarci in quel mare tiepido e pieno di pesciolini, tra le barche ormeggiate dei pescatori. Lisa sempre allegra e dalla battuta pronta, come quando nell’Abbazia di Valldemosa, nell’isola di Maiorca, vedendo la cella angusta nella quale Frédéric Chopin e George Sand avevano consumato il loro tragico amore, avevi osservato che per uno dai polmoni fragili come Chopin quell’umida stanza si fosse rivelata un’alcova letale; e lo hai detto sorridendo anche con gli occhi, come facevi sempre.
Continua a sorridere anche dove sei ora e non smettere di suggerire dall’ignoto pensieri e parole per noi tutti. Scrivi piccole gemme d’amore per i tuoi cari, che hanno la precedenza assoluta; ma non dimenticarti dei molti amici che hai lasciato qui. Aspettiamo con fiducia i tuoi nuovi reportage.
Ciao Lisa.
Libertas Dicendi n° 232 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com