Venezia, marea d’amore

Acqua alta in Piazza san Marco
Acqua alta in Piazza san Marco Foto di tmal da Pixabay

Mentre, come tutti, guardo in tivù le immagini di Venezia sottacqua, mi sento le ossa umide e percepisco brividi di freddo che percorrono – più che il corpo – l’intero mio essere: intimo e periferico. Esagerazioni di chi è seduto e al caldo? No. Moti compassionevoli dell’anima e atteggiamento da malade imaginaire per quanto riguarda il corpo? Nemmeno. Il fatto concreto che peggiora percezioni e sensazioni, è dato dalla inequivocabile concretezza delle immagini. Quell’acqua che tante volte abbiamo ammirato – azzurra e stesa come un elegante velo dalle magiche trasparenze sulla città dei quadri del Canaletto – ora appare tra il grigio e il verdastro: insinuante, subdola, avvolgente; monta impercettibilmente ora dopo ora e si appropria, insieme ai beni e alle fatiche dei veneziani, dei loro spiriti sempre più fiaccati, delusi, mortificati, traditi. Osservo e mi chiedo, da semplice innamorato di Venezia (innamorato, non infatuato): perché l’essere umano fatica così tanto a rendersi conto di ciò che è bello, unico e che ha avuto in dono senza alcun merito specifico? Perché si mostra altalenante tra afflizione e colpevolezza solo per lo spazio temporale in cui avviene il peggio, per ritornare subito dopo nella cellula isolata del proprio egoismo e indifferenza, con il cessato allarme? Non so darmi una risposta. Quello che chiedo a me stesso in questo momento di doloroso limbo mentale è di rivedere una Venezia già vista, ma sempre diversa; una Venezia viva che appartiene alla mia memoria personale ma è anche memoria collettiva dell’umanità.

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L’acqua alta a Venezia nel 1966 in una foto storica

I milioni di uomini e donne che hanno visitato negli anni questa incredibile città, ne conservano specifici ricordi visivi ed emotivi. Questo è esercizio che riesce bene anche a me; possiedo un imponente archivio mentale dei miei incontri con la Serenissima e le visioni sono entrate a far parte di me giusto all’epoca in cui gli incontri hanno avuto luogo, senza che fosse necessario l’apporto deteriorabile di foto, scritti, voci, rumori. Per esempio: rileggo quello che ha scritto Friedrich Nietzsche nel suo “Ecce homo” (se dovessi cercare una parola che sostituisce “musica” potrei pensare soltanto a Venezia) e immediatamente decido che il mio termine sostitutivo potrebbe essere “luminosità” o meglio ancora “preziosità”; oppure riascolto i motivi cantilenanti del gondoliere veneziano (notte de luna, notte piena de stele, vado in laguna e vogo; e vogio cantar) e mi immedesimo nel dolore fisico dei gondolieri che hanno assistito impotenti al disintegro dei loro bellissimi strumenti di lavoro. Anno Domini 2019 come il 1966, l’anno dell’altra “acqua granda” invadente e indesiderata; solo che allora ero a Firenze ad asciugare con la carta assorbente libri e documenti dalla melma dell’Arno. Poi è tornato il sole, a Firenze come a Venezia. E negli anni ho accumulato nuovi incontri con la città della Laguna, ho arricchito il mio personale archivio di molteplici, indimenticabili sensazioni.

I portici di Piazza San Marco invasa dall’acqua Foto di eric delgrange da Pixabay

Venezia vista con la pioggia: una pioggia sottile e rinfrescante, quasi un peplo trasparente che avvolgeva case e palazzi. Venezia con la nebbia: dio, non andrà a sbattere contro il pilone, il vaporetto? Venezia con la neve: tutto bianco, merlettato e sospeso, col grigio piombo del Canal Grande. Venezia trionfante di sole e di colori: ed io (privilegiato) sul motoscafo della giuria della regata storica delle Repubbliche Marinare; lei è milanese, per chi tifa? naturalmente per la barca della Serenissima, rivale tosta la superba Genova e di contorno Pisa oramai senza mare e la tenera Amalfi che nella gara ha perso la bussola, arrivando ultima. Venezia antica e silenziosa: via per lunghi attimi dal centro trafficato da turisti e piccioni (ma che emozione sempre nuova metter piede in San Marco!) per assaporare piazzette e vicoli e ponticelli e rii che odorano di mare fermo e di umanità. Venezia della Giudecca, con la preziosa punta della Salute e gli esclusivi orti del Cipriani. Venezia del Casinò d’inverno, in città: una chiassosa roulette in compagnia di amici e la pallina che si ferma sul 27; cena sontuosa e bevande in sintonia, per tutti. Venezia delle preziosità, come il museo ebraico in Campo di Ghetto Nuovo, che in realtà è il più antico della città. Venezia dei sospiri, infine. Non quelli del celebre ponte, ma quelli spesi con lentezza e consapevolezza, posando lo sguardo su ogni possibile quadro di questa meraviglia unica e irripetibile, ricavandone benessere fisico, completezza spirituale; quasi un insperato nirvana.

Libertas Dicendi n° 236 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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