La “Chiave”; San Pietro ne aveva tre: scienza potenza e giurisdizione

chiavi antiche, foto di Jacek Nowak.jpg

Fuori il mondo, fuori tutti! Chiusura delle porte (a doppia mandata) per proteggere tesori, beni materiali individuali e collettivi, persone, gruppi etnici o religiosi, con le loro esclusive coesioni, molto spesso figlie di paure ed egoismi. Possibile tutto questo? Certo, con uno strumento che all’inizio del mondo era rappresentato da elementi naturali che potessero in qualche modo nascondere agli estranei individui come oggetti; ad esempio rami e frasche di alberi, legni orizzontali posti a fissare assi o tavole, vale a dire porte essenziali. Poi, nel segno di un oggetto che si è evoluto e modificato in dipendenza delle naturali divisioni umane, si sono avute, circa quattromila anni fa, le prime chiavi e serrature egizie, seguite dagli antichi romani con modifiche e aggiustamenti per rendere i luoghi che custodivano sicuri per qualsivoglia esigenza. Lo scorrere dei secoli e degli avvenimenti ha visto un continuo tentativo di migliorare chiavistelli, serrature e chiavi che dovevano aprire abitazioni, castelli, dimore patrizie, cancelli, portoni, torri, prigioni, insomma qualunque stabile o manufatto che avesse necessità di protezione. In tempi a noi più vicini, lo sviluppo in senso lato della “chiave” ha avuto dell’incredibile, a partire dall’invenzione e dal brevetto (1865) della famiglia americana Yale (Ottocento e primi Novecento) con la serratura a cilindro, la serratura più diffusa al mondo, sino a giungere alle realizzazioni tecnologicamente ed elettronicamente sofisticate dei nostri giorni.

Ma prima di quelle moderne, come erano le chiavi antiche? Artisticamente gradevoli e ben fatte, ma anche di notevole ingombro. Lo studioso svizzero Gastone Cambin ha pubblicato nel 1966 uno studio sull’evoluzione nel tempo della fabbricazione della chiave. Pare che l’inventore di un oggetto che avesse una presenza e una funzionalità ben precisa, rispetto ai tentativi precedenti, sia stato il greco Teodoro di Samos. Nel periodo greco e in quello romano le chiavi presentano congegni di grande mole e a Roma sono in uso, verso l’VIII e IX secolo a.C., chiavi simili a leve dalle forme più varie (a T, a L e persino a S). Nel I° secolo a.C. i Greci fanno una chiave a tre denti per alzare il saliscendi (cremagliera) e la chiamano chiave di Sparta. All’inizio dell’era cristiana le chiavi mostrano una caratteristica insolita: dispongono infatti di un anello, perché devono stare costantemente infilate al dito del possessore. All’epoca di Ludovico il Grande (1342-1388) la chiave appare ancora come uno strumento rudimentale, in genere di grandi dimensioni (fino a 20 cm. circa) per poi rimpicciolire e acquisire le caratteristiche di un oggetto artistico. Continua l’evoluzione: nel XVI secolo l’anello o l’impugnatura è lavorato a trifogli e il collare è a forma di capitello o balaustro; nel Seicento e nel Settecento le chiavi lavorate a giorno, cesellate e anche dorate, portano decorazioni con stemmi, corone, iniziali dei possessori. Interessanti collezioni di chiavi sono raccolte nei più noti musei: Firenze (Museo Nazionale), Venezia (Museo Correr), Milano (Museo Bagatti Valsecchi), Torino (Museo Civico), Londra (British Museum) e per quanto riguarda la Svizzera, ricorda Gastone Cambin, il Museo di Coira, nel Canton Grigioni.

Esistono “altre” chiavi. Quella di volta: che è un cuneo fondamentale di un arco o di una volta; l’elemento della balestra: un’arma; in musica: il segno convenzionale che serve a fissare la posizione delle note e la relativa altezza dei suoni e anche la leva che negli strumenti a fiato e nei legni in particolare, serve a chiudere o aprire un foro al di fuori della portata delle dita. Chiave infine, detta anche pirolo o bischero, è quel perno che si innesta nel manico degli strumenti a corda e serve per tirare le corde stesse, regolandone l’intonazione. Poi c’è la chiave, parola nata dalla latina clavis, ricca di simbologie differenti. Tenere o mettere sotto chiave: essere o mettere al sicuro; ironicamente, mettere in prigione. Chiavi in mano: fornire un’opera appaltata o costruita pronta per l’uso, fornire anche qualcosa “tutto compreso” (un appartamento, un’autovettura ecc.). Avere la chiave di casa: essere padrone di ogni cosa, essere quello che decide tutto. Offrire le chiavi della città: atto di rispetto o gratitudine verso personaggi importanti, oppure segno di sottomissione a un vincitore o a un potente. Settore, posto, ministero, valuta “chiave”: riconoscimento a posizioni di lavoro o comando. Per concludere: è indispensabile possedere la chiave di lettura giusta per ogni porta o esigenza, usando nel contempo la parola chiave appropriata per arrivare ad aprire tutte le porte. O quasi…

Libertas Dicendi n° 245 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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