
Chissà mai cosa c’è venuto in mente, a me e all’amico e collega Brian Robinson, di voler fare una gita a Oslo, per di più in un mese di febbraio di tanti anni fa particolarmente gelido. Non è che nel luogo di partenza il clima fosse migliore; eravamo infatti a Göteborg, poco più sotto, dove ampie porzioni di mare dai bassi fondali, lungo la costa, erano gelate. In città, d’altra parte, avevamo esaurito gli impegni – in verità piuttosto elastici – programmati da Londra con esponenti della stampa locale e avevamo goduto della loro ospitalità e delle loro corroboranti escursioni gastronomiche. Nella memoria conservo il sapore (squisito) e il profumo (pungente) delle infinite aringhe con panna acida, la cui aggressività veniva quasi sempre stemperata nel palato dalla vodka locale che qui chiamano genericamente brännvin: vale a dire tutto ciò che deriva dalla fermentazione di cereali e patate. Non era poi mancata un’escursione originale a Borås (si pronuncia Boròs, suggeriva Brian) a una sessantina di chilometri da Göteborg, per assistere a fantasmagoriche gare di velocità tra scassati Maggiolini Volkswagen, sulla superficie innevata e scivolosa di uno dei molti laghi gelati della zona; divertimento assicurato che sarebbe proseguito dopo cena nella Bodega dell’Hotel Opalen. L’Hotel di Göteborg, prossimo allo stadio Ullevi, aveva infatti due poli d’attrazione ugualmente interessanti: per gli amanti del gioco, il casinò; per tutti gli altri, la Bodega, dove si ballavano ritmi sudamericani con un’orchestrina italiana ormai stanziale, inanellando discreti successi personali grazie al fatto che le coppie che arrivavano dai piccoli centri della zona, qui si dividevano: gli uomini al casinò, le donne dai capelli biondi o ramati a ballare: con un inglese dalla faccia mediterranea e un italiano che suscitava oh! di sorpresa perché non era come le signore si aspettavano fosse: piccolo, nero e peloso.

Comunque sia, freddo o non freddo, decidiamo di impiegare il residuo fine settimana – prima del rientro definitivo a Londra – per andare a vedere la capitale norvegese. La parte bella del viaggio lungo la strada europea E6 – che con gli anni avrebbe mutato pelle e itinerari divenendo autostrada – era data dalla visione alternata di scampoli di foresta verdissimi, di paesaggi ondulati perché mossi dal sottostante antichissimo strato di graniti, di fiordi lunghi e zigzaganti, a volte circondati da piccoli laghi (un tempo mare) rimasti isolati per il sopravvento di saldature terrestri e, infine, da minuti centri abitati luminosi e compatti: nel verde delle campagne e ai bordi di un mare dalle acque azzurre scure, quasi grigie. Il confine con la Norvegia è sull’Iddefjord – stretto e lunghissimo – attraverso il vecchio ponte di Svinesund (quello nuovo sarebbe stato edificato nel 2005). Il viaggio è proseguito fra continue visioni di pini, abeti e rocce, intervallate da scorci di mare (in lontananza e ravvicinati) che a loro volta apparivano picchiettati da grandi e piccole isole. La costa svedese e norvegese del Skagerrak, sembrava davvero come frantumata dal pugno possente di qualche irosa divinità scandinava. Arriviamo infine a Oslo, l’antica Cristiania.

I ricordi della fantastica capitale norvegese? Molti e tutti affastellati a comporre un mosaico mentale fra i più colorati e riposanti. Anzitutto a me e a Brian alcuni amici (suoi) locali, avevano consigliato di andare come prima meta in cima al Kirkeberget, per godere del panorama sulla città vecchia e passeggiare subito dopo nel centro storico, ricco di edifici, negozi, bar e ristoranti. La lunga strada Karl Johans Gate accoglie la storia in pietre della Norvegia: il palazzo Reale, il teatro nazionale, la sede del Parlamento, l’università. Ritorno col pensiero a quei momenti di puro svago e relax, rivedendomi perso fra strade e case, negozi e mercati, verde di parchi e giardini e l’azzurro del mare. Freddo sì, ma con un bel sole a rendere piacevole ogni visione. Secondo suggerimento degli amici norvegesi di Brian: prendetevela comoda, perché Oslo è molto vasta, una città immersa nel verde a tal punto che avrete l’impressione di trovarvi in un bosco nel quale vi capiterà di vedere anche delle case. Verità assoluta; le aree protette con laghi, foreste e colline, sono davvero tante. Naturalmente in questa splendida natura c’è una meta che il mio amico non vuole perdersi, da perfetto sportivo qual è: Holmenkollen con il museo dello sci, i richiami alle avventure polari di Amundsen e Nansen e, alla fine, il celeberrimo trampolino dalla cui torre si gode un panorama fantastico. Dopo l’omaggio agli esploratori poteva mancare quello ai navigatori? Oslo ha dedicato ben tre musei alle sue “navi”. Noi decidiamo per quello delle navi vichinghe, le suggestive imbarcazioni funebri che raccontano degli antichi popoli navigatori. L’ultima escursione non poteva avere altra meta che il parco di Vigeland, con le famose sculture in granito e bronzo – tutte in “movimento” – nell’interpretazione del fantasioso Gustav. Ogni città possiede piccole e grandi raccolte di meraviglie che finiscono per incasellarsi nella memoria di chi le visita. Oslo, per me, è la visione ripetuta e rassicurante di persone d’ogni età dall’aspetto solare e sereno, evidentemente felici di vivere dove Odino aveva deciso di collocarle.
Testo del Columnist Federico Formignani|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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