Da capitale reale e industriale d’Italia, alle trasformazioni sociali e culturali che la pongono oggi nel ristretto novero delle città da vivere e dalle quali apprendere come farlo

Fra le grandi città d’Italia, Torino viene forse considerata la meno italiana; meglio sarebbe dire la più straniera, senza che la definizione suoni riduttiva o, peggio, offensiva. Al contrario questa impressione, tutto sommato condivisa da moltissimi abitanti della penisola, finisce per essere un vero e proprio complimento, formulato magari a mezza voce e con una certa soggezione nei confronti di una città che non si sa mai bene come “prendere”.
Sarà per quell’insieme imponente di palazzi barocchi che la caratterizzano, per quelle vie a reticolo perpendicolari le une alle altre e difficili da percorrere senza perdere l’orientamento; sarà ancora per quei viali immensi, alberati, a due, tre, quattro corsie, percorsi da tram austeri, alcuni elevati al rango di vera e propria metropolitana leggera, ma Torino possiede – insieme ai suoi caratteri distintivi – qualcosa in più: ad esempio, quell’aura di apparente mistero che affascina ed è esclusiva di chi vive la propria vita percorrendo binari mai intersecati da altri. Come Torino, appunto.

Uscendo da Porta Nuova, alcuni anni fa, mi è rimasta nella memoria la visione di una Torino arruffata e sconvolta dai lavori stradali e strutturali che le stavano cambiando fisionomia; mobilità viaria in parte paralizzata, gimcane di percorso perché Torino si stava facendo bella, era sulla via di un ammodernamento che avrebbe suscitato ammirazione e consenso generale. Intermezzi di tempo e di lavoro che hanno alla fine prodotto, tra le molte realizzazioni, le meraviglie di Porta Susa e della stazione ferroviaria principale.
Si torna quindi sempre all’antico sentire: per milanesi, genovesi, romani (per tutti) Torino è l’antica capitale, la città degli Agnelli e della Fiat anche se materialmente non ci sono più: dinastia diluita da differenti apporti sanguinei la prima e casa automobilistica un po’ qua, molto là (Olanda) e altrove (USA) la seconda. Per tutti, ancora, Torino rimane la città della Juve pigliatutto e del Grande Torino di Superga, che ad ogni anniversario della tragedia rinnova antiche lacrime di gioventù.

Una cosa è comunque certa: malgrado i numerosi innesti di gente e di imprenditori arrivati da altri lidi in questi ultimi anni – riprova di rinnovamento nella continuità – Torino rimane la città del Gianduia e dei deliziosi gianduiotti, della bagnacauda, del Museo Egizio, della Mole, dei parchi, in primo luogo di quello del Valentino che si specchia nel Po; ma alla fine dell’elenco dei luoghi comuni Torino conserva, inscalfibile, quella impalpabile atmosfera di internazionalità sofisticata che il visitatore inconsciamente avverte. Persino le grandi piazze, mettono soggezione; spazi immensi nei quali ci si perde. Poche città vantano un insieme di capolavori urbanistici come Torino; monumenti e chiese e palazzi che respirano e si nutrono del vento che arriva dalle Alpi.

Sono tutti torinesi, oggi, anche quelli arrivati tanti anni fa per far fronte alle esigenze di Mirafiori e dell’infinito tessuto produttivo dell’indotto; anche quelli che hanno contribuito a cambiare la geografia etnica con i loro apporti colorati. Guai toccare Torino ai torinesi, reagiscono in maniera deliziosamente permalosa; è un atteggiamento che arrivano a capire persino quelli di Milano, da sempre antagonisti per elezione.
Ma chi viene da fuori, da qualunque parte arrivi, non può fare a meno di avvertire questa atmosfera vagamente snob che permea l’incedere di uomini e donne che, lo si avverte, hanno nel DNA chiare tracce dell’antica perduta nobiltà, quando la città dava del tu a Parigi e il francese veniva parlato nei salotti buoni dei circoli esclusivi, per solito impenetrabili.
Scampoli di questa Torino sofisticata e sottovoce ne sopravvivono molti: ristoranti dall’atmosfera ovattata, nei quali si può gustare una gastronomia da sballo, ma con riservatezza! Caffè eleganti nel loro luccichio di ottoni che mai eludono – per una clientela affezionata e per quella di passaggio – il rito pomeridiano della deliziosa cioccolata. E poi negozi, boutique, austere librerie, templi del buon cibo, tutti parati a festa come fosse il giorno dell’inaugurazione.
Torino vive così, sovrapponendo il suo innato buon gusto e il retaggio di una storia unica e densa di avvenimenti, alle immancabili contaminazioni degli ultimi anni, quando una vera folla di stranieri giunti da ogni dove, ha sostituito gli stranieri nostrani delle prime ondate immigratorie. Torino, in fondo, è consapevole e quasi lieta di riuscire a mettere in soggezione, col suo fascino intatto, la rimanente schiera di “forestieri” italiani che non hanno, né potranno mai avere, una città che le assomigli, almeno un poco.
Testo del ‘Columnist’ Federico Formignani foto di Franco Cappellari |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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