Storie e curiosità della Venaria Reale, residenza sabauda che ha attraversato le epoche conservando il suo splendore fino ai giorni nostri.

Dicembre 1798: con l’arrivo delle truppe napoleoniche, Venaria Reale cessa di essere una dimora di corte. Era stata residenza di caccia grazie al grandioso progetto dell’architetto Amedeo di Castellamonte ed il palazzo dei re con l’ampliamento di Filippo Juvarra.
La residenza era già in completa rovina nel 1804, poi smantellata pezzo a pezzo per arredare il Palazzo di Torino, scelto per ospitare Napoleone in caso di un suo passaggio nel territorio. I pavimenti in legno degli appartamenti, quelli marmorei delle gallerie, camini, sculture e arredi vengono ricollocati in altre residenze sabaude come a Genova, Roma e la stessa Torino.
Nonostante le dispersioni dell’Ottocento, la reggia è ancora un capolavoro dell’architettura e del paesaggio, dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco nel 1997. Un unicum architettonico-ambientale dal fascino straordinario per la bellezza della sua residenza nobiliare. Da scoprire soprattutto gli enormi giardini, connubio fra antico e moderno, e le collezioni esposte all’interno del palazzo.
Una lunga storia
Fra Cinquecento e Settecento vennero costruite attorno a Torino dimore lussuose, località di svago per la corte sabauda, ma anche di controllo del territorio circostante; una quindicina in totale, fra cui primeggiò da subito il complesso della Venaria Reale con i suoi 80 mila metri quadri di dimora, i 60 ettari di giardini, quelli recintati del Parco della Mandria e il vicino borgo antico.
Nel 1999 prende avvio la più grande opera di conservazione di un bene culturale mai avviata in Europa. I mille affreschi riportati all’antico splendore, quasi dieci chilometri di stucchi recuperati e centomila i metri quadrati di superficie restaurata. I lavori si concludono nel 2007 e finalmente la reggia dove rivive i fasti di un tempo.
Gli arredi preziosi

Quattro scrivanie a ribaltina, 7 sofà, 50 sgabelli pieghevoli, 2 poltrone da toeletta e 2 cabriolets, 11 poltrone, 50 sedie, 13 specchiere; anche letti di ogni genere: alla turca, all’imperiale, a cameretta, all’inglese, a tombeau, alla duchessa. Per gli appassionati di numeri e elenchi dettagliati, la Reggia di Venaria accompagna lungo il percorso di visita attraverso le sue maestose sale in cui ammirare arredi, oggetti preziosi e opere d’arte.
Fra i più presenti ci sono gli sgabelli, ben 276, le fodere per sedie, poltrone e panche (262); da non dimenticare i teli da tappezzerie: 289 suddivisi in persiena bianca e verde, cremisi a fiori gialli, cremisi a fiori bianchi e verdi, in damasco cremisi e rigato bianco e blu. Ancora: 88 quadri raffiguranti i papi, 4 obelischi di marmo rosso, 5 busti e tre puttini, 2 gruppi scultorei, 7 piani di marmo giallo, verde e grigio da consolle, 7 paraventi e 1 altare.
La Venaria altrove

Molti degli oggetti d’arte che un tempo impreziosivano la dimora sabauda oggi si trovano invece in altri celebri luoghi. Trasportati dalle terrazze della Galleria Grande, dove erano in origine, 14 vasi scolpiti abbelliscono ora i giardini del Palazzo Reale di Torino. Degli altri quattro, trasferiti inizialmente negli scaloni dell’Università del capoluogo piemontese, non si hanno più notizie dal 1943.
Tre grandi camini di marmo presenti nell’appartamento dei Duchi d’Aosta al secondo piano della reggia furono smontati e riassemblati a Torino a Palazzo Reale e a Racconigi nel Castello; una scultura in marmo, con l’Allegoria della Provincia di Alessandria (oggi Cerere), realizzata per la Galleria Grande di Venaria troneggia invece a Palazzo Reale.
Le 77 lacche dei quattro Gabinetti cinesi dei Duchi di Savoia, immagazzinate in origine a Palazzo Reale, vennero collocate al castello di Moncalieri; furono poi smantellate nuovamente nel 1888 e risistemate infine nel Gabinetto giapponese del Quirinale a Roma.
Una porta dipinta alla china per il Gabinetto di toeletta della principessa di Piemonte ed alcuni pannelli di lacca dello zoccolo furono sistemati invece nel 1823 a Moncalieri.
Persino due pavimenti marmorei, quelli della Galleria Grande, della Piccola e dell’Atrio dello scalone, nel 1824 furono riallestiti nella Galleria del Beaumont al Palazzo Reale di Torino.
L’elenco di opere d’arte che oggi non figurano più alla reggia comprende anche cassettoni, ventole, un mobile e un tavolino che rendono ancora più grandiosa l’immagine dell’originaria Venaria Reale che oggi, in parte, potremmo definire dislocata altrove.
Chi abitava nella dimora

Oltre ad una dozzina di componenti della famiglia reale, l’imponente residenza dei Savoia ospitava un gran numero di persone di ogni rango e mansione. Fra questi, 16 cavalieri, 13 primi scudieri e altrettanti secondi, 13 gentiluomini di bocca e 12 aiutanti di camera. Sei impiegati, 13 dame di corte, 6 coiffeuses e 43 cosiddetti afferenti alla casa dei paggi.
Non mancavano uscieri, valletti e domestici, parrucchieri, controllori, un provvidente; inoltre una serie di addetti all’ufficio: di credenza, del sommellier, di frutteria, di vassella, del caffè e di pasticceria. Vi erano poi i sette addetti allo stato del maggiordomo, nove garzoni addetti alle tavole del personale di servizio, ben 66 addetti alla cucina, un porta tavole e distributore di candele due lavandaie; così anche un portinaio, un responsabile di cantine e macello, un panettiere con i suoi garzoni ed un minusiere, ovvero un falegname. I ruoli più insoliti erano il custode dei tetti e quello della vacca.
Un fantasma di lustro e un tradimento reale

Si racconta che quello che si aggirerebbe fra le sale della reggia piemontese sarebbe niente meno che lo spettro di re Vittorio Amedeo II° in compagnia del suo cavallo bianco. Nei corridoi della residenza molti assicurano di aver sentito riecheggiare il rumore degli zoccoli dell’animale; alcuni affermano di aver addirittura fotografato il real fantasma che allontanerebbe dalla dimora chi non ne rispetta la maestosità.
Ogni castello custodisce la sua storia d’amore: nel lontano 1668 Maria Giovanna di Trecesson, marchesa di Cavour, era l’amante di re Carlo Emanuele II°. Scoperto il tradimento, Giovanna Maria di Savoia Nemours, moglie del sovrano, mise in campo uno stratagemma per smascherare gli amanti riuscendo a coglierli in flagrante mentre erano a letto. Il Re finse una battuta di caccia, facendo credere agli amanti di essere al sicuro.
Info utili
Per maggior informazioni visitare il sito ufficiale.
Testo Sonja Vietto Ramus Foto S.Vietto Ramus e Massimo Valentini |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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