In bicicletta, seguendo lo scorrere del grande fiume: luoghi, leggende, uomini illustri, mestieri, amicizie e riflessioni. Un percorso lento e partecipato tra le storie antiche e nuove di una terra speciale

Per cercare anzitutto di capire per quale motivo Enrico Caracciolo abbia scritto questo libro (In sella all’Arno, dal verde del Casentino al blu del Tirreno in bicicletta – Edicicloeditore, luglio 2020, € 16) trovo indispensabile pormi un paio di domande: …hai mai viaggiato come Enrico? Se sì, hai mai scritto qualcosa che assomigli a quello che ha scritto lui…?
Facili le risposte: non ho mai viaggiato come lui e quindi non ho scritto niente che assomigli almeno un po’ a ciò che questo amico, collega, giornalista, scrittore, direttore, pedalatore instancabile (tutto in una volta, così non ci penso più!) ha raccolto in quest’ultima speciale testimonianza che trasuda immenso amore per la bici, protagonista e accentratrice assoluta dei suoi polpacci, del suo caschetto protettivo, dei suoi occhi indagatori, del suo essere fisicamente vagante e spiritualmente sempre presente.
Davvero un’immensa spugna cresciuta in fondali profondi, Enrico, in grado di assorbire con evidente piacere personale le molte meraviglie e le storie dell’Arno, raccoglierle lungo l’intero tragitto, facendole infine percolare con sapienza e mestiere – pagina dopo pagina – a beneficio dei suoi molti amici-lettori che a loro volta, esaurite le parole stampate, rimarranno convinti di aver pedalato, sostato e ripreso con lui il lungo cammino alla scoperta di significativi piccoli tesori altrimenti ignoti per sempre.

Il libro di Caracciolo è piccolo, maneggevole, elegante e gradevole al tatto: ma l’impressione finale è quella di aver sfogliato – in compagnia di un eccezionale bike leader – un prezioso antico regesto (nel medioevo, sinonimo di registro) che racconta di un fiume-regione: l’Arno.
Scrive Caracciolo: “… il sogno è quello di pedalare insieme a Leonardo e Michelangelo nutrendosi dell’infinita bellezza di paesaggi, momenti, storie che iniziano nel Casentino, proseguono nelle terre di Piero della Francesca…”, ma è subito chiaro come sia una dichiarazione incompleta, la sua.
Sono di più, molti di più i Geni che l’hanno accompagnato nel cammino (Leonardo, Vasari, Michelangelo, i Della Robbia, Petrarca, Masaccio ecc.) anche se fra loro emerge e primeggia, immortale manipolatore di parole e pensieri quel Dante Alighieri che saltella quasi tra le pagine del libro e a più riprese percorre luoghi e situazioni vissute secoli fa.
Secondo il sommo poeta l’Arno è un fiume che non dovrebbe esistere o quanto meno andrebbe ignorato, perché culla di una società di uomini trasformati in bestie: porci i casentinesi, botoli ringhiosi gli aretini, cani fatti lupi i fiorentini; infatti non lo chiama per nome: “per mezza Toscana si spazia / un fiumicell che nasce in Falterona / e cento miglia di corsa nol sazia”. Un fiume, l’Arno, giudicato insaziabile discesista di valli e piani che corre per ben cento miglia, lunghezza ragguardevole ai tempi di Dante, enorme se paragonata ai suoi personali spostamenti, geograficamente circoscritti.

Dove il fiume nasce, nei pressi della Gorga Nera, Dante parla di una “selva oscura”; più a valle a Poppi, ospite nel locale castello, le atmosfere gli suggeriscono la stesura del Cantico dell’Inferno; ancora più giù, nel borgo di Giovi, il sommo poeta pare compiacersi del cambio di rotta del fiume che “disdegnoso, torce il muso agli aretini” e punta verso Firenze.
Il viaggio, in compagnia della fidata bicicletta, prosegue. Ora Enrico Caracciolo entra con il suo cavallo a pedali in un’altra dimensione e paesaggio: la Val di Chiana, raggiungendo l’etrusca Chiusi in treno e ritornando all’Arno con pedalate rilassate, quasi appagate: “…pedalo dentro una Toscana dal carattere forte, antico, dove il Medioevo si incontra con le forze della natura e l’energia della spiritualità…”.
Con gli infiniti giri delle pedivelle, si rincorrono i pensieri e prendono vita le rivisitazioni di un mondo trapassato: quello etrusco con le preziosità dei musei di Chiusi e di Cortona, ma anche la fertile pianura un tempo palude, che già Leonardo da Vinci aveva pensato di bonificare (progetti in pectore e accurati studi idrografici) così come aveva pensato di realizzare un fiume navigabile alternativo all’Arno tra Firenze e Fucecchio.
Seguivano poi momenti di creatività a quelli di studio e di lavoro e in uno di questi il genio di Vinci, dipingendo la sua immortale Gioconda, potrebbe aver avuto come sfondo il Ponte romano di Buriano, antico transito sull’Arno; non tutti gli esperti vinciani concordano, ma è innegabile che Leonardo sia stato qui, nei primissimi anni del XVI secolo.

La bicicletta, più di qualunque altro mezzo di locomozione, consente di vedere e assorbire pienamente quanto passa davanti agli occhi; sono conseguenti le riflessioni dello scrittore: “… pedalare lungo l’Arno è un’esperienza di grande profondità umana attraverso vite segnate da mestieri umili e preziosi, caratterizzati da fatica e talento”; e sono tanti i mestieri di chi vive e lavora lungo il fiume; Enrico ne ricorda alcuni.
Fra quelli scomparsi o quasi: bucaioli e renaioli per l’estrazione delle sabbie, foderai per il trasporto a valle del legname su zattere formate da tronchi; poi ancora lavoratori della lana a Stia (detti un tempo Ciompi) terrecotte a Montevarchi, abiti in panno nel Casentino, fiascai a Pontassieve e altri ancora. Il libro di Caracciolo, alla fine, risulta essere un preciso compendio di vita e cultura toscana nelle sue varie accezioni, composto da un’infinita galleria di personaggi e compagni di viaggio che spesso si trovano e colloquiare nei molti piccoli templi del buon mangiare e del buon bere.
La mega-pedalata lungo le sponde dell’Arno, corredata da belle foto a colori di alcuni dei luoghi descritti, ha un inizio visivo con la Pieve Romana di Pratovecchio alle sorgenti del fiume, e termina con la Basilica di San Piero a Grado prossima alla foce; due luoghi nei quali il ciclista Caracciolo ha sostato per appropriarsi (forse) dello spirito dell’Arno bambino e di quello morente.

Tra i due estremi, mille storie ascoltate, vissute, riunite e offerte in un’opera di godibilissima lettura anche grazie agli incredibili personaggi incontrati: ad esempio Giovanni, che lungo la via Francigena dalle parti di Empoli, col bello e col cattivo tempo, abbraccia i viandanti che incontra; oppure Heinz Stücke, un ciclo-viaggiatore che ha iniziato a pedalare nel 1962 e oggi, a quasi 80 anni, ha messo insieme uno spropositato numero di paesi del mondo visitati e sostiene convinto che la bici vale più di un passaporto o di una carta di credito, per entrare in sintonia con la gente che incontra.
Alla fine di questo originale viaggio in compagnia di Enrico Caracciolo, come non bere un caffè speciale in un luogo speciale, per esempio nel Caffè Ussero di Pisa, attivo dal 1775. Parcheggiata la bici all’ingresso, il pedalatore di origini napoletane ormai cittadino toscano, fa notare che il locale pisano ha due soli rivali nella penisola: il Florian di Venezia e il Greco di Roma; insieme, formano i tre più celebri Caffè d’Italia, Paese nel quale convivono in felice simbiosi la bicicletta di Enrico e il fiume Arno.
Per acquistare il libro sul sito dell’Editore
Testo di Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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