Festeggiamo la chiusura dell’Annus Horribilis con un capodanno a tavola in compagnia di un cultore di cibi e bevande davvero speciale: Àntimo da Bisanzio.

Oggi è il primo giorno di un anno che tutti ci auguriamo sia migliore di quello appena finito. Io e Cate, tra un sorso di spumante e l’altro, riflettiamo sul fatto che è splendido poterlo festeggiare insieme ancora una volta, visto quello che è successo; sempre ché il Covid – carogna infinita – non peggiori la situazione con la variante inglese.
Certo, ci sarebbe piaciuto poterlo festeggiare con i nostri amici Giovanna e Maurizio che pochi mesi fa hanno deciso di piantar tenda ad Aquileia, cittadina storica del Friuli, avendone abbastanza dei miasmi milanesi.
Perché proprio questi amici e non altri? Semplice: perché Giovanna Motta, paleografa e filologa musicale, raffinata arpista e fondatrice dell’Ensemble Adelchis, specializzato in un repertorio musicale che va dal IX al XVI secolo, oltre a quello del medioevo – inteso come periodo storico – ha anche il pallino della cucina, ma di una cucina un po’ particolare, però: quella che ha appreso frequentando corsi di Cucina Storica a Parigi e affinato nel tempo con la collaborazione attiva del marito di amici e parenti, cavie naturali dei suoi esperimenti gastronomici.
Dunque: un capodanno a tavola con un cultore e manipolatore di cibi e bevande davvero speciale: Àntimo da Bisanzio.
Àntimo: da medico ad ambasciatore

Sono poche le notizie storiche che riguardano questo greco di nobile stirpe, vissuto circa 1500 anni fa alla corte di Bisanzio, regnante Zenone (491 d.C.), dice Giovanna. Àntimo era un medico colto e autorevole che, trasferitosi a Ravenna al seguito del giovane Teodorico, è in seguito divenuto ambasciatore dei Goti presso un altro Teodorico (il Grande) re dei Franchi, la cui Corte si trovava a Metz, in Lorena.
Àntimo era medico molto attento nel proporre cibi e ricette: autorevole e preciso sino alla meticolosità, si preoccupava che l’alimento fosse gradevole al palato e nel contempo sano per il corpo, non dimenticando di metterne alcuni all’indice; tra questi, il famoso garum (salsa di pesce) forse perché più difficile da preparare a Metz, località meno calda di Roma.
Tra le carni, sconsigliava quella di gru perché genera umori melanconici; parlando di cacciagione, attenti a mangiare gli storni che, è noto, amano la cicuta più di tutte le altre erbe e per tale motivo diventano pericolosi per gli umani. Passando al pescato, continua Àntimo, non se ne parla di cuocere le murene, perché hanno carne cattiva, producono umori pesanti e sangue nero! Stesso discorso per le ostriche che, oltre tutto, puzzano.
I consigli del De Observatione Ciborum
Il medico raccomanda poi di non mangiare funghi in genere, indigesti come l’alloro anche nel caso venga condito con aceto. Particolare attenzione, infine, ai ceci che vanno mangiati ben cotti; crudi danno forte meteorismo, cattiva digestione e corruzione del ventre.

Tra le bontà culinarie Àntimo ne elenca alcune dotate di particolari proprietà terapeutiche, a cominciare dal lardo (del quale i Franchi erano ghiottissimi): una fetta di lardo messa sulle ferite in suppurazione fa miracoli, mentre le mele cotogne cotte combattono la dissenteria.
Tutti consigli, questi, elargiti utilizzando un linguaggio figlio del suo tempo di transizione: il De Observatione Ciborum è scritto infatti in una specie di latino barbarico che impiegava vocaboli latini, bizantini e goti; ad esempio la polenta d’orzo, piatto latino, diveniva fenea per i Goti e àlfita per i bizantini.
Attenti al fegato di maiale fritto: non fa bene né ai sani né ai malati, al contrario dei fichi della Caria (Grecia) gustosi e adatti a contrastare il catarro. Deliziosi sono invece i trucanti (pesciolini) sia fritti che arrostiti, accompagnati da birra fredda, o da idromele, più miele che acqua.
Cottura e condimenti: i suggerimenti di Antimo
Àntimo raccomanda di cuocere bene le carni: vapore, graticola, spiedo, arrosto o lesso e di fare largo uso di condimenti: sale, pepe, aceto, ossimello (miele e aceto) olio, agresto (mosto d’uva, aceto e spezie) coriandolo, aneto, zenzero, appio (sedano) finocchio, chiodi di garofano.

Per la cena di Capodanno, il suggerimento di Giovanna Motta è il seguente: Bos in iuscello (carne bovina in brodetto) per il quale occorre: stinco di vacca o reale di manzo disossato, aceto bianco leggermente allungato con acqua, cipolla, gambi di sedano con le foglie (e, se si può, un po’ di radice) una manciata di menta fresca o secca, un cucchiaio da tavola di fiori secchi di lavanda, un cucchiaino di pepe nero, mezzo cucchiaio di chiodi di garofano, un vasetto di miele liquido millefiori, sale grosso quanto basta.
Ne uscirà un piatto fantastico che fa da primo e da secondo, tutto insieme; e la tertulia (riunione conviviale in cui si conversa e non si balla) sarà assicurata. Magari la cena verrà allietata da delicati motivi medievali che Giovanna suonerà con la sua arpa.
Libertas Dicendi n°294 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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