Viaggi e Viaggiatori – Avventure nel Tempo

Come prima considerazione, parlando di questo patrizio veneziano che ha acquisito grande fama come esploratore e viaggiatore al servizio dei portoghesi (ma non solo), stupisce che scopo dei suoi viaggi, oltre al legittimo desiderio di scoprire nuove terre e nuovi popoli esercitando il commercio e guadagnare, sia stato quello di affiancarvi il poco nobile lavoro di mercante di schiavi, attività questa ampiamente accettata e giustificata dalle esigenze storiche degli anni che hanno caratterizzato le grandi scoperte, vale a dire la fine del XV secolo.
Il casato dei Da Mosto era presente in laguna sin dall’XI secolo e faceva parte del patriziato della città dall’anno 1297. Il primogenito Alvise viene al mondo nell’anno 1429 e giovanissimo, già nel 1442, figura come agente di commercio per il cugino Andrea Barbarigo, con il quale sarà attivo sino al 1448.
Questo particolare testimonia come la società veneziana fosse attenta verso ogni opportunità di sviluppo per i propri commerci e come fosse pronta a reclutare le giovani promesse scelte fra le famiglie più in vista della città. Alvise Da Mosto apparteneva ad una di queste.
Viaggi formativi all’inizio della carriera di navigatore

A differenza di altri grandi navigatori per lo più animati dal desiderio di scoperta di terre incognite – ciò che richiedeva l’approntamento di grandi spedizioni navali – Alvise Da Mosto ha affrontato un gran numero di viaggi rincorrendo ogni opportunità di successo.
Dal 1442 al 1448, con Barbarigo, compie diversi viaggi nel Mediterraneo visitando molti paesi della Barbarìa (le terre del Nord Africa occidentale) con puntate a Candia (Creta) e ad Alessandria d’Egitto.
Giovane sveglio e ricettivo, eccelle nell’uso della balestra e per tale capacità viene nominato comandante nobile dei Fanti da Mar. Agisce come balestriere sulle galere grosse di Alessandria e poi esercita la sua abilità anche su quelle di Fiandra, imparando a navigare nelle acque dell’oceano Atlantico.
Viene il momento in cui gli affari hanno un loro luogo privilegiato, la Fiandra, e qui si concentrano gli interessi di Alvise, specie dopo che il padre aveva avuto alcuni rovesci finanziari. Nel 1454 si imbarca nuovamente con il fratello minore Antonio, mentre Pietro, il secondogenito, cerca di seguire gli affari non più floridi a Venezia.
A causa del maltempo, la nave è costretta a fermarsi a capo San Vincenzo, punta meridionale della regione portoghese dell’Algarve; qui conosce, nella sua dimora di riposo e di svago, il sovrano Enrico il Navigatore.
Il re portoghese lo convince ben presto a navigare per il suo paese e gli chiede di esplorare a fondo le coste africane, per scoprire nuove terre e avviare commerci che arricchiranno il regno e lo stesso Alvise. Pronta l’adesione del veneziano, che affronta il periodo più interessante della sua vita, ignaro di ciò che scoprirà.
Viaggio alle sorgenti del fiume Gambia

Il 22 marzo del 1455 Alvise lascia il porto di Lisbona a capo di una spedizione tutta sua. Raggiunge l’isola di Madeira, quindi le Canarie e le spiagge del Senegal, dove si ferma per un mese intero; la popolazione è gentile ed accogliente e il navigatore scambia con loro cavalli per schiavi, mettendo a frutto la sua abilità di mercante.
Prende di nuovo il largo e incontra un’altra spedizione portoghese, capitanata da Antonio da Noli; insieme raggiungono l’estuario del fiume Gambia che decidono di risalire, senza successo, per via del cattivo tempo atmosferico e per la piena del fiume.
Questo primo tentativo viene replicato l’anno seguente, in compagnia di un navigatore genovese (Antoniotto Usodimare) anch’egli al servizio dei portoghesi.
Raggiungono di nuovo il fiume Gambia ma una tempesta li ricaccia al largo, facendoli approdare su due isole di Capo Verde che Alvise battezzerà con i nomi di Buona Vista (Boa Vista) e San Jacobo (Santiago), nome che le identifica anche oggi.
Dopo un breve riposo, il Da Mosto e l’Usodimare ritornano verso il fiume e vi si inoltrano per una quindicina di chilometri, accompagnati da un caldo intenso e umido, insetti fastidiosi, sino a scoprire l’isoletta che chiameranno Sant’Andrea, in omaggio a un loro marinaio deceduto durante il viaggio.
Così Alvise descrive il tragitto: “…tanto navigammo che pervenimmo un’altra volta al detto fiume di Gambra, dove brevemente entrammo e, senza altro contrasto de’ Negri e di sue almadie (imbarcazioni a remi) navigammo sopra il fiume di giorno sempre col scandaglio in mano”.

A questo punto il capitano della spedizione, diremmo oggi, entra appieno nel personaggio colto e curioso che capisce di essere arrivato a scoprire non tanto un nuovo territorio quanto nuove genti e differenti culture.
Familiarizza con i neri del luogo, numerosi lungo le rive del Gambia; con piccoli doni, con toni rassicuranti, sino ad imbarcare sulla propria nave alcuni di loro; descrive il momento in questo modo: “…detti Negri a poco a poco accostandosi, prendendo da noi alcuna sigurtà, finalmente vennero alla mia caravella… domandandoli io di molte cose, finalmente ne affirmò quello esser il paese di Gambra e che‘l principal loro signore era Forosangoli, il quale era sottoposto a l’imperatore di Melli (Mali) che è il grande imperatore de’ Negri; ma che nientedimeno erano molti signori menori che abitavano appresso il fiume, cosí da un lato come dall’altro; e se volevamo, che ‘l ne menaria ad uno d’essi, il quale si chiama Battimansa”.
Vita e usanze degli abitanti del fiume

Fatta conoscenza con gli emissari dell’imperatore di Melli (Mali) li accompagna sino alla residenza imperiale risalendo la corrente del Gambia per oltre 100 chilometri. Giunto a destinazione, pur rilevando che non ci sono grandi ricchezze cui attingere – se non per l’ampia disponibilità di potenziali schiavi! – inizia una serie di baratti con i locali e annota con puntiglio tutto ciò che vede e impara.
Lo colpisce quello che indossano; in genere girano completamente nudi, ma tuttavia rileva che: “…le cosette che portavano erano gottonine e filadi di gottoni e panni di gottoni fatti a lor modo, alcuni bianchi, altri divisati, cioè vergadi, bianchi e azzurri, e altri rossi, azzurri e bianchi, molto ben fatti”.
Abiti di cotone a diverse tinte, dunque. Nel corso degli scambi con gli indigeni, gli vengono offerti, tra l’altro, “gatti maimoni e babuini grandi e piccoli ”oltre che “dattali piccoli e salvatichi, che non erano molto buoni”.
Rimane affascinato dalle numerose imbarcazioni che affollano il Gambia e dal fatto che i neri del posto non usano vele; tutto il loro navigare è a forza di remi: vogano tutti in piedi, su entrambi i lati delle barche e“non appoggiano il remo ad alcuna forca, ma lo tengono forte con le mani”.

Alvise Da Mosto scopre che tutti praticano l’idolatria e credono nelle magie e negli incanti degli stregoni, pur se alcuni sono già “devoti della setta di Macometto”. Lo colpisce infine una pratica tribale che viene imposta alle donne, che così descrive: “hanno piacere, quando che sono piccole di età, di farsi alcune opere per le carni, fatte con punture di ago su per il petto, braccia e collo, le quali pareno di queste opere di seda che solevan farsi sopra i fazzoletti; e sono fatte con fuoco, che mai per alcun tempo vanno via”. Tatuaggi e scarificazioni compiute con ferri roventi.
Il ritorno a Venezia: incarichi di prestigio e la fine prematura

Al termine dell’avventura sul fiume Gambia e nei territori adiacenti (Mali, Casamance e isole Bissagos) Alvise si stabilisce a Lagos, in Portogallo. Nel 1460 muore il suo protettore, Enrico il Navigatore e nel 1463 ritorna a Venezia.
Una volta in patria, recupera gran parte dei beni perduti dalla sua famiglia e sposa la ricca e nobile Elisabetta Di Giorgio Venier che di lì a poco, per via della sua cagionevole salute, lo lascerà vedovo. Questo lutto lo porta a riprendere il mare.
Va in Inghilterra, Spagna, Alessandria e il suo casato riacquista in breve l’antico splendore. Viene nominato dalla Serenissima provveditore nel Cattaro e compie missioni diplomatiche in Erzegovina e Dalmazia.
Frattanto Venezia è sempre più ai ferri corti con l’impero Ottomano; nel 1470 perde il Negroponte (l’attuale isola greca di Eubea) e Alvise viene inviato in Albania a difesa degli interessi veneziani minacciati dai Turchi.
Per uno strano scherzo del destino, ad Alvise Da Mosto capita di rivivere il suo passato: la Repubblica di Venezia gli affida il comando della galera di Alessandria d’Egitto; proprio quella con la quale aveva dato inizio alla sua carriera di giovane ufficiale.

L’incarico lo rende felice, ma purtroppo il fisico non è più quello di tanti anni fa: i molti viaggi compiuti, le strane malattie delle quali ha sofferto, la morte della moglie, l’affievolirsi dello spirito indomito d’un tempo, ne hanno fiaccato la forte tempra e convinto a ritirarsi nel Polesine dove, nell’anno 1483, la sua vita cessa.
Alvise ha compilato numerose mappe e purtroppo molte sono andate perdute; i suoi appunti di viaggio – notevoli per interesse e documentazione – hanno consentito di conoscere meglio il continente africano. Il volumetto “Navigazioni” può essere considerato il brillante compendio delle sue incredibili avventure.
La storia della navigazione considera Alvise Da Mosto uno dei più grandi esploratori che Venezia abbia avuto. Abile sulle rotte marittime ma soprattutto profondo indagatore e divulgatore di civiltà differenti.
Libertas Dicendi n°341 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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