
L’infanzia di Francisco Pizarro non deve essere stata un’infanzia serena, perché figlio illegittimo di un colonnello di fanteria. Il padre, detto el largo (il lungo), aveva partecipato a campagne militari in Italia e in Navarra e nei periodi di riposo dalle guerre confezionava eredi non solo con la legittima consorte, ma anche con fantesche e contadine di Trujillo, cittadina dell’Estremadura; qui, nel 1475, data non sicura ma ritenuta probabile dagli storici, è nato infatti Francisco.

Il futuro conquistatore del favoloso Impero Inca e fondatore della città di Lima, ha comunque avuto la fortuna di essere stato riconosciuto dal padre del quale ha assunto il nome, anche se gli è stato impedito di vivere con la famiglia dei Pizarro, rimanendo con la madre contadina.
Per molti anni, quelli della gioventù, il suo lavoro è stato quello di accudire porci – sempre nel timore delle punizioni cui sarebbe andato incontro se ne avesse perso qualche esemplare – sinché nell’anno 1502 si imbarca su una nave diretta a Hispaniola – primo approdo delle navi spagnole in America – forse dopo un’esperienza militare in Italia con il padre e con il fratello Hernando.
Tirocinio in America centrale

La grande isola di Hispaniola, oggi divisa fra Haiti e repubblica Dominicana, ha sempre rappresentato la base di partenza per i viaggi di scoperta o di conquista nel resto delle Americhe. Nel 1509 Francisco partecipa infatti ad una sfortunata spedizione nella zona di Urabà, in Colombia.
Qualche anno dopo, il 1513, si unisce all’impresa di Vasco Núñez de Balboa che attraversando l’istmo di Panama approda nell’Oceano Pacifico e sarà proprio Francisco Pizarro, poco tempo dopo, ad arrestare il Balboa caduto in disgrazia; per tale operazione, il governatore Pedro Arias Dávila lo nominerà sindaco della città di Panama.
In tale carica, Francisco si concede un periodo di riposo (1519-1523) dedicato unicamente ad arricchirsi, mediante lo sfruttamento delle encomiendas (territori con indigeni da amministrare). Malgrado il denaro accumulato, tale da consentirgli di vivere agiatamente, Pizarro non è soddisfatto; ambisce a qualcosa di più grande, soprattutto per via delle voci che circolano con insistenza delle grandi fortune accumulate da Fernando Cortés in Messico e in lui cresce il desiderio di emularlo.
Impresa questa possibile solo avendo grandi capitali a disposizione per mettere insieme navi, marinai, soldati e vettovaglie. Pizarro si mette all’opera e si unisce a un altro avventuriero molto simile a lui (Diego de Almagro) e al religioso Hernando de Luque, anch’egli un veterano delle Indie.
Almagro è personaggio avvezzo ai rischi delle esplorazioni ed è coraggioso, mentre de Luque è per natura un mediatore consumato; le risorse finanziarie vengono reperite mediante l’apporto occulto del giudice Caspar d’Espinosa; per non parlare dell’anonimo compenso (un quarto dei proventi) preteso dal governatore di Panama per la necessaria autorizzazione a partire.
Avventure lungo le coste ecuadoriane

La prima spedizione in sud America del 1524 è un disastro. I navigatori si perdono, una volta scesi a terra, tra le paludi malsane della costa ecuadoriana e molti uomini muoiono. Rientrando a Panama, subiscono le accuse del governatore per la perdita di tanti soldati e solo gli uffici diplomatici di Hernando de Luque faranno in modo di ottenere una seconda autorizzazione che viene concessa, ma il governatore pretende di venir sciolto dal vincolo societario in cambio di 1500 pesos d’oro; in tal modo perderà ogni futuro diritto sui tesori peruviani.
La seconda spedizione va un po’ meglio ma incontra gli stessi ostacoli della prima e Diego de Almagro, tornato a Panama per rifornimenti, viene arrestato dal nuovo governatore Gabriel de los Rios, che tuttavia acconsente ad inviare un vascello per riportare a Panama tutti, imponendo loro di lasciar perdere ogni velleità di conquista. Il comandante di questa nave, un certo Ruiz, sarà la chiave di volta per far cambiare destino alla spedizione del cocciuto Francisco Pizarro.
Il furbo Ruiz gli riferisce d’aver incrociato un naviglio con numerosi indigeni che accennavano ad una ricca città poco a sud dell’Ecuador; indigeni che indossavano alcuni monili d’oro. Malgrado le “prove” di una probabile ricchezza, a Panama insistono nel negare future concessioni al viaggio.
Questo costringe Francisco Pizarro a cambiare obiettivo: ritorna in Spagna e riesce nell’impresa di persuadere i regnanti a farlo partire ufficialmente per il Perù. Penserà lui a tutto, assicura Pizarro. La Corona, dopo aver ricordato di riserbarsi un quinto dei futuri proventi, gli regala qualche cavallo, qualche cannone, promettendo in compenso cariche onorifiche a successo avvenuto.
Conquista dell’Impero Inca

Nel gennaio dell’anno 1531 Francisco Pizarro inizia la sua grande avventura. Dispone di circa duecento uomini, imbarcati su sole tre navi, tutti desiderosi di arricchirsi proprio come il capo aveva loro promesso. Arrivati a Tumbez, cittadina marittima già visitata nel primo viaggio, scoprono che è stata distrutta dalla guerra fratricida tra Atahualpa , regnante a Quito e Huáscar, signore di Cuzco.
Alla fine è Atahualpa a prevalere e Pizarro identifica in lui il nemico da combattere. Raggiunge con la piccola guarnigione Cajamarca, dove Atahualpa aveva stabilito la corte e si rende conto che dovrà agire d’astuzia se vorrà prevalere; impossibile fronteggiare un esercito di quarantamila uomini. Pizarro sviluppa quindi il suo diabolico piano: far prigioniero Atahualpa, chiedendo un enorme riscatto per la sua liberazione.
L’atteggiamento di fiducia e di amicizia del sovrano Inca viene sfruttato al massimo; lui e la piccola scorta disarmata vengono sopraffatti e sterminati senza pietà dagli spagnoli muniti di corazze, armati di spade e pugnali, con le colubrine portate dalla Spagna puntate contro il grosso dell’esercito Inca. Atahualpa viene catturato dallo stesso Pizarro, senza che gli uomini Inca intervengano, essendo privi di ordini.
Le cronache raccontano come il capo Inca abbia cercato di salvarsi offrendo oro e argento in grandi quantità; per raccogliere la somma che veniva richiesta, Atahualpa ricorre allo spoglio dei preziosi contenuti nei vari templi dell’impero. Malgrado le promesse di Pizarro, il sovrano non viene rilasciato; anzi, temendo una controffensiva degli Inca, Pizarro decide di giustiziare Atahualpa, nella piazza principale di Cajamarca, il 26 luglio del 1533.
Conquista di Cuzco e morte di Pizarro

Seguiranno anni di conquista e di accordi d’amicizia stipulati con gli indigeni. Viene presa Cuzco, benché difesa strenuamente da Quizquiz, il generale in capo delle armate di Atahualpa e Pizarro il conquista. Purtroppo, fra gli ex soci d’avventura di Pizarro e i personaggi indigeni che oramai avevano intrecciato esistenze e destini con i conquistadores spagnoli, le cose non andavano più bene come prima.
Invidie, sopraffazioni, alleanze, incomprensioni portano Diego de Almagro a cercare fortuna e gloria nei territori desertici del Cile e nell’Impero morente degli Inca serpeggiano sentimenti di rivalsa che porteranno alla rivolta, comunque destinata a fallire.
Dopo aver cercato di rinsaldare vecchi legami ormai logori (con gli Inca di Manco) e non potendo più accordarsi con i compagni scomparsi (Diego de Almagro) avendo anzi proprio nei “cileni” di Diego i nuovi nemici, Pizarro conclude la propria esistenza il 26 giugno del 1541, trafitto nella propria abitazione dalle spade di questi vecchi amici divenuti nuovi, implacabili avversari.
Libertas Dicendi n°349 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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