
Così Johann Wolfgang von Goethe, nel suo libro autobiografico Poesia e Verità, descrive la propria nascita: “…sono venuto al mondo a Francoforte sul Meno il 28 agosto 1749 al suono delle campane di mezzogiorno; per inabilità della levatrice io venni al mondo come morto, e solo con molti sforzi riuscirono a farmi vedere la luce”.
Scrittore, poeta, drammaturgo, saggista, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d’arte e critico musicale, Goethe è senza alcun dubbio uno dei più grandi letterati tedeschi e “l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra”, definizione questa dovuta a George Eliot, pseudonimo di Mary Anne Evans, importante scrittrice britannica dell’età vittoriana.
Fosse davvero morto a causa di un parto mal eseguito, il mondo avrebbe perso uno dei maggiori geni letterari – cui si deve il concetto di Weltliteratur (letteratura mondiale) – e l’Italia, per sua parte, un entusiasta estimatore e sublime cronista.
Viaggio in Italia: per Goethe, un’esperienza totale

Il Viaggio in Italia è stato pubblicato solo nell’anno 1816, ventotto anni dopo la visita dello scrittore, sulla base di lettere inviate agli amici di Weimar e di diari conservati nel tempo.
Quella di Goethe è un’Italia sognata e desiderata ma raccontata anche senza pregiudizi e, talvolta, con note critiche e pura vena poetica.
Non è tanto la descrizione delle città, quella che interessa lo scrittore tedesco; predilige infatti soffermarsi sulle persone che incontra in queste città: descrive, con grande spirito d’osservazione, le virtù e i vizi degli italiani, come dimostra questo personale convincimento: “…il venir sempre a contatto con nuova gente mi permette di raggiungere pienamente il mio scopo: per avere un’idea viva dell’intero paese, è necessario ascoltare i discorsi che fanno tra loro; è incredibile come nessuno vada d’accordo con l’altro; le rivalità provinciali e cittadine sono accesissime, come pure la reciproca intolleranza; i ceti sociali non fanno che litigare, e tutto ciò con una passionalità così acuta e così immediata che, si può dire, da mane a sera recitano la commedia e fanno mostra di sé”.
Oltre alla conoscenza delle persone, Goethe avrà modo di soddisfare in Italia il profondo desiderio di immergersi nelle vestigia storiche del passato e di approfondire l’arte e la cultura del Belpaese, dandone ampia testimonianza nelle sue opere.
Un itinerario lungo due anni

L’avventura italiana del 37enne Goethe è quasi una fuga:parte da Karlsbad alle tre di notte del 3 settembre 1786, con passaporto falso a nome Philipp Möller e confida: “…parto solo, sotto nome incognito, e da quest’impresa apparentemente stravagante mi riprometto il meglio possibile”.
Per Goethe l’itinerario predisposto con cura rappresenta anche un viaggio dentro sé stesso o, come è stato scritto, un periodo importante all’interno della propria biografia spirituale, quasi una visione dello spirito.
Superato il Brennero arriva a Trento il giorno 11 settembre; quindi passa per Rovereto e scrive: “…eccomi a Rovereto, punto divisorio della lingua; più a nord si oscilla ancora fra il tedesco e l’italiano… e io devo mettere alla prova le mie capacità linguistiche; come sono contento che questa lingua amata diventi ormai la lingua viva, la lingua dell’uso!”.
Il giorno 16 arriva a Verona (…un’ora o un’ora e mezzo prima di notte la nobiltà comincia a mettersi in moto, va sul Brà, il lungo stradone che conduce a Porta Nuova) e nei giorni successivi si fermerà a Vicenza, dove ammira le architetture del Palladio e a Padova, dove acquista i quattro libri scritti dallo stesso e visita l’Orto Botanico.
Le tappe successive saranno così scandite: Venezia, dal 29 settembre al 14 ottobre; Bologna e Firenze, dal 18 al 23 ottobre e, finalmente, la tanto desiderata Roma, nella quale farà due lunghe soste: dal 29 ottobre 1786 al 22 febbraio 1787 e dal 6 giugno dello stesso anno sino al 24 aprile del 1788.
Ugualmente prolungate saranno le permanenze a Napoli: dal 25 febbraio al 29 marzo del 1787 e dal 14 maggio al 3 giugno dello stesso anno.
Nell’aprile e maggio dell’87 sarà in Sicilia e nello stesso periodo dell’anno dopo, sulla via del ritorno, visiterà Siena, di nuovo Firenze, Bologna passando per Milano, solo per il desiderio di ammirare il Cenacolo, prima del definitivo ritorno a Weimar, in Germania, il 18 giugno del 1788.
Impressioni di viaggio su Roma e Napoli

L’arrivo nella Città Eterna è per Goethe un vero momento d’entusiasmo; scrive infatti:
“…sì, sono arrivato finalmente in questa capitale del mondo! Non osavo quasi confessare a me stesso la mia meta, ancora per via ero oppresso dal timore, e solo quando passai sotto Porta del Popolo seppi per certo che Roma era mia”.
Lo scrittore esplora la città in lungo e in largo, concedendosi anche visioni dell’Urbe dall’alto; infatti: “…salii verso sera sulla colonna Traiana, da cui si gode un panorama incomparabile; visto di lassù, al calar del sole, il Colosseo sottostante si mostra in tutta la sua imponenza; vicinissimo è il Campidoglio, più addietro il Palatino e il rimanente della città”.
Goethe si dichiara felice dei lunghi mesi trascorsi a Roma e rammaricato di doverla lasciare. Conclude però saggiamente: “…m’è tuttavia di gran conforto il pensiero d’esser potuto rimanere abbastanza a lungo da giungere fino a questo punto!”
Arrivando a Napoli, lo scrittore pare assorbire con prontezza la filosofia di vita dei campani; scrive nel suo diario: “…Napoli per sé si annunzia giocondamente, piena di movimento e di vita; una folla innumerevole s’incrocia per le vie; il re è a caccia, la regina incinta, e non si potrebbe desiderare nulla di meglio!”.
Dopo aver constatato che tutti a Napoli sono di spirito vivacissimo e di rapido intuito, capaci di trovate acute e mordaci, non manca di riportare il loro punto di vista nei confronti degli abitanti del nord: “…il napoletano crede veramente d’essere in possesso del paradiso, e dei paesi settentrionali ha un concetto molto triste: sempre neve, case di legno, grande ignoranza, ma danari assai”.
Nei mesi in cui rimane in Campania, Goethe salirà per ben due volte sul Vesuvio in eruzione; visiterà i siti archeologici di Ercolano, Pompei, Paestum e le località di Torre Annunziata, Salerno, Pozzuoli con le solfatare e Caserta “…con un palazzo immenso che ricorda l’Escuriale, costruito in quadrato, con parecchi cortili: una residenza veramente regale”.
Non mancheranno le annotazioni poetiche, quasi romantiche, parlando della maestà di un chiaro di luna piena sulla riviera di Chiaia, conclusa con queste parole: “…c’è da sentirsi veramente presi dallo spazio infinito; ma vale anche la pena di sognare così”.
e sulle altre città d’Italia visitate

Prima della risalita verso nord, Goethe visita in Sicilia Palermo, Segesta, la Valle dei Templi di Agrigento e il “granaio d’Italia”, ovvero le zone agricole di Caltanissetta; quindi la splendida Taormina dal cui Teatro greco scorge: “…l’intero, lungo massiccio montuoso dell’Etna; a sinistra 1a sponda del mare fino a Catania, anzi a Siracusa; e il quadro amplissimo è chiuso dal colossale vulcano fumante, che nella dolcezza del cielo appare più lontano e più mansueto, e non incute terrore”.
Lasciando Messina per raggiungere di nuovo Napoli, lo scrittore annota: “…l’Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna; è in Sicilia che si trova la chiave di tutto: la purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra; chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.
Risalendo la penisola, Goethe farà tappa a Siena, nuovamente a Firenze e avrà modo di apprezzare anche gli Appennini che la separano da Bologna, definendoli un pezzo meraviglioso del creato. Della città felsinea (vecchia, rispettabile e dotta città) il Grande tedesco apprezzerà le camminate sotto i famosi portici delle numerose vie: per curiosare, far compere o badare agli affari.
Ecco infine alcune riflessioni su Venezia, città visitata nel viaggio di discesa al sud, della quale si dichiara colpito per la grande sporcizia delle strade, degli slarghi, molti dei quali a contatto con i diversi canali; annota: “…la gente spinge il sudiciume negli angoli, e vedo anche mandar su e giù grosse imbarcazioni che si fermano in punti determinati e raccolgono l’immondizia”; non gli sembra, questa, un’operazione condotta con molta logica e conclude dicendo che, trattandosi di una città con molte vie d’acqua potrebbe esser tenuta pulita come lo è qualunque città olandese.
Alla fine si lascia prendere dal fascino unico della città e conclude: “…salii sul campanile di San Marco, dal quale lo sguardo abbraccia uno spettacolo unico. Era circa mezzogiorno e il sole splendeva luminoso; la marea copriva la laguna, e quando mi volsi a guardare il cosiddetto Lido vidi per la prima volta il mare e su di esso alcune vele”.
Libertas Dicendi n°359 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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