
Grande scrittore conosciuto e letto in tutto il mondo, il premio Nobel per la Letteratura dell’anno 1946, Hermann Hesse. Nel corso della sua lunga vita ha scritto moltissimo e di tutto: trentadue tra romanzi e raccolte di racconti; quindici raccolte di poesie; si è interessato di pittura, filosofia, comprese quelle orientali legate al buddismo e all’induismo.
Nato a Calw, Germania, il 2 luglio del 1877, è morto a Montagnola di Lugano il 9 agosto del 1962. Questi i suoi romanzi più noti: Peter Camenzind (1904), Gertrud (1910), Demian (1919), Siddhartha (1922), Il lupo della steppa (1927), Narciso e Boccadoro (1930) e Il giuoco delle perle di vetro (1943).
Con Thomas Mann, Hesse è lo scrittore di lingua tedesca del XX secolo più letto nel mondo, tradotto in oltre sessanta lingue e con circa 150 milioni di copie vendute. Hesse ha viaggiato molto e tra i paesi più visitati c’è anche l’Italia.
Quelli che seguono sono stralci delle sue impressioni e descrizioni relative ai viaggi compiuti nei primi anni del Novecento. Dell’Italia Hermann Hesse amava il clima, le città e i paesaggi, la gente e gli stili di vita, diversi a seconda degli innumerevoli centri – maggiori e minori – visitati.
Ritorno in Italia e in Lombardia

Oltrepassato il passo del San Gottardo, Hermann Hesse riapproda in Italia e canta, quasi declama la propria gioia per essere di nuovo nel paese che tanto ama: “…oh giovani, oh donne / della terra d’Italia / torno a guardarvi, / felice vi sono vicino. / Oh giovani, insieme a voi / voglio bere il vino nero, / e di nuovo nel canto e nelle carte / esservi compagno. / Oh donne di Roma e di Venezia, / gettatemi le braccia al collo, / ancora sono giovane e libero / e allegro come un tempo!”.
La poesia-quasi-prosa di Hesse si fonde benissimo con la prosa poetica delle descrizioni delle città che visita, a cominciare da Como, primo centro prossimo al confine; la piccola cronaca di Hermann Hesse è sempre attratta dalla grazia femminile italiana: “…qui la vita delle stradine possiede già quel fascino tutto italiano: artigiani che lavorano all’aperto cantando, belle donne e agili fanciulle che, come uccelli armoniosi del bosco, si muovono per quelle graziose strade con leggiadria e senza altra civetteria se non quella propria degli uccelli e delle farfalle”.
Da Como è naturale giungere subito dopo nella grande Milano, città ammirata ma non totalmente amata, come si rileva da queste annotazioni: “…dopo pranzo sono entrato nel Duomo, il cui interno riesce sempre a riconciliarmi con quella Milano a me quasi antipatica.
Sono salito sul tetto e il mio sguardo congedandosi si è posato su quel grande giardino marmoreo”. Diverso il contatto dello scrittore con le altre città della Lombardia; di Bergamo apprezza, in questo breve passo della sua testimonianza, la semplicità e il calore dell’accoglienza: “…nella locanda mi fu data una stanza grande come quelle di un palazzo e con il pavimento rosso, mi fu servito un tenero arrosto di montone, il vino era buono e bella era la cognata del padrone…”.
Decisamente forte l’impressione che Hesse ricava dalla visita del centro di Cremona; dopo aver decantato l’imponenza e la grandiosità del Duomo, impreziosito dall’enorme bellissimo rosone della facciata, lo scrittore alza lo sguardo al cielo e scopre che “…lì accanto, fantastica, alta, indicibilmente alta e orgogliosa, quasi impressionante, svettava nel cielo una torre, che smarriva nella notte la sommità di piccole gallerie colonnate.
Rimasi senza fiato sotto la pioggia battente assorbito da quella meravigliosa visione, colmo di gioia e commosso dalla grandezza e dall’audacia quasi sfrontata di queste costruzioni”.
Dalla Liguria all’Umbria

Il viaggio di Hermann Hesse prosegue con la visita di Genova; la descrizione del capoluogo ligure è chiaro indizio delle scelte visive dello scrittore, che popola di gente i vari luoghi che visita: “…Genova mi ha dato la prima autentica immagine dell’Italia: sole, case bianche, mare cangiante
tra il verde e l’azzurro, gente dagli abiti sgargianti, mendicanti e bighelloni sulle scale delle case e delle chiese. E il porto con navi di tutti i paesi. Nei pressi del faro uno spiazzo dove gli operai giocano a bocce con grande abilità e zelo”. Decisamente poetica è al contrario la pennellata (era anche pittore!) che spalma per tratteggiare Livorno: “…il giallo di una vela triangolare si accese al molo.
Un chiarore intenso scivolò con bellezza repentina sul mare dorato e portò con sé gli ultimi raggi rossi nel regno violetto della sera”. Da Livorno a Pisa il tragitto è breve e qui Hesse rimane affascinato dalla grandiosità di Piazza dei Miracoli che, allora più di oggi, si trovava fuori città: “…il complesso di Duomo, Campanile, Battistero e Campo Santo è uno spettacolo incomparabile, un piccolo mondo tranquillo di arte nobilissima fuori dalla città, che la pendenza della torre riesce appena appena a disturbare.
La facciata del Duomo si presenta con un’eleganza imponente. L’antico portale in bronzo è un’opera solida e austera in confronto alla quale i due portali di epoca successiva appaiono ben poca cosa. L’interno è un miracolo di architettura e decorazione, tutto avvolto di purezza quasi antica”.
Poteva mancare, nell’itinerario dello scrittore tedesco, l’incontro con Firenze, con la città gigliata? Ne approfitta per descriverla tornando alla poesia, con parole tenere e ammirate: “…giunge l’ora, mi avvicinai a Firenze. / Risonò la melodiosa lingua straniera, / il sole spargeva oro lungo il fiume, / intorno, sulle colline, profumo di primavera! / Non so se in terra c’è qualcosa di più bello / a ogni passo il mio sguardo lambisce palazzi, / ogni pietra racconta di un grande destino, / di colori e profumo trabocca la città del fiore”.
Gli scrittori, gli uomini di cultura che nel tempo hanno visitato il nostro paese hanno quasi sempre riserbato la loro attenzione anche ai centri minori della penisola, alla scoperta di realtà di vita diverse, pacate; la conferma viene da quanto dice di Prato Hermann Hesse: “…la gente qui è cordiale, curiosa, divertente e di buon cuore. Girellai tutto il pomeriggio per le strade e nelle piazze, parlai con donne e bambini, visitai splendidi giardini e antiche corti, trovando la vita italiana più genuina che finora avessi conosciuto”.
Spostandosi a Siena, Hesse sembra maggiormente attratto dalla bellezza originata dalla storia della città e dai tesori artistici che contiene: “…Siena, con quel vessillo bianco e nero come i marmi del suo Duomo, in quella posizione estremamente caratteristica e bella, rimarrà sempre un gioiello per gli amanti delle piccole città italiane. Sfiorata appena dalla storia moderna, Siena si è conservata magnificamente, ed è sufficientemente ricca di tesori dell’arte e della memoria da meritare anche una lunga permanenza”.
Il viaggio italiano di Hesse arriva al cuore verde d’Italia, l’Umbria. Così descrive la magnificenza del Palazzo dei Consoli di Gubbio: “…la temerarietà imponente e quasi sfacciata di questa architettura è semplicemente sbalorditiva, ha quel che di inverosimile che lascia turbati. Si ha l’impressione di sognare o di vedere un allestimento teatrale e occorre fare uno sforzo per convincersi che si erge là solido e di pietra”.
Nella vicina Montefalco, lo scrittore viene attratto dalla spiritualità dei luoghi visitati: “…nelle chiese e nelle cappelle claustrali, sopra portali e altari, vidi antichi affreschi con figure tenere e colme di gentile devozione, amorevoli Madonne e giovani santi. Immagini pie tratte da racconti biblici e dalle vite dei santi, talune malinconiche, altre ferventi di devozione, altre ancora ridenti e fanciullescamente gaie”.
Sulla via del ritorno, in Emilia e Veneto

Ogni discesa ha una logica risalita; così anche l’itinerario di Hermann Hesse in Italia. Approda a Bologna che così descrive: “…appena si riesce a dimenticare la misura artistica di Firenze, Bologna appare incantevole. Non conosco altra città, grande come questa, che – un po’ come Berna – abbia così tanto carattere. Una cosa particolarmente simpatica è che sono stati realizzati portici anche su strade ed edifici moderni.
Ci sono inoltre case aristocratiche molto pittoresche, spesso con graziosi cortili e giardinetti. Anche la mia locanda si trova in un vecchio edificio con una corte bizzarra e fantastiche scale; tutto è stretto, buio, amabilmente fuori moda e accogliente”. Seguono pochi versi, scarni, per parlare di Ravenna: “…anche a Ravenna sono stato. / È unapiccola città morta, / ci sono chiese e molte rovine, / se ne può leggere nei libri”. Prosa-poetica che prosegue quando giunge a Padova; parla di una città da visitare a lungo, senza precise mete, ma non tralascia la speranza di un incontro galante: “…quasi una città tedesca, altrettanto angusta, / familiari, nella penombra, vicoli e frontoni. / Qui vorrei ore, giorni, settimane / sognare e vagare senza meta. / Qui vorrei, a un bel seno, / cogliere spensierato un’effimera voglia d’amore. / Qui vorrei restare, se di là / verso est, non ci fosse nell’aria una luce strana. / Là so che aspetta magica e chiara / la meta mia – Venezia! E mi affretto a partire”.
Al pari di Roma e Firenze, una terza città italiana è nei pensieri e nei desideri di conoscenza degli scrittori stranieri: Venezia, alla quale Hermann Hesse dedica deliziosi quadretti descrittivi, sempre non dimenticandosi del fascino femminile: “…qui le donne portano dei pittoreschi scialli che indossano con fare particolare e spesso un po’ civettuolo: coprono braccia e vita con un lungo lembo che ricade sul dietro.

Ho potuto vedere una grande quantità di volti graziosi, di quel tipico carattere tranquillo e simpatico, in cui la vita sgorga attraverso l’espressione degli occhi, arricchito di un fascino particolare grazie alle caratteristiche acconciature veneziane”. Dalla città lagunare, Hesse scrive a un compagno – forse di giochi o di studi – confessando: “…sai bene che all’epoca avevo a cuore una ragazza, piccola, bella e silenziosa, vero sangue di pescatore, una figlia del mare e dell’ozio”.
Venezia, è innegabile, attrae lo scrittore non solo per l’unicità dei suoi panorami, ma anche per la vitalità dei suoi abitanti e del loro modo di concepire l’esistenza, come testimonia questa graziosa descrizione di una gita in laguna: “…balzai sulla gondola più vicina gridando al solerte gondoliere di condurmi lentamente lungo il Canal Grande.
Al di là della chiesa di Santa Maria della Salute, nella laguna tra le Zattere e la Giudecca, navigava una barca con un’orchestrina di cui si riusciva a udire qualche melodia benché molto smorzata”. Hermann Hesse e l’Italia; uno scrittore e un paese indagato con puntiglio affettuoso, descritto con parole sincere e semplici, decantato con versi sublimi e commoventi, come questi contenuti nell’opera in versi “L’Avventuriero”, scritta in Germania: “…ho nostalgia del blu stellato / delle notti in laguna, / dello sfarzo appassito dei canali / e delle belle donne di Venezia, / del canto dei marinai italiani, / di uscite ardite nel buio e nelle burrasche / su battelli ondeggianti, / e del fragore cupo dei frangenti”.
Libertas Dicendi n°356 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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