In Umbria, nella valle del Menotre, un piccolo borgo sospeso sull’acqua è rinato grazie all’idea visionaria di due fratelli: unire alla tessitura jacquard di antica tradizione l’arte e l’architettura del paesaggio.

“Abbiamo acquistato la zona della sorgente, l’ex centralina idroelettrica della famiglia Accorimboni e abbiamo iniziato un progetto di riqualificazione seguendo un concept ben preciso: volevamo riportare Rasiglia nel futuro, perché Rasiglia era un tempo il futuro quando tutti si occupavano di agricoltura e pastorizia e c’erano i famosi telai di Jacquard, antesignani del computer” a parlare è Maurizio Tonti che ho incontrato in un pomeriggio di giugno in Umbria, nella valle del fiume Menotre.
Rasiglia ritrovata

La cittadina acquatica che per molti ricorda, per analogia, la Smeraldina raccontata da Calvino, si apre realmente su canali e strade di roccia e accoglie il turista spronandolo ad abitare le sue forme. Nel visitarla oggi, dopo la pandemia, dopo il terremoto e dopo le crisi economiche che da sempre tentano di penalizzare la competitività delle piccole e medie imprese del made in Italy, la si scopre rafforzata sia nelle attività sia in quella cultura di progetto che mira a tutelare e valorizzare il patrimonio socio-culturale.
Benché come spesso accade la relazione creata da e per Rasiglia non piaccia a tutti, il borgo delle acque è oggi luogo di transizione tra vecchio e nuovo e tra tradizione e innovazione grazie anche all’intuizione di Giovanni Tonti, fratello di Maurizio ed entrambi architetti, che nei primi anni del Duemila qui decide di investire. “Io non ero così convinto” mi racconta Maurizio, “lui è sempre stato il visionario e allora l’ho seguito. Oggi devo dire che questa è stata una scelta vincente“.

Proiettando nel futuro l’antico mestiere della tessitura hanno affiancato la vecchia centralina (quella elettrica del 1926 che decretò il passaggio da una produzione prettamente agricola ad una manifatturiera) con una più moderna, hanno riproposto la tessitura jacquard con un disegno e un filato contemporaneo e insieme alla Soprintendenza hanno sistemato l’ex lanificio Accorimboni oggi sede dell’atelier Tonti e intitolato al padre Dino. “Qui andava sempre tutto con la forza motrice dell’acqua: si faceva la prima lavorazione della lana quindi lavaggio, asciugatura e cardatura e poi le donne per tre turni, con tutta una serie di cinghie e pulegge, facevano la filatura, si passava alla colorazione e alla tessitura. C’era tutta la filiera” spiega Maurizio.
Non solo l’antica famiglia Tonti

Una filiera che però, nonostante lo stesso cognome, non sembra provenire dalla più antica dinastia dei conti di Foligno. “Alla lontana probabilmente eravamo parenti, ma non lo so, parliamo di una famiglia completamente diversa” mi dice Maurizio e aggiunge: “Noi non centriamo nulla con la storia tessile del luogo, mio padre era tutt’altro che un imprenditore“.
Il fatto mi incuriosisce molto, soprattutto perché entrambe le famiglie alla fine hanno trovato il loro equilibrio in Rasiglia e nella tessitura jacquard. E ciò mi porta ad approfondire.
E’ nel XII secolo, nelle carte di Sassovivo, che si menziona per la prima volta il nome della città di Rasiglia. Lo sappiamo grazie alla documentazione riportata nel libro “Tanto è mercante chi guadagna, tanto è mercante chi rimette” di Vanda Tonti appartenente a quella famiglia che da Cesena, circa nel 1600, si trasferì a Rasiglia dando avvio a quella tradizione di tintori e lanaioli che conosciamo ancor oggi.
Di fatto, nel novembre del 1855, come riporta lo storico Bruno Marinelli, si celebrò il matrimonio tra Caterina Tonti e Giuseppe Accorimboni. Il lanificio che portava il suo nome, come scriveva Vanda, “era articolato in più edifici staccati tra loro e staccati dall’antica abitazione. L’edificio più antico era quello più vicino alla sorgente utilizzata mediante un verde canale di acqua costante e profonda che ‘mandava’ il rotone di avviamento. L’edificio aveva aeree finestre sul canale e sulla piazzetta sottostante ed era la sede dei telai e dell’orditoio. La filatura della lana si svolgeva nell’edificio nuovo fatto di mattoncini vecchia America e basse finestre ad arco inferriate”.
Stesso luogo di attrazione ma spirito diverso. “Mio padre era orfano di guerra” continua Maurizio, “e la mamma avendo quattro bocche da sfamare lo mandò all’orfanotrofio dell’infanzia abbandonata di Perugia e da lì alla carriera monastica a Gubbio. A 15 anni decide di tornare a Rasiglia. A quei tempi non era così semplice campare, però da autodidatta riesce a completare i suoi studi all’Orientale di Napoli. Era del 1920, studia lingue orientali e poi va in guerra come ufficiale dell’esercito e quando torna a Rasiglia ha un pochino di soldi per compare una mucca e due pecore per la mamma e i fratelli“. Nel ricordare suo padre si capisce di quanto fosse ben voluto, quanto fosse riuscito a conquistarsi il suo tempo.
Ricostruire un senso di comunità

Mentre mi racconta la sua storia, sintesi di sensibilità, tutt’intorno il paese apre le persiane e anche i giovani nella loro necessità di esistere cercano il calore e si tengono per mano. Li vedo farsi i selfie dando le spalle alle peschiera da una cosiddetta finestra sporgente o bow-window ricavata da un ex bagno abusivo dei primi del Novecento.
Li guardo e mi chiedo come ci si possa preparare all’infinito mutare delle cose. Li guardo e capisco che in una considerazione del tutto speculare tra immaginazione e limiti dell’estetica, l’intenzione di usare la cultura e le qualità della natura come filtro sensoriale gli ha permesso di interpretare il significato più profondo di spazio e di identità collettiva.

“Utilizzo miei algoritmi che sono tutti diagrammi fatti da grandi matematici del passato i quali si sono loro stessi ispirati alla natura, come i frattali di Mandelbrot” confida Maurizio da sempre appassionato all’architettura parametrica che così riesce a realizzare creazioni artigianali di foulard e sciarpe dalla trama unica.

Tra ispirazione e sacrificio, nel 2008 nasce l’associazione Rasiglia e le sue sorgenti con la quale verranno avviate una serie di manifestazioni e convegni di interesse: dal Presepe vivente a Penelope (realizzazione di coperte combinate con fiori), fino alla collaborazione tra arte e scienza nata un anno dopo con l’Accademia di Belle Arti di Urbino.
La vicinanza e la rinascita del borgo che torna alle proprie origini, a Rasiglia non è più solo simbolica ma viene espressa nel gesto quotidiano. E’ il caso delle “sculture partecipate, fatte dai cittadini” illustra Maurizio, “le abbiamo ideate e composte da n pezzi uno diverso dall’altro, dando così la possibilità a chiunque di poter montare la propria tessera che lo rappresenta“.
Il passato è allacciato a stretto giro al futuro e pian piano cominciano ad arrivare riconoscimenti anche da fuori regione: segnalazione al SAIE di Bologna, premio A.N.C.S.A. di Bergamo, fino ad aggiudicarsi l’anno scorso il secondo posto del Premio internazionale ‘City‘ Scape City_Brand&Tourism Landscape Award’ per la riqualificazione paesaggistica degli spazi urbani.
Sì, ne è valsa la pena. Con il cuore hanno ascoltato il Menotre fluire e, nel dedicare tempo a Rasiglia, le hanno permesso di avere una storia da narrare. “Rasiglia mi dà la forza di ricaricarmi e portarmi avanti tutta la settimana” dice Maurizio prima di salutarmi, ma più che con me sembra parlare a sé stesso.
Testo di Valentina Tatti Tonni foto di Armando Lanoce |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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