Le pietre di Arles

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Una veduta aerea della città di Arles ©Shutterstock

Una volta mi hanno chiesto quale fosse il mio atteggiamento fisico e mentale nei confronti dei luoghi e delle “cose” che vedevo nel corso dei miei viaggi. Viaggi di lavoro, fatti per poi scriverne, ma anche viaggi durante i quali ho sempre avuto modo di creare piccoli itinerari di riflessione e di pensiero interamente personali.

Divagazioni in grado di consentirmi di vivere col monumento, col paesaggio, col personaggio, avendo per conseguenza l’opportunità di collocarmi – per lo spazio dell’evasione – all’interno di essi.

Raramente sono venuto meno a tale istintiva regola; ecco perché posso rifare lo stesso viaggio più volte, ogni volta arricchendolo di differenti risvolti ed interessi. Oggi il mio ritorno-rivisita è dedicato ad Arles.

Arles vista con Amici speciali

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Il fiume Rodano ad Arles ©Shutterstock

Quando il viaggio è di lavoro, c’è sempre qualcuno che ti accoglie e cerca di facilitarti le cose. Nel caso dei miei molti ritorni in Provenza, ho avuto la fortuna di poter contare su due persone speciali che, a vario titolo, mi hanno permesso di leggere tra le pieghe della storia del luogo, di conoscere e parlare con chi questa storia l’ha in parte vissuta.

Mi hanno concesso, in definitiva, di assorbire le atmosfere magiche del territorio arlesiano: le risaie della Camargue, separate da sottili strisce di terra a loro volta percorse dai famosi cavalli bianchi e grigi dalle schiene larghe e possenti; le saline e gli abbandoni di Aigues-Mortes, il mare dolce e salato delle bocche del Rodano, i raduni europei degli zingari della Camargue, a Les-Saintes-Maries-de-la-Mer, le corse folli dei tori e le pecore vaganti della Crau, per finire con l’incanto dell’intricato delta del Rodano che ha avuto nel sempre più disperato Van Gogh un illustratore, un aedo, ispirato e impareggiabile.

Ma, soprattutto, il fascino della romana Arelate. Proprio così: Con Jean e con Marguerite, cittadini arlesiani, è stato bello conoscere a fondo la città, il territorio, le piccole e grandi storie di una regione speciale.

Io e l’Anfiteatro

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L’anfiteatro romano di Arles ©Shutterstock

Il tessuto urbano del centro di Arles consente di arrivare a sbattere il naso contro l’Arena quasi all’improvviso, uscendo dal fitto dedalo di stradine e di case che circondano l’edificio romano. L’anello intorno all’Arena, percorso lentamente quando le botteghe dei souvenir sono chiuse e la folla della giornata non c’è più, procura sensazioni e pensieri conseguenti.

La sensazione prima è la maestosità delle arcate che affacciano sulla fossa interna; questo mi porta in un baleno a immaginare cosa fosse l’Arena edificata dai Romani; luogo d’incontro e di scontro; luogo d’aggregazione e di violenza, con le lotte fra gladiatori, con quelle contro le belve feroci, sino al Quattrocento d.C., quando la diffusione del Cristianesimo impedisce il proseguimento dei combattimenti.

Un po’ alla volta, l’Anfiteatro cambia aspetto e destinazione d’uso. Le pietre dell’arena vengono impiegate per edificare una città nel monumento che diviene a sua volta luogo di vita, d’uso quotidiano, con edifici addossati uno all’altro e la gente che li anima e li abita, dimentica dei fasti antichi. In altre parole, una città murata nella quale mi è facile immaginarmi in un medioevo di passaggio: di genti e avvenimenti.

Ora l’Anfiteatro è diventato Les Arenes e lo spettacolo più seguito dai numerosi visitatori sono le corride che ricordano la Spagna, con tanto di toreri locali e toreri invitati da altri luoghi; non a caso Picasso era rimasto attratto da Arles anche per questa radicata tradizione.

Camminare fra i corridoi che circondano l’arena, nel fresco della penombra, è davvero rilassante; così come è bello salire sulla cima dell’edificio e ammirare Arles e i suoi dintorni, con la riga argentea e sinuosa del Rodano che da tempo immemorabile la percorre tutta e ne certifica i destini.

I luoghi di Van Gogh

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Il Pont de Langlois dipinto da Van Gogh ©Shutterstock

Marguerite, che lavora per una casa editrice francese specializzata nell’offrire ai propri lettori opere letterarie di paesi diversi dalla Francia (lei legge e propone opere italiane), sostiene da sempre che la sua scelta di stabilirsi ad Arles, per una veneziana di nascita, è stata influenzata non poco dall’acquaticità della Camargue che, dopotutto, un po’ assomiglia alla laguna veneta!

Con Marguerite è naturale compiere il giro dei musei di Arles, a cominciare dal Reattu del quale è direttore una sua amica che poi si unisce nella visita al museo di Arles antica, allo Spazio Van Gogh nel quale è naturale scoprire quali siano stati i luoghi frequentati dal tormentato olandese in Provenza.

Troppo noto (al di là dei propri meriti) è il famoso Caffè nella piazza del Foro, luogo prediletto per i litigi dell’artista con l’amico Gauguin, per approdare poi all’ex Casa Gialla di piazza Lamartine; casa che conteneva la famosa Stanza dipinta da Vincent.

Strano destino quello di Arles nei rapporti con Van Gogh, dice Marguerite: qui ha tratto spunto e dipinto oltre trecento opere e la città non ne conserva nemmeno una! Fosse rimasto almeno uno dei due quadri che ritraevano Les Alyscamps, l’antico cimitero cittadino, uno dipinto da Van Gogh, l’altro da Gauguin!

L’unica opera che Arles avrebbe potuto conservare, si intromette Jean, è il famoso dipinto del Dottor Rey, il giovane medico che aveva curato l’olandese per i suoi disturbi d’epilessia; il ritratto che gli aveva dedicato Van Gogh, in gratitudine per l’aiuto ricevuto, era appartenuto per lungo tempo alla madre del medico che l’aveva in seguito scambiato con un pittore locale per una veduta marina di Cassis, per poi finire, dietro pagamento di 300 franchi, a un commerciante che l’aveva destinato al museo Puskin di Mosca.

Atmosfere arlesiane

Con i due amici arlesiani, ad evocare le bellezze di Arles: il Teatro Antico, più vecchio di un secolo del vicino Anfiteatro, ma molto meno ben conservato. Il magnifico portale scolpito della Chiesa di St-Trophime, dal nome del primo vescovo di Arles; un portale che si ispira alle forme di un arco di trionfo diffuso in Provenza nel XII secolo, alta espressione dell’arte romanica provenzale.

Ancora: la Placedu Forum, che a lungo si è chiamata Place des Hommes perché qui, al mattino, i braccianti aspettavano i proprietari terrieri che venivano a prelevarli per lavorare alla giornata. Oggi è luogo di passaggio, affollato di caffè, bar e ristoranti e naturalmente da frotte di turisti; la piazza poggia sui Criptoportici sottostanti che forse servivano anche per conservare il grano e il vino; luoghi, questi, cui si accede dalla Cappella dei Gesuiti o dal Municipio in Piazza della Repubblica, accanto alla Chiesa di St-Trophime.

Restano gli aperitivi (Pastis) le chiacchiere italo-francesi, le promesse reciproche di rivedersi quanto prima. Sempre con la speranza, attraversando una strada, di non essere i destinatari di un epiteto (Rital!) – un po’ salace, un po’ irriverente, raramente astioso – che i locali riserbano agli italiani.

Ma anche questo è Arles ed è opportuno accettarlo, insieme al bello inarrivabile di questa splendida città.

Libertas Dicendi n°367 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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