Viaggiare e altri pensieri

Novembre comincia a lacrimare, qua e là, ponendo fine all’estate infinita. Nella mia definitiva ridotta mobilità, continuo imperterrito a navigare acque, trasvolare cieli e perlustrare terre attraverso le rivisitazioni che scattano a comando e trovano le parole che le raccontano. Questa malattia finirà con me, naturalmente. Ciò non mi impedisce di riflettere sulla molteplicità dei significati e sull’essenza del viaggio e del viaggiare, esercizio che ha contrassegnato la mia vita.

L’eco delle parole ©Artwork di Arianna Provenzano

Viaggiare è vivere

Il viaggio, qualunque esso sia, per risultare appagante deve rispondere alle aspettative di ognuno di noi. Esiste una letteratura sterminata in proposito e tutti quelli che hanno scritto dando testimonianza delle proprie esperienze, sono giunti alla conclusione che il viaggio (lungo o breve, vicino o lontano, reale o metaforico) finisce per acuire il senso di lontananza dalla propria terra, dalla propria casa; per assurdo, quindi, si potrebbe affermare che il bello del viaggio consiste nella certezza del ritorno.

Ulisse ci ha messo dieci anni per capirlo, ma alla fine ha potuto riassaporare le atmosfere e la sicurezza del proprio piccolo regno. Nell’epoca dei jet e in previsione dei superveloci mezzi di trasporto in arrivo, chiunque potrà andare e tornare in giornata e anche le mete più lontane del pianeta sembreranno gite fuori porta; per conseguenza il senso di lontananza, condizione essenziale per acuire il desiderio del ritorno, potrà essere tale solo in presenza di lunghe permanenze nel lontano e diverso luogo raggiunto e vissuto, ricreando per quanto possibile situazioni di vita e di comunità tali (benché provvisorie) da attutire e forse apprezzare in misura maggiore i tempi dell’assenza: proprio in virtù delle esperienze e sensazioni provate. Beninteso: in attesa del ritorno definitivo.  

 

Ancora parto ©Artwork di Arianna Provenzano

Viaggi bruciati

“They met at a party and clicked straight away” (si sono incontrati ad una festa e subito sono andati d’accordo). È quello che la gente si aspetta avvenga quando incontra persone sconosciute. Qui l’inglese “click” riveste una funzione specifica, ma il breve e schioccante vocabolo, italianizzato e senza cappa finale, è molto più presente e determinante nella vita di oggi perché indica, inequivocabilmente, la facilità di connessione, di contatto col mondo; condizioni che favoriscono l’obiettivo di controllare, verificare, prenotare e pagare la meta scelta assieme ai mezzi per raggiungerla, appiattendo però l’attesa, l’emozione dell’ignoto o dell’imprevisto che, con i veicoli tradizionali di una volta, rendevano il viaggio eccitante.

Il clic consente di prenotare una camera d’albergo vedendola in foto; permette di gustare un pranzo con amici mangiando con gli occhi prima quel piatto speciale di cui tutti parlano. Il clic consente di cambiare al volo un volo, di scegliere addirittura un safari in Tanzania ciabattando per casa.

Insomma, internet facilita enormemente le prospettive e la realizzazione di un viaggio ma tale esercizio, alla lunga, impoverisce la nostra personale fantasia alla continua ricerca di nuove mete e nuove esperienze: proprio quelle che un tempo, anche in periodi storici meno comodi per gli spostamenti, costituivano l’essenza prima della magia del viaggio; viaggio che veniva pensato, preparato con cura, goduto nel suo svolgimento e rivissuto negli anni successivi.

  

Alla ricerca dei miei sogni ©Artwork di Arianna Provenzano

Viaggi motivati

Va da sé che ogni persona che si sposta da un luogo all’altro nel mondo (sono miliardi di individui) lo fa in base a una specifica esigenza, interesse o pulsione. Escludendo a priori quelli che lo fanno per lavoro o per necessità varie, rimane la massa di individui che viaggiano per turismo; categoria proteiforme, questa, dato che fare turismo comprende differenti attori: chi il turismo lo propone e chi al contrario lo fa.  Tra questi ultimi, quali sono le aspettative? Quali gli obiettivi perseguiti e quali le collocazioni naturali o indotte che finiscono per occupare? Vediamone alcune.

Tra le più importanti, c’è il bisogno magari inconscio di socialità e di incontro. Il diverso carattere delle persone rappresenta, sotto questo aspetto, un mare infinito di motivazioni: solitudine, limitate o esagerate condizioni economiche, predisposizione istintiva ad essere aperti e cordiali o immusoniti e chiusi; ancora: per semplice desiderio d’evasione o per sfuggire situazioni di routine o disagio di vita. Tutti individui che senza saperlo si cercano e accorrono felici quando chi propone viaggi lo fa promettendo che troveranno gruppi di persone simili a loro e caratterialmente ben disposte a creare socialità. Con queste prospettive, il turista si adatterà di buon grado a seguire il famoso ombrellino delle guide che (magari) porta diritto nella boutique di amici che vendono souvenir del luogo.

Diversa ma ugualmente importante è la socialità di chi intende il viaggio come esperienza più completa e lo fa con un ristretto gruppo di amici che possiedono affinità di pensiero e di valutazione; questi viaggiatori non amano far parte di gruppi numerosi, prediligono viaggiare organizzando da sé mete e finalità del viaggio; le loro aspettative sono ben delineate: viaggiare persoddisfare esigenze culturali ben precise, scegliendo con cura e consapevolezza le mete geografiche; viaggi che potranno essere, di volta in volta, piacevoli, avventurosi, divertenti, esclusivi. Una perfetta terapia sociale per piccoli gruppi o individui solitari.

Altri tipi di viaggiatori possono essere quelli catalogati come individui autoreferenziali perché l’obiettivo primario che perseguono consiste nel dimostrare dove sono andati attraverso i favolosi media del nostro tempo: instagram, twitter, facebook youtube, tiktok sono canali ingolfati da centinaia di travel e blog writer improvvisati che riversano tonnellate di immagini e migliaia di parole non sempre in sintonia con le foto proposte, al punto che si potrebbe concludere che sono turisti evoluti o viaggiatori frustrati. Sicuramente, appartengono alla categoria di persone che ritengono uniche o quasi le proprie esperienze di viaggio, perciò meritevoli di essere diffuse nell’etere con tutti i mezzi possibili.

Mi piace terminare queste note con un’ultima categoria di viaggiatori. Quelli che ritengono che l’uomo o la donna non possano esimersi dal viaggiare, ritenendola una necessità fisiologica, l’unica in grado di placare gli stati di continua insoddisfazione o irrequietezza. Alla fine, il viaggio viene visto come una sorta di terapia di prevenzione.

Libertas Dicendi n°380 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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