Orvieto e le magie del rocchio

Italia superstar! Com’è stato bello negli anni e come continua ad essere bello girare il Bel Paese in lungo e in largo scoprendo luoghi, città, piccole storie.

cosa-vedere-orvieto-duomo-panorama
Veduta del borgo di Orvieto @Shutterstock

Come questa di un po’ di tempo fa, vissuta e goduta ad Orvieto; uno squarcio di leggerezza nel quadro di visioni cittadine che suscitano meraviglia e profondo rispetto. Raccomandate poi dal Rocchio, hanno tutt’altro sapore!

Duomo, arabeschi di marmo

Il consiglio mattiniero dell’amico Umberto Tiberi detto il Rocchio, che io e Cate salutiamo prima di immergerci nelle bellezze di Orvieto, è lapidario: per prima cosa salite sulla Torre del Moro; da lassù vedrete il Duomo e la città come meritano, senza contare che i 236 scalini con le scarpinate che seguiranno, contribuiranno e creare il giusto vuoto di stomaco per la cena di stasera!

cosa-vedere-orvieto-duomo
@Shutterstock

Così parla il Rocchio e così noi facciamo. Dall’alto Orvieto, più che bella, è magica: il Duomo sovrasta il disegno compatto di case e vie strette che occupano l’altura tufacea sulla quale la città poggia; lo spettacolo richiede diverso tempo e va amministrato spostando lo sguardo su ogni particolare del reticolo sottostante.

I gradini in discesa chiedono meno fatica e l’arrivo davanti alla facciata del Duomo regala una seconda, intensa emozione. Dicono che l’ora migliore per valorizzare la facciata sia quella del tramonto, con i suoi ori uniformi; ma anche in un mattino di sole e di ombre l’effetto è notevole; dicono anche che solo la facciata sia preziosa rispetto all’interno della chiesa; un po’ vero e un po’ no; siccome l’impatto primo è con l’esterno della cattedrale, il sentire comune ha un fondo di verità.

D’altra parte è una bellezza, quella della facciata, che ha richiesto un lungo periodo di tempo per concretizzarla: dall’inizio dei lavori, nel XIII secolo, sino alla fine del 1500. Colori, decori, statue e bassorilievi, guglie e portali, formano un insieme armonioso che lascia a bocca aperta; tutto è bello e tutto da gustare con partecipazione: le tre porte d’accesso, gli spazi occupati da statue e bassorilievi che raccontano le storie del vecchio e nuovo testamento, del giudizio universale.

Alzando poi lo sguardo, ecco il magnifico rosone decorato con i visi dei profeti e degli apostoli. All’interno, la chiesa appare più semplice, quasi austera; le tre navate hanno un soffitto in legno bianco decorato e la navata che ospita il presbiterio ha una serie di affreschi che ricordano episodi della vita della Madonna. Fra le cose notevoli da vedere c’è poi un bellissimo organo decorato con greche e statue, la Cappella del Corporale realizzata nel 1300 e quella di San Brinzio, più recente, con affreschi iniziali del Beato Angelico e di Benozzo Gozzoli, progetto decorativo in seguito affidato a Luca Signorelli, uno dei più famosi pittori rinascimentali.

Alla fine, io e Cate non manchiamo di visitare la Libreria Albèri, da lui voluta nel 1499 per custodire i suoi preziosi trecento volumi; peccato che ora il locale funga da sacrestia e non ospiti più libri, ma solo vecchi oggetti legati alla vita del Duomo. Dopo tanto splendore, una pausa con un bicchiere di Orvieto e una piccola focaccia salata.

Pozzo di San Patrizio, discesa senza asini

cosa-vedere-orvieto-pozzo-san-patrizio
Il Pozzo di San Patrizio a Orvieto @Shutterstock

La seconda meraviglia della città è il celeberrimo pozzo, realizzato nel XVI secolo al fine di garantire acqua alla città, in caso di assedi militari o calamità di altro genere. Il Sacco di Roma del 1527 consiglia papa Clemente VII di rifugiarsi a Orvieto; qui affida il progetto del pozzo al fiorentino Antonio da Sangallo il Giovane.

Scavando nel tufo prima e quindi nell’argilla, raggiunta la falda acquifera, è stato costruito in mattoni il cilindro profondo 62 metri, largo 13 attorno al quale salgono a spirale due scale a chiocciola, che davvero sono opera di alta ingegneria: corrono sovrapposte una all’altra senza intralciarsi.

Ancora: le scale sono formate ciascuna da 248 comodi scalini, che venivano scalati in salita e discesa in genere da asini, perfetti animali da soma, con i carichi d’acqua; a loro volta le scale prendono luce da 72 finestroni. In fondo alla discesa c’è un piccolo ponte che collega le due scale. L’acqua del fondo è alimentata da una sorgente naturale.

A ricordo dell’avvenimento, presso i Musei Vaticani, viene conservata una medaglia, coniata da Benvenuto Cellini, che reca la scritta ut populus bibat (affinché il popolo beva). Sfortunato il pontefice Clemente VII che ha voluto l’opera del pozzo, terminato quando il nuovo papa era Paolo III Farnese.

Un’ultima annotazione: perché Pozzo di San Patrizio? Perché esiste un’enorme cavità simile a quella di Orvieto anche in Irlanda, cavità che secondo la leggenda collegava il mondo dell’aldilà, oltre la quale si aprivano le porte del Purgatorio. Luogo questo nel quale Patrizio, evangelizzatore dell’isola, si ritirava in preghiera.

Il Rocchio, personaggio d’altri tempi

orvieto-prodotti-tipici
@Shutterstock

A fine giornata ritroviamo il Rocchio dietro il bancone rotondo piastrellato con ceramiche in rilievo di soggetti marini (reti da pesca, gamberi, pesci, stelle marine) del suo buen retiro: l’Antica Cantina e Trattoria che porta il suo soprannome, situata in via Maitani, di fronte al Duomo.

Breve resoconto della giornata, non privo di qualche benevola critica su ciò che avremmo potuto vedere in più e non l’abbiamo fatto. Rocchio: perché questo nome? Era chiamato così anche il babbo, è la risposta, e pare che il nome ci sia stato dato per la dichiarata e praticata passione per la carne di maiale in genere, specie le salsicce.

L’amico Rocchio, figura minuta e puntuta, sembra una di quelle figurine etrusche che di solito ornano i vasi antichi del popolo d’Etruria. Rocchio, parlami del tuo lavoro per il quale sei famoso, il restauro dei vasi etruschi. Qui l’omino si illumina, come solo l’orgoglio per la sua cucina riesce a fare: io i vasi li fabbrico, li distruggo lungo le scale della cantina e poi li riaggiusto.

Pausa; forse si è spinto troppo in là e allora si perde in dettagliate descrizioni su come recupera i frammenti di vasi antichi, ricompone grandi puzzle per rimetterli insieme e alla fine restituisce ai musei che gli hanno commissionato i lavori le opere di nuovo integre. Veri capolavori di restauro.

Ma adesso basta parlare; è ora di mangiare e vi ho preparato la mia specialità: la bistecca del Curato, in omaggio all’amore e alla cura dei religiosi per i cibi e le bevande. Fornetto a gas, una griglia e una bistecca di manzo (con o senz’osso) cotta e arricchita con una preziosa salsina preparata a parte: prezzemolo, maggiorana, basilico, salsa di pomodoro, aglio, un po’ di mostarda, pasta d’acciughe, limone, sale e pepe.

Il tutto mischiato, passato, messo sott’olio. Salsina che va versata, un po’ alla volta, sulla bistecca in cottura. L’Orvieto bianco accompagna la gustosa bistecca e alla fine il Rocchio offre un bicchiere di Malvasia. Una camminata notturna fra i vicoli silenziosi della città conclude l’appuntamento con Orvieto.

Libertas Dicendi n°383 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

Caro lettore,

Latitudes è una testata indipendente, gratis e accessibile a tutti. Ogni giorno produciamo articoli e foto di qualità perché crediamo nel giornalismo come missione. La nostra è una voce libera, ma la scelta di non avere un editore forte cui dare conto comporta che i nostri proventi siano solo quelli della pubblicità, oggi in gravissima crisi. Per questo motivo ti chiediamo di supportarci, con una piccola donazione a partire da 1 euro.

Il tuo gesto ci permetterà di continuare a fare il nostro lavoro con la professionalità che ci ha sempre contraddistinto. E con lo stesso coraggio che ormai da 10 anni ci rende orgogliosi di quello facciamo. Grazie.