Ritorno (imprevisto) a Mauritius

La vita riserba continue sorprese. Pochi giorni fa ho attraversato Milano in taxi e l’autista-padroncino (proprietario del mezzo; si chiamano così) un esuberante e simpatico uomo di colore dal quasi perfetto italiano, mi ha raccontato che lui è milanese da ben trentadue anni e che i restanti ventisei lo hanno visto nascere a Mauritius, cercando di viverci al meglio, senza successo.

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Una veduta aerea di Mauritius ©shutterstock

Mi è venuto istintivo dirgli quanto fosse bella la sua isola: spiagge, mare, monti colorati, cascate, colline coltivate, giardini botanici; davvero un luogo nel quale sarebbe normale e piacevole abitare. Mi spiace, signore; come tutti gli stranieri, lei non ha visto niente di Mauritius; o meglio, ha visto solo quello che hanno deciso di farle vedere.

Dennis, taxista mauriziano

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Isola dei Cervi, Mauritius ©Lucio Rossi

Il taxista Dennis, così ha detto di chiamarsi, non è un uomo fegatoso che serba rancore verso la sua isola; questo l’ho capito subito. Anzi, da ogni parola che pronuncia traspare evidente che anche lui, al pari del quasi milione di turisti che ogni anno trascorrono le proprie vacanze a Mauritius, riconosce che il suo paese è un concentrato di bellezze naturali che in una nazione più vasta risulterebbero sparpagliate a centinaia di chilometri una dall’altra.

Al contrario hanno la fortuna di trovarsi raggruppate in un’isola piccola e dalla vaga forma di patata, tutto è prossimo e quindi accessibile; bastano pochi chilometri e si va dalle spiagge e dalle lagune di incredibile bellezza a montagne che in certi tratti incutono persino timore per l’asprezza delle guglie, erose dai venti e dalle antiche lave.

Diciamo allora che il mio colloquiare con il taxista Dennis (il lungo tragitto lo consente!) è risultato alla fine una schermaglia verbale garbata e insieme contrastata, nella quale lui ha usato toni duri verso la sua terra proprio per l’amore che le porta; non solo, ha sostenuto con forza che chi va a Mauritius non vede, non può vedere, i lati oscuri di una vita difficile della maggioranza della popolazione. Semplicemente perché sono lati che vengono accuratamente nascosti a chi porta dollari, euro, yen, rupie, eccetera.

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La raccolta delle foglie del tè, Mauritius ©Lucio Rossi

Dice Dennis: da quando sono nato sino a quando ho deciso di lasciare l’isola, mi è sembrato di girare a vuoto, o quasi. Lavori duri e diversificati, sempre, con paghe risibili che non mi hanno nemmeno permesso di acquistare una bicicletta; qui a Milano ho avuto le normali difficoltà iniziali che tutti i migranti incontrano, ma ora sono padrone del mio taxi, ho quasi finito di pagare il mutuo per la casa e lavoro felice perché i figli sono già grandi e so che fra poco potrò concedermi un riposo tranquillo.

Si, solo allora potrò tornare nell’isola a salutare parenti e amici; potrò rivedere Curepipe, dove sono nato: un tappeto verde disseminato di casette modeste perché sono le case della manovalanza di Mauritius, sono lo specchio di un paese che ha creato una frattura verticale tra la classe dominante (interamente o quasi d’origine indiana) e la forza lavoro nei campi della canna da zucchero e nei terreni agricoli, nella faticosa e pericolosa pesca d’altura (attorno è tutto Oceano)e nelle fabbriche manifatturiere.

Il settore turistico? Poco considerato e pagato peggio, con eccessivo ricambio di personale, il che esclude un lavoro stabile. Il Governo ha puntato molto sulle strutture del turismo – quasi interamente in mani straniere – e la ricaduta economica su chi lavora è davvero trascurabile.

L’isola nel cuore

Dennis si destreggia benissimo nel traffico convulso della città e lo scambio di opinioni (e di curiosità) continua con reciproca soddisfazione. Sapere che avevo visto Mauritius come giornalista e non come turista, non cambia il suo personale punto di vista.

Il giardino botanico, Mauritius ©Lucio Rossi

Anche a me, sostiene, avranno cercato di impedire di vedere al di là del mio naso, perché tutto quello che rappresenta la forza viva e trainante del piccolo paese (i lavoratori e come vivono) non deve interessare chi viene qui col solo scopo di riposarsi e divertirsi.

Quindi Dennis, azzardo, legami con l’isola del tutto aboliti, vivendo a Milano? Vuole scherzare, vero? Dalla risata divertita all’invito a guardare il cruscotto dell’auto. Ci sono due o tre telefonini, sempre accesi: uno per i collegamenti con lo 026969, la compagnia per la quale lavora; un altro che riporta le “notizie” della vita di Mauritius: un po’ in inglese, un po’ in francese, un altro po’ nel misto creolo-francese che è la lingua ufficiale di Curepipe.

Il terzo telefonino espande musica ritmica, allegra, cadenzata delle varie band dell’isola e consente contatti vocali con chi sta oltre l’equatore, a migliaia di miglia da Milano.

Una cosa l’ho capita, viaggiando nel taxi di Dennis: lui non farà la fine dello sfortunato Dodo, ma avrà ali forti e sicure per veleggiare di nuovo verso l’isola dell’Oceano Indiano.

Libertas Dicendi n°391 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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