Bellinzona, sul giovane Ticino

C’è una città svizzera che è la più italiana e persino la più milanese fra quelle della Confederazione.

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La torre e le mura del castelli di Castel Grande a Bellinzona ©Shutterstock

A Lugano sono sempre stato di casa per via del lavoro alla Radio; lavoro che mi ha portato in tutta la Svizzera, specie in quella dei centri minori e delle valli del Canton Ticino.

Alla fine, gradevole luogo di amicizie e di relax, c’era lei, Bellinzona. Come essere a casa: infatti il dialetto che parlano all’ombra delle torri Viscontee è simile a quello che si parlava a Milano nei primi anni dell’Ottocento.

Un nome e una storia

Cominciamo dal nome della città che è di origine controversa. Ci sono due versioni di matrice popolare o, per meglio dire, a orecchio! Bellinzona si chiamerebbe così perché “terra dei belli”, oppure perché la città era una perenne “zona bellica”!

Fra le etimologie serie, abbiamo la prima che la collega al celtico brig (monte, altura, da cui deriva anche Brianza) e la seconda che ricalca il nome personale romano Belitius o Bellitio, rafforzato dal suffisso –one a indicare che la zona era un podere o un possedimento di tale Bellitio.

E già che si parla di Romani, scopriamo che qui hanno costruito sulla collina una fortificazione in legno nel IV secolo d.C., sulla via per i passi alpini che portavano nelle terre degli Alemanni. In epoche successive il presidio ha subito ulteriori ampliamenti per mano dei Longobardi, dei Franchi, per passare ai comaschi e ai milanesi.

Gli Svizzeri arrivano a Bellinzona solo attorno al 1500, quando le costruzioni esauriscono la funzione di presidio militare per divenire postazioni di traffici e di amministrazione del territorio.

Torri e Castelli

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Il castello di Sasso Corbaro a Bellinzona ©Shutterstock

Con una Svizzera in via di formazione, Bellinzona diviene sede del Commissario del Canton Uri (uno dei comuni del nucleo svizzero iniziale); qui abita e qui sistema le stalle per i cavalli. Le prime torri (la Bianca e la Nera) risalgono al 1310; attorno al 1400 i Duchi di Milano abbattono alcuni edifici perché avevano bisogno di aumentare gli spazi interni per organizzare meglio le difese con soldati in caso di attacchi nemici.

Nel XIV secolo il castello viene definito Castrum Magnum, vale a dire Castel Grande, come viene chiamato oggi. Non sempre è stato così: a conquista svizzera avvenuta, era detto Castello d’Uri, mentre dal 1818 era il Castello di San Michele, per via della cappella che c’era al suo interno.

Nel tempo ha cambiato spesso funzione: è diventato anche deposito di materiali, arsenale nel 1800, prigione (nella Torre Nera) e ora ospita un museo e gli uffici dei Beni Culturali, quegli uffici che ho visitato più volte in compagnia dell’amico Pier Angelo Donati, sovrintendente del Canton Ticino per i beni archeologici e storici. 

Il Castel Grande è legato anche, in diverse occasioni, alle minuziose visite effettuate con la guida di chi l’ha restaurato, tra gli anni 1984 e 1991, l’architetto Aurelio Galfetti.

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Il castello di Montebello a Bellinzona ©Shutterstock

Il Castello di Montebello è il secondo in ordine di costruzione e dall’alto, domina il Castel Grande. Dal Castello partivano le mura che chiudevano l’antico borgo congiungendosi a quelle che scendevano dal colle di San Michele. Il primo nucleo interno del castello risale al XIII – XIV secolo, quando Bellinzona apparteneva ai Duchi di Milano; le corti esterne e il rivellino risalgono invece al XIV-XV secolo.

Il castello di Montebello completava il sistema difensivo e di controllo di Bellinzona; gli stessi duchi milanesi lo consideravano il più adatto alla difesa in caso di conflitti. Il castello era abitato (personale di controllo, servitù ecc.); disponeva di un pozzo per l’acqua e aveva anche una cappella per le funzioni religiose.

L’ultimo castello in ordine di edificazione è il Castello di Sasso Corbaro. È il più in alto di tutti e da lì lo sguardo arriva sino alla piana di Magadino, dove il fiume Ticino entra nel Lago Maggiore.

Il primo nucleo è la grossa torre quadrata costruita dopo il 1478 dai milanesi; la struttura difensiva ospitava guarnigioni di soldati e successivamente anche una prigione.

Il castello è stato in seguito abbandonato perché considerato inutile dal punto di vista militare e anche troppo costoso da mantenere. Nel 1800 il Ticino faceva stabilmente parte dei Cantoni svizzeri e i castelli di Bellinzona hanno corso il grosso rischio di venire abbattuti, sia perché rovinati da cento battaglie che dall’usura del tempo.

Per fortuna questo non è successo e il complesso dei castelli della città, rinato a nuova vita, è oggi una delle maggiori attrazioni turistiche della capitale del Cantone.

Bellinzona, borgo sobrio ed elegante

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Bellinzona, le vie del centro e la torre del Palazzo Civico ©Shutterstock

Mi ci sono perso più volte, con passo tranquillo e disteso, fra le vie tortuose e gli slarghi irregolari; ho più volte passeggiato lungo la sponda del Ticino, un fiume qui ancora torrente, percorso da acque veloci e quasi ansiose di raggiungere il Verbano.

Le antiche dimore e i palazzi di Bellinzona, abbellite da restauri sapienti, testimoniano senza ombra di dubbio la matrice culturale lombarda di questa città. Vi sono hotel accoglienti e decorati, così come le chiese e le viuzze del centro storico raccontano di un vecchio borgo che le vicende umane e militari hanno col tempo elevato al rango di capitale di una repubblica – quella del Canton Ticino – confederata con gli stati (Cantoni) di oltre Gottardo.

Ho più volte fatto il pendolare, tra Lugano e Bellinzona, tra gli impegni del mattino e quelli pomeridiani che prevedevano l’utilizzo di una sala di registrazione. Pochi minuti di treno, una camminata nel clima rilassato del borgo e una colazione al ristorante hotel Corona.

Chissà se avrà avuto la fortuna di invecchiare come me, la gentile cameriera bionda che serviva ai tavoli; profumava di fresco con la sua divisa nera di stoffa lucida, grembiule e cuffietta bianche; mi suggeriva il miglior menù della giornata e alla fine apriva il grande portafoglio di cuoio scuro a scomparti diversi, mettendo e togliendo i franchi delle consumazioni.

Libertas Dicendi n°396 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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