Nel cuore del Gargano fra siti UNESCO e pellegrini senza tempo

Il mare è a tiro di sguardo, ma capisci subito di essere in un altro mondo. Monte Sant’Angelo, arroccato a guardia del golfo di Manfredonia, vedetta del Gargano, crocevia di antichissimi cammini tappa fondamentale della Via Francigena.

Foto di sebastiano iervolino da Pixabay

E’ un luogo mitico di devozione, in cui l’Arcangelo Michele sguainò la spada di guerriero, sollevò la bilancia di psicopompo, pesatore e traghettatore di anime, pose il tallone sul capo ferino di Lucifero, soggiogandolo. Per dare il largo ad un culto che si tramanda intatto nei secoli, sulle ali di miracoli, apparizioni e guarigioni prodigiose. Intorno valli scoscese, di orti, uliveti, pascoli e soprattutto grano, di quello buono per pane e pasta. Insieme a tanto ben di Dio, ancora troppi campi incolti e masserie abbandonate, perché è pur sempre terra difficile. Poi la selva fitta di alberi centenari e la pietra brillante di calcare al sole dell’est, a ricordarci storie di caverne misteriose, anfratti e forre dove pastori, orsi, briganti e pellegrini si contendevano ripari e protezione nelle notti senza luna e nei giorni oscurati dall’ombra impenetrabile della foresta. Da qui, pare, lo svelamento del mistero del nome umbra, per un’improbabile parentela con una regione ben più a nord. Non baderemo ai tanti pullman di varia provenienza che irrompono con sprezzo del pericolo sulle strade più prossime al Tavoliere. Alcuni scavallano fino a Mònte, come si chiama in dialetto, ma i più si arrestano a San Giovanni Rotondo e scaricano frotte di fedeli devoti a Padre Pio, in uno dei luoghi di turismo religioso massificato più frequentati d’Italia.

Le casette del rione Junno, alcune ristrutturate, altre disabitate e da valorizzare

La montagna dell’Arcangelo e la piccola kasba lucente

Noi invece andremo a cercare un sentiero, il nostro tracciato personale impregnato di vicende antiche e nuove, il “filo nascosto” che avvolge la parte più intima e arcana dello sperone nazionale. Lontano dalle spiagge e dai locali alla moda, da estati marine e incaute movide. Verremo qui a incontrare due siti UNESCO nel giro di pochi chilometri e a stupirci se presto non ne seguirà un terzo. Monte Sant’Angelo è fatto a strati, una sorta di cono irregolare al cui vertice si trovano l’imponente fortezza e il Santuario di San Michele Arcangelo.

Scendendo, strade lastricate e scalinate ripide e l’intorno di magioni e palazzi padronali che, da un ampio lato, verso il basso, lasciano il posto a un intrico di case candide, per lo più piccine, dai tetti in coppo, grondaie in pietra, imponenti comignoli, minuscoli balconi fiorati, cortiletti occultati, gradinate segrete, vicoli e piazzette.

Nel rione Junno piccoli cortili aperti, piazzette nascoste, interni ricavati dalle grotte carsiche del monte.

Un presepe fantastico, o una piccola kasba? No, è il rione detto Junno, costruito tra l’XI e XIII secolo su grotte già abitate, mono o bi cellulari, spesso solo inglobandole. Una bellezza che oggi ci priva della vista di una micro-Matera, ma intanto ci suggerisce la trama che andavamo cercando, ricorrente, ancestrale, mitologica: la grotta, appunto. Questo ci riporta alla sommità del Mònte, anche se prima è il richiamo di un’altra curiosità architettonica ad attiraci. I quartieri Coppa e Sant’Antonio, con le casette a schiera, tutte uguali e bianche di calce, secondo un disegno urbanistico ante litteram compiuto e preordinato.                           Visitare il Santuario di San Michele vuol dire calarsi materialmente in epoche e dominazioni. Fino a raggiungere, attraverso una scalinata profonda, il primigenio antro micaelico dentro la montagna.

Il Santuario di San Michele Arcangelo, guerriero, psicopompo e guaritore

L’arcangelo con la spada e il dress code del pellegrino

Questa grande “spelonca” (come definita in vari scritti) è stata protagonista in due delle prime tre apparizioni di San Michele, a partire da quella detta del Toro, del 490 d.C.. Seguì quella detta della Vittoria, e poi quella della Dedicazione o delle Aquile. Proprio da quest’ultima discende il simbolo da apporre sul bastone del pellegrino che giunge al santuario: le piume. Nell’interessante museo ospitato nel corpo della basilica, prima di ingenui ex voto, monili preziosi, reperti, paramenti, c’è la riproduzione fedele di un tipico abbigliamento del pellegrino medievale, che doveva essere essenziale, povero, ma ben riconoscibile. Quanti ancora oggi giungono a piedi fin qui ripercorrono il cammino fatto da milioni di fedeli nel corso di quindici secoli, rendendo omaggio al più antico e più famoso luogo di culto micaelico dell’occidente, che fu da modello per molti altri dedicati all’arcangelo, come Mont-Saint-Michel au péril de la mer in Normandia, e la Sacra di San Michele in Val di Susa, entrambi costruiti su un’altura.

Cavaliere longobardo, ritrovato nelle mura più antiche del santuario

Famoso già dalla fondazione in epoca bizantina e longobarda, raggiunse l’apice nel periodo normanno-svevo come una delle più frequentate mete di pellegrinaggio della cristianità secondo l’itinerario di redenzione spirituale noto come Homo, Angelus, Deus.  Questo prevedeva la visita alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma e di S. Giacomo di Compostela in Spagna (Homo), all’Angelo della Sacra Spelonca di Monte Sant’Angelo (Angelus), e infine ai luoghi della Terra Santa (Deus). Ma a Mònte non transitavano solo penitenti, camminanti e sant’uomini (compreso San Francesco d’Assisi). Ci passavano molti cavalieri e armigeri diretti alle crociate, per chiedere protezione al santo guerriero, o di ritorno, per rendergli grazie. Un flusso continuo di genti diverse che, come ben ci spiegherà un acuto e simpatico padre francescano, venivano da ogni dove, imparavano a conoscersi, a solidarizzare, a fraternizzare. Lungo i cammini dal nord al sud d’Europa sparivano frontiere e barriere per chi, cercando il divino, incontrava l’uomo.

Il castello, presidio strategico della Capitanata

L’amante di Federico II, la tomba fantasma, gli eremi perduti

Lasciamo la basilica, inserita nel patrimonio UNESCO per le tracce longobarde nell’ambito del sito seriale “I Longobardi in Italia, I luoghi del potere (568-774 d. C.)”, e saliamo al castello. Anche qui ogni dominazione ha lasciato il segno. Riconosciamo le tracce del primo insediamento, voluto dal vescovo di Benevento e Siponto Orso I negli anni 832-833, là dove preesisteva un castrum bizantino. Coi Normanni arrivarono le mura, la torre attuale, detta dei Giganti, e l’introduzione dello scotto, un balzello per chi voleva entrare al santuario e cancellare i propri peccati.  Fiorì sotto gli Svevi come perno difensivo del Gargano, ospitando lo stesso imperatore Federico II con la sua diletta, Bianca Lancia di Torino. Il grande torrione e il fossato li si deve agli Aragonesi, mentre gli Angioini lo usarono come prigione di stato. Qui ci fermiamo, evocando le buie e minuscole celle ancora visitabili dove vissero in condizioni terribili personaggi come Filippa d’Antiochia e Giovanna I di Napoli. Sempre nel periodo angioino furono aggiunte feritoie per le armi da fuoco, assumendo l’aspetto attuale. Se ci sovviene qualche dubbio sul ruolo strategico del castello, basta salire alle mura e al torrione, dove quasi nulla a 360 gradi sfugge alla vista. Così, sull’orizzonte marino, verso sud, una vela lontana parrebbe una feluca saracena pronta all’abbordaggio.

Il battistero di San Giovanni in Tumba. Un’architettura originale e misteriosa.

Avvolti dal profumo di pane fragrante scendiamo verso il centro del paese, fra botteghe, ristoranti e negozi di souvenir nemmeno troppo invasivi per raggiungere il complesso architettonico comprendente la chiesa di Santa Maria Maggiore e i resti della chiesa di San Pietro. Il luogo ha qualcosa di misterioso e solenne, anche se è racchiuso nell’abitato e porta un nome che, ad oggi, non ha riscontri oggettivi. Viene indicato infatti come Tomba di Rotari, re e condottiero longobardo, ma nessun resto è stato rinvenuto. A Rotari viene però attribuito un testamento in cui avrebbe espresso il desiderio di essere sepolto proprio a Monte Sant’Angelo. Si pensava inizialmente al bellissimo Battistero di San Giovanni in Tumba quale sepolcro regale.  L’originalità della costruzione, e le varie modifiche in epoche diverse, tendono a smentire questa ipotesi. Non ce ne avremo a male, usciamo da qui tra echi di vicende antiche che non hanno bisogno di disvelarsi più di tanto per affascinare. E poi un’altra meraviglia ci aspetta.

Appollaiati su speroni di roccia o ricavati da grotte rupestri, gli eremi sono difficilmente raggiungibili.

È la ragnatela di eremi scavati o addossati alla roccia, su pareti a strapiombo o sottilissime creste, spesso irraggiungibili, nell’area dell’abbazia di Santa Maria di Pulsano, del VI secolo, più volte ricostruita, luogo del cuore FAI. Una teoria di grotte naturali e mura in pietra per una vita di privazioni, solitudine, preghiera e meditazione in spazi ristrettissimi, ripagata da una vista sul golfo degna della magnificenza celeste. Un camminamento ferrato consente di scendere in una delle tre valli degli eremi e toccare con mano l’essenzialità e la povertà dei ripari. La chiesa dell’abbazia è anch’essa ricavata in parte da un grande antro naturale. Tutto è silenzio e raccoglimento. Di lato al frontone dell’altare bizantino del 1177, uno dei pochi ancora presenti in Italia, un corridoio raggiunge piccole cappelle ed edicole, sfiorando un ossario ben visibile di monaci, anacoreti e cenobiti, orientali e latini che qui vissero e morirono. Icone preziose suggeriscono anche al profano la presenza del culto ortodosso: le celebrazioni prevedono infatti l’Ufficio latino e quello bizantino.

La chiesa all’interno dell’abbazia di Santa Maria in Pulsano. Qui ancora si celebra con il rito latino e bizantino

La faggeta UNESCO, il lago delle anguille, le nonne del pane

Il Gargano è di fatto una vastissima area naturale protetta, racchiusa nel Parco Nazionale più esteso d’Italia, con un patrimonio eccezionale di biodiversità. Si va dal promontorio di roccia calcarea e boscata, alle zone marine, ai laghi costieri, alle isole Tremiti. Cuore indiscusso del Parco è la Foresta Umbra, 10.500 ettari per un’altitudine che passa dagli 832 mt del Monte Iacotenente ai 165 mt slm nella zona di Cartate. La Foresta, ceppo residuo dell’antico Nemus Garganicum che ricopriva l’intero promontorio, rappresenta una tra le più ampie formazioni di latifoglie d’Italia e una delle più grandi d’Europa. È composta da faggi, cerri, querce, aceri e lecci. L’UNESCO ha voluto riconoscere il valore di questo sito spettacolare, da non perdere, magari con un’escursione notturna guidati da personale del Parco. Per vivere un’esperienza diversa ed esaltante, tra i suoni e i profumi di un ecosistema unico e prezioso.

Le faggete vetuste della Foresta Umbra sono patrimonio dell’UNESCO

Verso il lago, a Cagnano Varano, ritroviamo le tracce di San Michele. È sempre una grande cavità carsica, quasi allo stato nativo, già abitata nel Neolitico, quella destinata nel medio evo al culto dell’Arcangelo. L’altare principale verso il fondo cela una pozza d’acqua da stillicidio ritenuta miracolosa per gli occhi. Una credenza che si aggiunge a quella delle pietre benedette del Santuario di Monte Sant’Angelo, considerate portentose contro le malattie infettive, così come lo furono al tempo del miracolo della guarigione dalla peste. A pochi chilometri, calati in un silenzio rotto soltanto dal richiamo di oche selvatiche e gabbiani, assisteremo in diretta ad un vero piccolo prodigio: l’acqua purissima che sgorgando dalla base della montagna carsica alimenta il placido lago costiero di Varano. Un barchino trainato da una carrucola a riva rastrella il fondo cogliendo sapide vongole veraci. Scopriremo già con l’acquolina in bocca che non sono per il piatto, ma faranno da esca per le anguille locali, ricercate da ogni intenditore.

Dai bassi fondali del lago costiero di Varano si pescano vongole veraci, a volte utilizzate per la pesca all’anguilla

Torniamo verso le colline. In una conca San Marco in Lamis ci aspetta per presentarci le sorridenti sorelle Lina, Maria e Tanella. Oltre 250 anni in tre e ancora lavorano nel forno di famiglia. Il nipote ha preso le redini, creando uno staff di giovani entusiasti e capaci, ma sono loro a curare i ritmi di panificazione e a dettare i tempi per il rinfresco del leggendario lievito madre. Per il forno Sammarco solo materie prime locali e una produzione oggi più ampia e varia, prediletta da ristoranti stellati, in cui il buon pane della tradizione continua a dare il sapore inconfondibile del territorio. Con loro altri produttori, pur fra mille difficoltà, mantengono vivo e rilanciano un paniere fantastico di cose buone e caratteristiche. Ma questa è un’altra storia, e non mancheremo di raccontarla. Perché il nostro gps di sicuro ci riporterà sui nostri passi, magari per rivivere storie di cammini, nel festival del documentario detto proprio Mònde, quest’anno alla seconda applaudita edizione. O forse solo per ritrovare sorrisi e ospitalità, merci più rare di quanto si dica. Quasi un miracolo.

Le tre sorelle del forno Sammarco. E’ ancora presto per lasciare tutto il lavoro ai giovani.

 

Mangiare & Dormire

Dal punto di vista gastronomico il Gargano è terra privilegiata. Circondato per tre quarti dal mare, ha pesce fresco in abbondanza, con in più il contributo di allevamenti costieri di frutti di mare ed anguille. L’interno offre ortaggi, grani pregiati, il latte della mucca podolica, spesso libera e felice, per formaggi spettacolari, pecore e capre, insaccati, paste e prodotti da forno di qualità superiore. Per il vino basta una manciata di chilometri in più e c’è solo l’imbarazzo della scelta. Qualche indirizzo per tradizione e un pizzico d’innovazione.

Templari – Ristorante Pizzeria Lounge bar, Via del Torrione n. 10

Alla base dello storico quartiere Junno, gode di un panorama eccezionale sul golfo di Manfredonia. In estate si mangia all’aperto sulle terrazze pergolate. Cucina di terra e di mare. Fra i piatti tipici notevoli il pancotto con cotiche e fave, l’agnello garganico e salsicce con patate al forno, la scamorza alla brace. Pescato del giorno in preparazioni classiche o rivisitate con gusto. Ottime pizze, sorrisi e cortesia.

Battistero – Largo Tomba di Rotari 24-25

In una casa storica del centro nella bella piazzetta di lato alla famosa “Tomba”. Cucina della tradizione condotta con mano salda e professionalità in un ambiente caldo, informale, piacevole. Scelta accurata delle materie prime pescando tra i migliori produttori locali. Da non perdere orecchiette con melanzane, salsiccia fresca e scaglie di cacioricotta, torcinelli su letto di patate al rosmarino e, in stagione, lasagne bianche con funghi porcini e salsiccia.

Medio Evo – Via Castello 21

Scendendo dal castello verso il Santuario di San Michele, un indirizzo da conservare, perché in continua crescita, tanto da essere inserito fra le Osterie d’Italia Slow Food. Ambiente gradevole e conviviale, servizio impeccabile ma discreto. Tutto il meglio delle produzioni garganiche con un occhio di riguardo alle paste, come per l’involtino di troccoli in melanzana, o le orecchiette con rucola, pecorino e agnello. Formaggi rari (es. ricotta fresca di Carbonara), dessert da pasticceria, carta dei vini ampia e ben curata.

Cantine Cippone – Wine bar, Via Giuseppe Garibaldi, 38

In una delle vie principali nella parte alta dell’abitato offre dalla terrazza una vista strepitosa sul rione Junno e giù fino al mare. Parole d’ordine passione e professionalità. Ampia scelta di vini pugliesi selezionati, ma non solo. Pochi piatti rustici perfetti per la degustazione, con salumi locali e il caciocavallo podalico a farla da padrone. Ben arredato, elegante, consigliato anche per un aperitivo o un simpatico tête à tête.

Palace Hotel San Michele – Via Madonna degli Angeli snc

Quattro stelle per questo lussuoso hotel in posizione dominante vicino al castello. Camere ampie, suite, piscine all’aperto, centro wellness con piscina riscaldata, ristorante gourmet.

B&B Villa Bisceglia – Viale Kennedy

All’ingresso dell’abitato in direzione di Manfredonia, curato, confortevole, per un ottimo rapporto qualità prezzo. Piccola piscina nella terrazza esterna, molto gradita nei mesi estivi.

Comune di Monte Sant’Angelo

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Testo e foto di Gianfranco Podestà|Riproduzione riservata ©Latitudeslife.com

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