Riale, al termine della Val Formazza, è l’ultimo paese prima di scavallare nel Vallese, in Svizzera. Qui c’è l’anello di fondo dove si allenano i campioni, un formaggio speciale, il Bettelmatt, un ristorante gourmet e giovani imprenditori che hanno scelto di tornare o rimanere.
Riale è alla fine di una lunga valle piena di cose da scoprire, dove si incontrano luoghi incantanti e storie da raccontare, giovani che hanno scelto di non andarsene o di tornare alle loro valli, produzioni di formaggi tipici, vini particolari, coltivazioni di patate antiche, progetti di tutela alimentare come quello per la carne di cervo e della conservazione della neve.

La cascata e Centrali idroelettriche anni ‘30
Salendo da Domodossola la strada della Val Formazza per arrivare a Riale sembra non finire mai, e meno male che gli ultimi tornanti sono stati sostituiti dal tunnel ellittico, 3 km di galleria illuminata dove pare di stare su una giostra. Alla fine ci si trova in alta montagna, ai piedi delle famose cascate del Toce, un salto di 143 metri, considerata “la più spettacolare cascata delle Alpi“, a 1675 m di quota.
Non è sempre a pieno regime, infatti è regolata dalla diga del Lago di Morasco e in genere aperta in estate. Ma quando l’acqua cade rombante e prorompente è uno spettacolo che cattura, soprattutto dal punto panoramico a strapiombo sul salto: pura adrenalina. Di fianco l’edificio molto giallo è l’hotel La cascata de Toce, costruito nell’800. Oggi è attivo solo il ristorante con ancora le sale e alcuni pezzi originali del vasellame d’epoca.
Un’ottimo modo per poter raggiungere Riale, e visitare le zone circostanti, è attraverso il noleggio di un camper tramite la piattaforma di condivisione Goboony. Goboony è leader nel settore del noleggio e vi permetterà di vivere la sensazione massima di libertà.
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L’intera Formazza ha vissuto l’epopea della produzione di energia idroelettrica, e in tutta la valle si incontrano centrali degli anni ’20 -30 progettate dall’architetto Pietro Portalupi, lo stesso del Planetario Hoepli e del sagrato del Duomo a Milano, che rappresentano opere interessanti di archeologia industriale d’ispirazione neoromantica. Molte sono ancora funzionanti, altre purtroppo in stato di abbandono. Tutte, sfortunatamente, non sono visitabili, ma anche dall’esterno vale la pena di fermarsi ad osservarle.

Lasciata la cascata, ancora qualche tornante e si arriva a una larga spianata dominata dalle Alpi: il punto più a nord del Piemonte. Il silenzio è assoluto. Infine Riale, 1740 metri slm. Il borgo costituito da una quindicina di case tipiche l’una addossata all’altra, più una chiesetta, è stato ricostruito interamente dopo che negli anni ’30 venne allagata la conca del lago di Morasco dove sorgeva. Su una collinetta si trova l’Oratorio di Sant’Anna, eretto in ricordo di quello sommerso, il cui campanile a volte emerge dalle acque.
Come per altre valli colonizzate dai walser, con la diaspora nel 1200 scesero dagli alti passi fino alle quote dei pascoli aperti, gli alpeggi dove far pascolare il bestiame e dove ancora si produce il latte per un formaggio molto particolare, il Bettelmatt.
Riale, il fondo e i Walser

Le tradizioni walser sono molto vive, e tutta la comunità ne è coinvolta. Qualcuno a Riale e in Formazza addirittura ancora parla il Titsch, il dialetto di origine tedesca del “popolo delle Alpi”; gli edifici tipici con i tetti in beola, una pietra locale, sono stati ristrutturati come case vacanze o piccoli B&B e i ristoranti sono orgogliosi di proporre menu con i piatti della tradizione, così come nelle case si cucinano prelibatezze degli eroici montanari. In totale oggi le comunità walser dell’arco alpino italiano (in Piemonte e Valle D’Aosta) sono circa 80, con tradizioni e usanze simili.
Riale è un paradiso per il trekking e il fondo. In estate si possono fare molte escursioni, come quella al lago di Morasco, il bacino che raccoglie le acque che servono alla cascata. Un anello lo circonda per una tranquilla passeggiata immersi in una vegetazione di montagna ricca e particolare, come l‘Orchidea Concordia, la genziana Purpurea e lutea, l’achillea, l’artemisia glaciale e le stelle alpine, con mucche, capre e pecore al pascolo.
Un’escursione da farsi magari accompagnati da Otello Facchini, che smessi i panni del sommelier indossa quelli di guida alpina e naturalistica, esperto narratore delle storie locali. Più impegnativi, proseguendo, gli itinerari verso quello dei Sabbioni e altri laghi, e più in alto fino al Passo del Gries.
Il Bettelmatt formaggio d’alta quota

Dall’altro versante della piana di Riale si raggiunge la piana del Bettelmatt dove si produce il famoso formaggio lavorato solo con latte prodotto da mucche di razza bruna e pezzata rossa italiana alimentate con speciali erbe e fiori di campo.
Un mix che dona l’aroma caratteristico al formaggio, soprattutto grazie all’erba Muttolina o Mutellina, presente solo lì e in altre valli attigue. Il Bettelmatt è prodotto esclusivamente da otto produttori che in estate si trasferiscono nei sette alpeggi oltre i 2000 metri. È una produzione di super nicchia, circa 5000 forme l’anno, quindi difficile da trovare e molto ambito.
Uno degli otto produttori del Consorzio del Bettelmatt è Gabriele Scilligo, giovane trentenne che in estate porta il suoi capi all’Alpe Toggia, con cui realizzerà in totale 30 forme di formaggio che dovrà stagionare per almeno 2 mesi prima di essere messo in vendita. Si capisce così perché sia un formaggio tanto prezioso e raro.
Le tome e le patate dagli occhi rossi

Scendendo verso Fondo valle (che è a ritroso proprio perché i Vallesi arrivavano dall’alto) incontriamo altri produttori di formaggio, sempre giovani e intraprendenti. Silvia e Lara Pennati continuano la tradizione di famiglia dedicandosi insieme ai genitori alla produzione di Tome, formaggi freschi, yogurt e gelati (per cui hanno vinto anche un premio).
Hanno un’azienda modello, con 60 capi di bovini razza bruna, la Formazza agricola e due punti vendita, uno a Valdo, l’altro aperto da poco a Domodossola, oltre agli acquisti si possono fare degustazioni, aperitivi e piatti della tradizione. E per finire il premiato gelato. Il tutto serviti da Silvia, la madre e lo staff in tipico abito walser.

Facile dire patata… qui in valle le patate sono un’istituzione e un altro giovane coltivatore Dario Piumarta si è impegnato a recuperare varietà autoctone, dimenticate e locali, con la sua azienda Häpfla Frütt a Formazza. Patate d’alta montagna coltivate fra i 1200 e i 1700 m. contando 15 varietà a pasta gialla, rossa, viola, quelle variegate dai nomi evocativi come la Occhi Rossi “Roti öigjé”, da scegliere in base agli utilizzi.
O accaparrarsi la rara patata di Salecchio, paesino interamente walser e praticamente disabitato, ma dove si custodiscono gelosamente le tradizioni. Un microcosmo incantato perduto nel tempo, raggiungibile solo a piedi da Premia, dove ci sono le Terme.
Cervi di filiera

In Formazza non è raro incontrare un cervo sulla propria strada, molto facile udirne da lontano il bramito emozionante. Per i valligiani però questi ungulati stanno diventando un problema: l’ultimo censimento ne ha contati più di 500, per le coltivazioni e i pascoli sono uno sfacelo.
E poi con il loro possenti palchi spingono sempre più in alto camosci e stambecchi che hanno difficoltà a trovare il nutrimento necessario. Per ovviare all’emergenza e ristabilire ritmi ecologici e biologici, la caccia al cervo non solo è consentita, ma consigliata.
E al fine di mantenere l’equilibrio e per poter utilizzare la carne nel modo migliore i formazzini si sono fatti promotori di un un progetto di “filiera eco-alimentare delle carni di selvaggina” (con il supporto dell’Università di Pavia) che ha mosso i primi passi proprio da qui.
L’obiettivo è far in modo che le carni selvatiche possano essere conservate secondo standard, vendute e cucinate nel modo migliore, ma soprattutto coinvolgendo le comunità locali e sensibilizzandole sui danni agli ecosistemi montani ed arrivare ad avere un prodotto certificato e marchiato e che sia da volano anche per la valorizzazione del territorio.

Matteo Sormani chef della Locanda Walser Schtuba, ristorante gourmet segnalato sulla Michelin, è uno dei promotori del progetto e ha messo in carta un intero menu a base di carne di cervo con piatti che prevedono preparazioni anche a crudo (le parti più pregiate), ma pure l’utilizzo delle meno nobili e di solito scartate come l’ossobuco la lingua, il collo, il fegato.
La fattoria della neve

La stagione invernale, che si è fortemente sviluppata dopo le Olimpiadi del 2006, qui inizia presto: di solito già a metà novembre si può trovare la neve e cimentarsi sui i 12 km di pista di sci di fondo.E se la neve non c’è, l’intraprendente Gianluca Barp, proprietario dell’Aalts Dorf e del Centro Fondo, ha pensato a tutto e si è messo a conservarla!
A metà ottobre ha posato quasi 1 chilometro di neve “riciclata” dalla scorsa stagione grazie all’innovativa tecnica dello snowfarming. L’esperimento giunto al secondo anno inizia a dare i suoi frutti. A fine stagione invernale del 2019, Gianluca Barp aveva stoccato oltre 4.000 metri cubi di neve che ora opportunamente conservati hanno potuto creare la base della pista di fondo.
Tecnica diffusa in Europa e poco utilizzata in Italia, a Riale costituisce il primo esperimento in assoluto svolto da un imprenditore privato.
Il Prünent un vino antico, e le erbe officinali.

Si perché non dimentichiamoci che qui un po’ più in basso, si produce dell’ottimo vino. Giovani generazioni si impegnano per riportare in vita vigne e vitigni. Edoardo Patrone, con la moglie Stella, ha dato avvio a un interessante progetto. Oltre a coltivare la vigna di famiglia recupera quelle dismesse o di chi non vuole più lavorarle, creando una sorta di cooperativa.
Ora ha acquisito 28 terreni sparsi qua e là per un totale di 5 ettari, destinandole per lo più alla produzione del Prünent, un vino autoctono le cui tracce si ritrovano già nel 1300, e il cui vitigno di base è il nebbiolo.

A Crodo oltre al famoso crodino, c’è un consorzio prevalentemente al femminile, Erba Bona, che coltiva in proprio e raccoglie da altri piccoli produttori erbe officinali certificate bio, come la lavanda di montagna, l’origano di Crevoladossola, la menta piperita o citrata.
La Chiesa dipinta e gli Orridi di Uriezzo

lungo la strada che riporta a fondo valle, o che la risale, due tappe sono fondamentali: Baceno e gli orridi di Uriezzo. La chiesa dedicata a San Gaudenzio di Baceno vale da sola un viaggio; la prima costruzione pare sia datata intorno all’anno 1000, su uno sperone di roccia.
Imponente il San Cristoforo sulla facciata dipinto di grandi dimensioni perché si potesse vedere da lontano dai pellegrini e viandanti. L’interno è una meraviglia con le volte affrescate e la pendenza del pavimento in salita.

Lasciata la chiesa e imboccato un sentiero si raggiungono gli Orridi di Uriezzo, gole di roccia plasmata dalle acque del ghiacciaio del Toce migliaia di anni fa. Onde di pietra, installazioni naturali e muschi che formano quadri. Emozione pura, la stessa che suscita l’ingresso di Petra in Giordania.
Ma la magia non finisce, e al termine si arriva al Toce dove si formano le Marmitte dei Giganti, grande pozze di acqua limpide e fresche, che si rincorrono, saltano, giocano con la luce.
Dove mangiare e dormire a Riale
Albergo Aalts Dorf – all’entrata del paese, con confortevole ristorante annesso, dove assaggiare i piatti della tradizione locale e i prodotti tipici della zona. Come il Prata Häpfla, patate, bettelmatt e cipolle; interessante la torta di pane, tipicissima e rara.
Oltre a 14 comode stanze, Gianluca Barp ha aperto il centro sport per noleggiare sci da fondo, ciaspole, e bici nella bella stagione, e lo spazio di vendita Sapori Walser.
Qui si trova una selezione dei prodotti della valle, dai formaggi ai salumi, compresa la tipicissima bresaola della Formazza, tisane e infusi di erbe locali, miele e vino

Locanda Walser Schtuba: ristorante gourmet, chef Matteo Sormani. Propone ricette walser e abbinamenti innovativi. Maestro di lievitati, è famoso il suo panettone d’alta quota. Sulla tavola il pane home made e, nella zona bistrot, pizze e focacce farcite strepitose.
Nei menu autunno-inverno, uno è base di cervo con lavorazioni particolari come in carpaccio e il patè. Per dormire 6 deliziose camere e prima colazione con meraviglie della cucina.

Zwargji, la casa dei folletti. Una casa walser ristrutturata con soluzioni bioenergetiche da Otello Facchini, guida escursionistica, con 3 camere confortevoli che guardano la vallata.
Testo di Teresa Scacchi, foto TS e archivio|Riproduzione riservata ©Latitudeslife.com
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