La Campania custodisce numerosi tesori d’arte e di storia, alcuni dei quali sono anche patrimonio dell’umanità UNESCO. Molti di essi non esisterebbero, o non sarebbero conosciuti, se non fosse stato per l’illuminata politica culturale dei Borbone.

Carlo di Borbone (1716-1788) era il figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, ultima rappresentante della gloriosa dinastia. Proprio Elisabetta Farnese, poiché Carlo era il terzo nella linea di successione spagnola, riuscì a garantirgli una corona in Italia, rivendicando l’eredità dei Farnese e dei Medici, due dinastie storicamente importanti ma vicine all’estinzione.
Perciò Carlo nel 1731 divenne il sovrano del Ducato di Parma e Piacenza, cui aggiunse nell’anno successivo il Granducato di Toscana.
Nel 1733, con la crisi della successione polacca, Francia e Spagna si schierarono in Italia contro l’Austria. Elisabetta Farnese decise di utilizzare questa situazione per riconquistare due territori che erano stati tolti alla Spagna: il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia.
Dopo le conquiste militari, avvenute nel 1734 e 1735, Carlo fu riconosciuto internazionalmente re delle Due Sicilie nel 1738, in cambio della cessione degli stati farnesiani e medicei agli Asburgo. Egli diventò così capostipite della dinastia dei Borbone delle Due Sicilie.
Napoli capitale europea

Carlo di Borbone fu il protagonista di un periodo di grande sviluppo culturale a Napoli. Il suo obiettivo fu portare la città al livello delle grandi capitali europee.
Una delle prime opere che realizzò fu il Teatro San Carlo, costruito nel tempo record di otto mesi e inaugurato in occasione dell’onomastico del sovrano.
Il San Carlo è il primo teatro all’italiana, cioè con la forma a ferro di cavallo, ottimale per la visuale e l’acustica. Il muro di fondo del palcoscenico poteva essere aperto, per regalare al pubblico la scenografia naturale del Vesuvio.
Il sovrano prendeva molto seriamente le opere liriche. Per questo motivo era contrario agli intermezzi buffi che venivano messi in scena negli intervalli delle opere e preferì invece la creazione di coreografie che riprendessero i temi delle opere rappresentate.
Lo sviluppo di queste coreografie portò nel tempo alla creazione di spettacoli veri e propri, garantendo al San Carlo un ruolo importante anche nel contesto della danza internazionale. Non deve perciò stupire se presso il San Carlo verrà creata nel 1812 la prima scuola di danza in Europa.
Un altro tassello del progetto della trasformazione di Napoli in capitale europea fu la costruzione di varie regge. Quando Carlo diventò re, il Palazzo Reale già esisteva e fu ampliato e riorganizzato. Fu creata anche una galleria che lo collegava direttamente al palco reale del Teatro San Carlo, per non mettere a rischio l’incolumità del sovrano quando si recava ad assistere agli spettacoli.
In aggiunta al Palazzo Reale, furono create altre due regge a Napoli e nei suoi dintorni: Capodimonte e Portici. La reggia di Capodimonte fu originariamente costruita per raccogliere le collezioni della famiglia Farnese, accumulate a partire dal Rinascimento. Carlo portò a Napoli le opere presenti nelle numerose dimore di Roma e Parma appartenute alla famiglia della madre.
La reggia di Portici, invece, venne creata come residenza estiva della famiglia reale. La sua presenza ispirò i nobili campani a costruire alcune ville monumentali nelle vicinanze, nate anche con lo scopo di accogliere i membri della corte che non trovavano spazio nella reggia principale. Queste ville oggi sono inserite nell’elenco delle Ville Vesuviane del Miglio d’Oro.
La politica edilizia di Carlo di Borbone non era indirizzata solo alla magnificenza di corte, ma aveva anche fini sociali. Così vennero costruiti a Napoli e a Palermo gli alberghi del povero, capaci di ospitare alcune migliaia di indigenti.
Gli scavi di Ercolano e di Pompei

Carlo di Borbone fu il promotore degli scavi delle città vesuviane, in particolare di Ercolano. La scoperta di questa città ha dell’incredibile: all’inizio del Settecento un contadino, mentre scavava un pozzo per intercettare la falda acquifera, si imbatté nel muro di scena del teatro romano.
Esso era la parte più decorata dell’edificio, con marmi, nicchie colonnate e statue. I reperti portati in superficie attirarono l’attenzione del principe Emanuele Maurizio d’Elboeuf che acquistò il pozzo e, a partire da esso, condusse degli scavi, in seguito ai quali abbellì la sua villa con le opere depredate. Nel 1711 la magistratura impedì questi scavi per evitare che si creassero danni alle abitazioni sovrastanti.
Quando Carlo di Borbone costruì la reggia di Portici, venne a conoscenza della storia degli scavi del principe d’Elboeuf e iniziò le esplorazioni partendo dagli stessi punti. Utilizzando galeotti e condannati a morte per eseguire gli scavi, scoprì la struttura del teatro.
Nel 1750, lo scavo di un altro pozzo di irrigazione portò alla scoperta della Villa dei Papiri. Il patrimonio restituito da questa villa è inestimabile: oltre alla biblioteca contenente quasi duemila papiri, sono stati trovati numerosi mosaici, statue di marmo e di bronzo.
Carlo di Borbone era molto geloso di queste scoperte e voleva che la loro diffusione partisse dai canali ufficiali del Regno di Napoli, per ribadire l’importanza culturale della città. Perciò quando Winckelmann, il grande studioso dell’antichità, vi si recò per vedere di persona cosa stesse succedendo, rimase molto interdetto per l’atteggiamento non collaborativo degli uomini del re preposti alla direzione dei lavori.
La pubblicazione delle opere rinvenute avvenne con la creazione dell’Accademia Ercolanense. Le illustrazioni dei reperti e delle pitture della Villa di Cicerone a Pompei, scavata negli stessi anni, influenzarono in maniera rilevante l’iconografia del tempo, dando un forte impulso allo sviluppo del neoclassicismo settecentesco, non solo a livello locale, ma anche internazionale: uno dei maggiori esponenti del neoclassicismo inglese, Robert Adam, si ispirò a queste immagini per le decorazioni, fra gli altri, di Kenwood House e Syon Palace a Londra.
La reggia di Caserta

Sempre nell’ottica di dare lustro al regno di Napoli, Carlo di Borbone sentì l’esigenza di costruire una reggia che potesse concorrere per bellezza e grandiosità con quella di Versailles.La località prescelta fu Caserta, sufficientemente lontana dal Vesuvio e dal mare, portatore di eventuali attacchi nemici.
La realizzazione, iniziata nel 1852, venne affidata a Luigi Vanvitelli, che utilizzò tutti materiali di costruzione di provenienza locale, ad eccezione del marmo di Carrara e del ferro di Follonica.
Il progetto grandioso comprendeva un palazzo di cinque piani con 1.200 stanze e un parco immenso, decorato con fontane monumentali alimentate attraverso l’imponente acquedotto carolino, costruito per l’occasione.
In esso, gli elementi naturali (il verde, le rocce e l’acqua) vengono piegati alle regole della geometria e utilizzati in modo architettonico per creare scenografie, prospettive e simmetrie.
La reggia di Caserta è un trionfo di lusso e bellezza. Il celebre scalone d’onore diventò il modello per numerose altre regge europee.
Il delizioso teatrino di corte riproduce in dimensioni ridotte il Teatro San Carlo, compresa la parete della scena apribile per ampliare la prospettiva sul bosco circostante. Alcune decorazioni dell’interno, soprattutto dei soffitti, sono ispirate alle pitture delle città vesuviane.
L’ascesa al trono di Ferdinando

Alla morte del fratellastro Ferdinando VI, che non aveva lasciato eredi, Carlo fu chiamato alla successione sul trono di Spagna. Così, nel 1759, egli abdicò al regno delle Due Sicilie in favore del figlio Ferdinando, appena ottenne.
Fino ai sedici anni di età, Ferdinando fu affiancato da un consiglio di reggenza, sul quale il padre aveva una grande influenza. Quando poi il sovrano iniziò a governare autonomamente, decise di seguire la stessa politica culturale del padre, prima di tutto completando i lavori della reggia di Caserta. Seguì le orme paterne anche con la costruzione di un teatro, il Teatro di San Ferdinando, oggi tempio della drammaturgia napoletana classica e moderna.
Ferdinando diede un particolare valore alle produzioni artistiche locali. Per questo motivo trasferì al Palazzo Reale la fabbrica degli arazzi napoletani, ma soprattutto fondò a San Leucio una fabbrica per la manifattura della seta. Con San Leucio, il sovrano spostò la sua politica industriale verso la dimensione utopica.
Non solo la produzione, ma anche le condizioni di vita degli operai avevano un ruolo centrale a San Leucio, che assunse la forma giuridica di Colonia con il nome di Ferdinandopoli e fu regolata da uno speciale codice di leggi.
Si deve a Ferdinando anche la fondazione dell’attuale Museo Archeologico. Egli infatti riunì nell’attuale edificio di Piazza Museo, sorto alla fine del 1500 con la destinazione di cavallerizza e dal 1616 sede dell’Università, i due nuclei delle sculture antiche della Collezione Farnese e della raccolta di reperti vesuviani che, fino ad allora, erano stati conservati all’interno della reggia di Portici. Le collezioni farnesiane di pittura e arti applicate rimasero invece a Capodimonte.
Il ruolo di Maria Carolina

Anche la moglie di Ferdinando, Maria Carolina d’Austria, ebbe un ruolo importantissimo nella vita culturale del regno. Il suo contributo principale alla reggia di Caserta è rappresentato dal bellissimo giardino all’inglese, il primo di questo stile in Italia, che sorge sulla destra del grande giardino di Vanvitelli.
La caratteristica del giardino all’inglese è l’essere un giardino di paesaggio, dove la vegetazione, spesso rappresentata da specie esotiche e rare, viene lasciata crescere in modo apparentemente selvaggio, e viene affiancata da elementi cometempietti e finte rovine. Non c’è assolutamente geometria, come nel giardino all’italiana e alla francese, le fontane sono sostituite da laghetti e il fascino poetico rimpiazza la grandiosità.
Maria Carolina ha avuto un ruolo fondamentale nella promozione degli scavi di Pompei. L’intenzione iniziale dei Borbone con gli scavi di Pompei ed Ercolano era fare razzia delle opere d’arte, come era prassi diffusa e consolidata.
Una prova di ciò si può osservare al Museo Archeologico di Napoli, dove alcuni affreschi presentano una cornice antica perché furono letteralmente staccati dalle pareti e incorniciati, come se fossero dei quadri.

Si dice che Carlo di Borbone avesse indossato per tanti anni un anello rinvenuto a Pompei, che poi aveva lasciato a Napoli quando si era trasferito in Spagna. Perciò alcune ville di Pompei, come quella di Cicerone, erano state scavate e ricoperte, dopo essere state depredate.
Maria Carolina dispose invece che le aree scavate a Pompei da quel momento in poi fossero lasciate scoperte e visibili a chiunque. Pompei diventò così un museo a cielo aperto e perciò una meta fondamentale del Grand Tour.
Ma soprattutto questa scelta determinò un radicale cambio nella percezione dell’arte e dell’archeologia, perché per la prima volta si iniziò a guardare non solo ai ritrovamenti delle grandi opere d’arte, ma anche agli ambienti di provenienza, con una nuova attenzione alla vita quotidiana dei popoli antichi.
L’archeologia moderna nasce proprio da qui, per cui il merito dei Borbone non risiede solo nell’aver creato o scoperto capolavori dell’arte, ma anche nell’aver lasciato un’impronta indelebile sulla storia della cultura e della conoscenza.
I nostri blogger in viaggio
Maria Ilaria Mura

Nata in Sardegna, vive a Londra da sei anni. Dopo la laurea in Lettere e molti anni di lavoro nel marketing ha deciso di dedicare la fase matura della sua vita alle cose che ama di più: i viaggi. Nel 2008 ha fondato e diretto Prama Turismo, il DMC di riferimento per il turismo culturale in Sardegna. Ha coordinato il progetto delle audioguide di Cagliari sul sito cagliariturismo.it. Ora va alla ricerca di posti insoliti in tutto il mondo, costruisce percorsi e racconta ciò che scopre su magazine di viaggi e cultura.
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