Romagna del gusto



Mare o montagna? Il quesito principe delle vacanze risale agli albori dell’era del turismo, quando le coppie si trovarono per la prima volta di fronte alla scelta del luogo di villeggiatura. Una volta definita la scelta di base, a cascata le altre opzioni: Italia o estero? riposo totale o vacanza attiva? organizzata o fai da te? Sono tanti gli elementi che compongono una vacanza. Ma c’è una voce che di anno in anno è divenuta sempre più importante, scavalcando tutte le altre fino ad essere la vera direttrice delle vacanze… cosa voglio mangiare e  bere in vacanza?

Basta guardarsi attorno: non ci si salva più dall’enogastronomia. Ovunque si cucina e si propongono piatti e ricette tradizionali. La tv pullula di chef che spadellano e soffriggono, le librerie sono ripiene di ricettari e biografie di cuochi, e perfino l’amico di sempre è pronto a sorprenderci con la ricetta appena scoperta a base di un prodotto tipico portato a casa dal cugino ritornato da una lunga vacanza in un luogo segreto. E’ vero, le mode stancano e si rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ma in questo caso sarebbe un peccato, perché scoprire ingredienti buoni e piatti saporiti può essere davvero un bellissimo modo per fare una vacanza e portare a casa regali per sé e gli altri.

Certo, bisogna stare attenti, perché l’industria è dietro l’angolo, pronta a propinarci prodotti che di tradizionale hanno solo la confezione. Ma cercando con attenzione e chiedendo alle persone giuste si possono fare delle scoperte valide, capaci di regalarci il miglior souvenir di un piacevole viaggio. Dici Romagna, e la prime cose che ti vengono in mente sono la piadina e il sangiovese. Un mondo insomma. Centinaia di produttori ed etichette tra cui scartabellare. E, poi, diciamocelo, sono prodotti che si trovano anche nel supermercato sotto casa.

Però, se siete arrivati sin qui, vale la pena conoscere alcuni piccoli produttori che vi faranno assaggiare un prodotto differente, meno omologato, magari anche un po’ ruvido, ma più sincero. Facciamo base a Rimini, nel cuore della riviera romagnola, per esplorare costa ed entroterra, verso nuovi orizzonti della tavola.

Partiamo proprio dalla piada, il pane povero della Romagna. Senza lievito, consumata quando non c’era altro, la piadina è forse il cibo di strada che meglio richiama questa terra umile ma tenace. Gli ingredienti sono farina, sale, strutto e acqua. Allora come si può trovare quella più originale? Beh, un elemento c’è. Ed è la teglia per la cottura. Il testo, così si chiama in Romagna la teglia per cuocere la piada, oggi prodotta in metallo, un tempo era di terracotta. Dei tanti tegliai che nel secolo scorso affollavano le colline di Rimini e Cesena, sono rimasti solo in due, marito e moglie, e vivono e lavorano a Montetiffi, un piccolo borgo vicino al più famoso Sogliano al Rubicone.

Nel XXVII secolo, secondo le fonti, i tegliai erano addirittura riuniti in un senato che prendeva le decisioni più importanti, che stabiliva quali zone di commercio spettassero a ogni tegliaio, quante teglie, e così via. Da Montetiffi, già allora centro della produzione, gli artigiani partivano per le città più importanti e i piccoli paesi, perché la teglia era un bene irrinunciabile per le famiglie.

Rossella Reali e Maurizio Camilletti sono coppia nella vita e nel lavoro, gli unici che hanno raccolto la tradizione e che creano le teglie sulle quali si cuoce una piada più croccante e buona. Fatta la piada, è il momento del companatico. L’adagio recita: la pida se parsot la pisa un po’ ma tot, che tradotto significa, la piada col prosciutto piace un po’ a tutti. Esiste un prosciutto locale riminese? Ebbene sì! C’è.

Anzi, in realtà ce ne sono ben due. Il primo è il prosciutto di mora romagnola. La mora è l’antico maiale di queste colline. Lontano dall’immaginario odierno: non è grosso, né rosa, ma piccolo e scuro, come un cinghialetto. E la carne ha una resa minore e più grasso. Dimenticato negli anni del boom economico perché meno redditizio e troppo grasso per gli stili di alimentazione da dieta, oggi sta tornando sulle tavole. E nonostante le proteste di animalisti e vegetariani, bisogna ringraziare gli allevatori perché lo hanno salvato dal rischio estinzione.

A Saludecio, a sud di Rimini, l’azienda Zavoli – anche in questo caso familiare, padre e due figli – alleva more e produce ottimi salumi, saporiti e gustosi, che vende nella propria bottega e distribuisce localmente. L’altro prosciutto crudo, invece, non è artigianale, ma è lo stesso una realtà poco conosciuta. Viene preparato e prodotto a Carpegna, da cui prende il nome, nell’appennino marchigiano. Non ha nulla da invidiare ai fratelli maggiore di Parma o San Daniele, grazie alla dolcezza delle carni e al profumo intenso e avvolgente.

Con cosa accompagniamo questo piatto semplice ma delizioso? Ovviamente con un bicchiere di Sangiovese, l’unico santo di Romagna, come per secoli si è detto in questa terra anticlericale e anarchica. In realtà non di santo si tratta, ma di un più pagano “sangue di Giove”, per il particolare colore rosso scuro che si ottiene dalle uve. Un tempo vino povero per eccellenza, oggi il sangiovese macina premi e consensi, affinandosi e migliorando di anno in anno. Consorzi, etichette, DOC si affollano sulle guide, le bandierine aumentano sulle cartine dei buongustai e la Romagna si scopre terra di vino per palati esigenti, ma senza perdere, per fortuna, la sua vocazione più popolare.

Insomma, c’è l’imbarazzo della scelta, e dalle uve sangiovese spillano vini molto diversi, ma a modo loro tutti interessanti. Tra le prime a crederci e a dare vita a vini ricchi e profumati le otto aziende del Convito di Romagna:  le cantine Tre Monti, Stefano Ferrucci, Fattoria Zerbina, Poderi Morini, Calonga, Drei Donà – Tenuta La Palazza, San Patrignano e San Valentino. Piada, prosciutto e vino: siamo all’essenziale, ma come tutte le cose distillate e mondate dal superfluo, ci troviamo di fronte al meglio. Buon appetito, e buon viaggio!


Testo di Stefano Rossini

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