Miami Beach, fashion victim

Lungo Ocean Drive, la passerella degli eccessi e delle illusioni, alla scoperta della città più latina degli Stati Uniti. Miami o mi odi? Design e boutique hotel, starlette e baywatch, una città dove c’è il trucco e l’inganno. Dove l’alba e il tramonto colorano di pastello i palazzi art decò, accendono e spengono i sogni di gloria.

Miami - Ocean Drive
Miami - Ocean Drive

Miami Beach è il set di un film che si gira ogni giorno. Anche se sono trascorsi tanti anni da quando sono terminate le riprese di Miami Vice, la celebre serie poliziesca, si vive la sensazione di essere protagonisti di una pellicola, una storia surreale. Sono gli hotel art deco a vestire Ocean Drive, la strada simbolo della spiaggia più famosa della Florida, una sfilata di opere architettoniche che toglie il fiato. Le facciate sono spettacolari di giorno, specialmente all’alba, quando il sole timido che si sveglia esalta i colori pastello dei palazzi. Al tramonto invece la luce è più malinconica. Nella notte, le luci al neon rendono sciantosi, accattivanti e misteriosi questi alberghi come femmine che non smettono mai di imbellettarsi e agghindarsi. Tanto lo sanno che sicuramente cattureranno qualche preda. I bistrot, e i diner dalla veste d’acciaio che li protegge e li fa scintillare come un armadillo

Miami - Biltmore Courtyard
Miami - Biltmore Courtyard

metropolitano bagnato dalla pioggia, a quell’ora si riempiono delle anime perdute, le coppie innamorate, i rapper in cerca di successo, gli yuppie attempati, i giovani artisti squattrinati, i designer pronti a rubare ogni prospettiva. Perché, in fondo, è questa la gente che fa di Miami Beach un microcosmo da studiare. E guardate i suoi hotel da cartolina. Anche gli interni con il loro design minimalista, fresco, sempre nuovo colpiscono l’immaginario collettivo. Come ad esempio The Hotel of South Beach, 53 stanze e suites, un boutique hotel, che il designer Todd Oldham ha trasformato in una esperienza quasi onirica: interni che hanno i colori della sabbia e del cielo, cuscini morbidi, mobili che farebbero un figurone nelle migliori gallerie. E la piscina sopra il tetto per godere la spettacolare vista di Miami Beach: il cielo furoreggia mentre i cirri rossi si scatenano come in un balletto. Ocean Drive è un palcoscenico quasi d’altri tempi. Basta guardare le automobili d’epoca, parcheggiate davanti al Betsy Hotel. Sembra sempre che al volante ci sia un gangster o un signore illustre vissuto nel Novecento, quando l’architetto Murray Dixon dettava lo stile di questa isola nella città di Miami. Il Betsy è anche museo galleria fotografica, uno dei massimi esempi dell’Art Deco style che ancora oggi cattura artisti e scrittori. Mentre davanti alla sua storica facciata sfila l’altra umanità, quella kitch

Miami Beach - Relax dinner al B.E.D,929 Washington Av
Miami Beach - Relax dinner al B.E.D,929 Washington Av.

americana di Ocean Drive: ragazze dal fisico di cera, giovani muscolosi, gemelle vestite come cesti di frutta, attori e imitatori, modelle coperte di abiti tigrati che posano mentre i turisti fanno colazione addentando bacon e uova fritte. Insomma, colesterolo e crema solare. Però c’è anche la spiaggia con i baywatch che sembrano angeli dell’arena, quando inforcano il binocolo e proiettano lo sguardo all’orizzonte da lassù, dalle loro cabine in legno color pastello. E poi c’è la polizia che sfreccia in sella ai trattorini, mentre poco distanti ecco lo show dei pallavolisti, dei ragazzi funambolici con i rollerblade o al manubrio di biciclette dalle forme sinuose e abbondanti, come le ragazze bionde accompagnate dalle madri, bionde anch’esse, che sognano una carriera da starlette e passeggiano insieme, mano nella mano sino a Casa Casuarina, dove viveva lo stilista Gianni Versace. Queste fashion victim rispondono stizzite agli apprezzamenti degli uomini che passano in bicicletta con i boa di struzzo intorno al collo, e i serpenti attorcigliati alle braccia. Poi posano davanti all’ingresso dei palazzi art decò – addirittura 800 in appena 1.600 metri quadrati – aspettando che col favore della notte si accendano come jukebox colorati. La maggior parte, però, finirà a sbandierare i menu sotto il naso dei turisti per invogliarli a sedere al tavolo dei bar. A tutte le ore echeggiano per tutta Ocean Drive le musiche sparate a tutto volume dai dj del Mango’s Tropical Café, come vuole la cantante e proprietaria Gloria Estefan, che “obbliga” le sue cameriere a indossare striminziti costumi tigrati. E la gente si muove, ammicca, balla. Miami è una città tentacolare. Parla spagnolo, sudamericano più che inglese, qui arrivano genti da tutti i continenti a tentare la fortuna. Girano soldi, tanti, persone e storie. Ogni zona della città è un

Miami vista da Brickell Key
Miami vista da Brickell Key

continente a parte. Coral Gables, ad esempio, è un giardino fiorito, punteggiato dalle ville in stile Andaluso che spuntano tra flambojant, buganvillea, ficus e alberi lanosi. Alberi tondi come alcove e al centro il Biltmore Hotel, il luogo più famoso della città: la sua torre è la copia esatta del campanile della Giralda di Siviglia. Nel suo giardino Bush e Clinton si sfidavano a golf, mentre nelle suite, si aggirerebbe ancora il fantasma di Al Capone che sembra si rifugiasse qui per sfuggire ai controlli della polizia e per dividere le fette del suo potere tra i gangster più fedeli al momento di passare la mano. Questo è l’unico hotel al mondo in cui i canarini svolazzano nelle voliere in legno poste nella hall dai soffitti a volta splendidamente affrescati. Nella piscina, la più grande degli Stati Uniti, che ha avuto come bagnino niente meno che Johnny Weissmuller, il primo Tarzan del cinema, si nuota certi giorni insieme a Ricky Martin. E poi c’è Riverside, il quartiere dall’anima tutta cubana tanto da essere stato soprannominato Little Havana, i grattacieli di Brickell dalle pareti in vetro sui quali si specchia l’azzurro della baia, il porto delle navi da crociera, Downton con l’Opera, il balletto, i musei di arte contemporanea. Però è a Miami beach che batte il vero cuore matto della città.

Testo di Luca Bergamin – Foto di Luca Bergamin e Giovanni Rivolta

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