
Oltre alla grande espansione del turismo termale e balneare, nel corso dell’Ottocento cresce l’interesse per la montagna. Le immagini medioevali dei monti, luoghi inutili e spaventosi, popolati da mostri e streghe, lasciano il posto a nuove considerazioni. Le orrende montagne infatti diventano paesaggi pittoreschi e sublimi che permettono il ritorno alla natura e a una dimensione di vita più sana lontano dalla disordinata civiltà industriale e dalla monotona realtà urbana. Sui

monti si riscopre un mondo semplice e selvaggio dove si può cogliere, nella solitudine degli alti sentieri e nella semplicità della vita quotidiana, l’infinita potenza, bontà e saggezza di Dio. Già nel XVIII secolo il filosofo Jean Jacques Rousseau con l’opera La Nuova Eloisa aveva esaltato la natura e l’immagine della montagna, dove l’aria pura e rarefatta delle cime rafforza le sensazioni, acuisce i sensi e mette a contatto con l’immenso. Quando la motivazione per ascendere la montagna non è l’afflato romantico, l’escursione e il raggiungere la cima di una vetta hanno interessi esclusivamente politici e scientifici. Le Alpi e i Pirenei sono frontiere naturali tra i nascenti Stati moderni dell’Europa e i valichi alpini diventano quindi un problema militare. Cartografi e ingegneri delle strade e delle fortificazioni si improvvisano per necessità primi esploratori delle Alpi. Seguono gli scienziati alla ricerca di piante medicinali, acque sorgive e minerali preziosi per tentare di spiegare l’origine dei fossili e la formazione della crosta terrestre. Il primo agosto del 1787 Horace Benedict de Saussure professore di filosofia naturale raggiunge la vetta

del Monte Bianco, per la prima volta. Il naturalista ginevrino inaugura la gara per la conquista delle cime d’Europa. È il precursore dell’alpinismo moderno. Lo scienziato che raccoglie tutte le sue osservazioni e scoperte sulle montagne nei quattro volumi Voyage dans les Alpes (Viaggio attraverso le Alpi) pubblicati tra il 1779 e il 1796. “L’animo si eleva”, scrive a proposito della sua scalata, “le viste dello spirito sembrano ampliarsi, la sua voce confidarvi le sue operazioni più segrete”. Inglesi e tedeschi, soprattutto, iniziano a percorrere le regioni alpine e le montagne dell’Europa centrale, compiendo scalate ed escursioni di ogni genere. Il loro esempio fa scuola e nel 1862 nascono le prime associazioni alpinistiche, le Unioni alpine di Austria e di Germania, seguite, un anno più tardi, dal Club Alpino Italiano. Per incoraggiare l’amore per la montagna si costruiscono alberghi e rifugi nelle località montane e si offrono servizi di guide, si assicurano la manutenzione dei sentieri e l’organizzazione dei soccorsi. Le ascensioni sulle Alpi sono richiami suggestivi e la conquista delle vette diventa una delle imprese più ardite e

avvincenti che concorrono a promuovere lo sviluppo dell’alpinismo e delle stazioni invernali. Chamonix e Grindewald si disputano il titolo di capitale del turismo alpino fino al Novecento, quando si aggiungono altri villaggi come Zermatt. Negli ultimi decenni del XIX secolo, alcune stazioni svizzere riescono a far tornare i propri clienti estivi anche d’inverno. A Saint-Moritz l’albergatore Badrutt promette ai villeggianti il rimborso totale in caso di aspettative deluse. Ma la vera e propria innovazione sono i soggiorni all’insegna degli sport invernali. I pionieri sono, anche stavolta, inglesi: Fox a Grindelwald nel 1891, sir Doyle a Davos nel 1893, e soprattutto il dottor Lunn a Davos, Chamonix, Montana, Murren e nell’Arlberg (Austria) tra il 1898 e il 1928. I nuovi turisti prediligono le tenute appariscenti, praticano il pattinaggio sul ghiaccio, la slitta, il curling, la slitta canadese (tobogganning), l’hockey e addirittura il salto. Lo sport faro resta tuttavia il cosiddetto sci alpino.
Testo di Giovanna Scatena Foto archivio
1 – Un tuffo nel passato: l’Italia del Grand Tour
2 – Gli inglesi e il Grand Tour in Italia
3 – I francesi e il Grand Tour in Italia
4 – I tedeschi e il Grand Tour in Italia
5 – Il viaggio a piedi di Johann G. Seume
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