Scotch whisky: cent’anni di storia in ogni sorso


A ben guardare l’elenco degli ingredienti (acqua, malto e luppolo…) potrebbe sembrare che si tratti di birra, invece  stiamo parlando whisky anzi, nel caso specifico, di scottish whisky meglio noto come schotch. Ma allora che cos’è che compie la magia e trasforma questi ingredienti in una bevanda tanto apprezzata?

In Scozia produrre il whisky è quasi una religione, ovvero la fede negli ingredienti di grande qualità, il tempo, gli walkers, le botti ed il tempo; per chi vive quassù il whisky è la bevanda nazionale e per capire la sua importanza basta usare il suo nome in gaelico, uisge bagh, che letteralmente significa “acqua della vita“. È un’alchimia che si ripete da secoli, ma necessita di grandi competenze tecniche e il lavoro di tanti uomini. Si stima che le distillerie ancora in attività siano oltre 100 e che producano centinaia di varietà di single malt. Scoprire il fascino di questa bevanda non è semplice e necessita di concentrazione e, spesso, di qualcuno che sia in grado di farcela apprezzare al di là delle sensazioni che rimangono in bocca.

Caffè, vaniglia, cacao, arancia, frutti rossi sono solo alcuni delle svariate decine di sentori che si possono apprezzare degustando correttamente ogni bicchiere.
In Scozia,infatti, il vero sport nazionale è imparare a distinguere, tanto per fare un esempio, il whisky dall’aroma di fumo e torba di Islay da quelli dal gusto di fiori e sherry dello Speyside. Così per non arrivare impreparati è bene sapere che quando si parla di single malt si intende un  prodotto realizzato in un’unica distilleria e con una sola qualità di orzo maltato, mentre se si parla di pure malt si indica una miscela di malti diversi provenienti da diverse distillerie; il blended, invece, è una miscela di vari whisky di cereali (60% circa) e di malto (40% circa) provenienti da molte distillerie.
Il sigle malt cattura l’essenza del territorio dove viene prodotto e fatto maturare ed è una miscela unica di acqua, orzo, fumo di torba, botti di quercia e per le distillerie vicine alla costa, anche di aria di mare e sale. Proprio come avviene per il vino la sua unicità è determinata dai fattori di produzione e così come ogni situazione è diversa dall’altra, anche ogni annata varia dall’altra.

La botte è il luogo dove la miscela di ingredienti diventa vero whisky e dove trascorre il tempo necessario per raggiungere la piena maturazione. Essa ha un effetto critico sul prodotto finale e infatti, ciò che più influenza il sapore finale, è il tipo di legno usato nonchè il precedente contenuto della botte.
Pochi sanno che le botti diventano “idonee” per il whisky dopo aver trascorso una precedente vita come alloggio per burbon, sherry, madeira, porto ed altri spiriti.
Per il burbon, per lo sherry ma anche per il madeira, la legislazione dei paesi di produzione impone che una botte possa essere impiegata per una sola volta, di conseguenza le stesse botti vengono rivendute, ricondizionate e reimpiegate per produrre il whisky.
In territorio scozzese, a tal proposito, i puristi si dividono pressoché in due fazioni: una privilegia l’impiego di botti nuove per fare un ottimo prodotto, mentre l’altra sostiene che non possa esserci un buon whisky se prima nella botte non è maturato dello sherry.

La produzione di botti per tutti gli impieghi summenzionati è realizzata proprio da un’azienda scozzese situata nel cuore dello Speyside: la Speyside Cooperage. Qui se ne producono della migliore quercia americana con metodi, utensili e lavorazioni artigianali, plasmate da mastri bottai.
La famiglia che gestisce la fabbrica si occupa personalmente della scelta del legno selezionandolo direttamente in Tennesee, lo fa portare in Scozia, lo trasforma in botti, le spedisce (per lo più) negli Stati Uniti o in Portogallo per la maturazione del Burbon o dello Sherry, ricompra di nuovo le stesse botti, le ricondiziona di nuovo e poi finalmente le cede ai produttori di whisky. La storia di ogni schotch parte infatti dalla ghianda, la quale per diventare quercia da botte impiega almeno 100 anni, poi il legno si occupa almeno per 4 anni di altri spiriti e finalmente sarà pronto per una distilleria scozzese. Dipende però dalla perizia dell’amministratore della distilleria sapere quando il legno e l’alcol di nuova produzione hanno finito di avere ciò che è descritto come la loro ‘conversazione’.

Durante questo periodo infatti si scambiano importanti qualità di sapore e, di conseguenza, la lunghezza di questo ‘scambio’ può variare da botte a botte.
Gli walkers, letteralmente i camminatori, sono i principali artefici dell’affinamento e del sapore finale del whisky, sono così rispettati tanto da essere considerati talvolta vere e proprie star. Infatti dietro alle etichette più note ci sono storie leggendarie di alchimie e magie che solo un distillatore è capace di compiere.
Il whisky è un vero e proprio figlio per loro, tanto che il rispetto si spinge al punto, che i distillatori più conservatori si rifiutano persino di eliminare i funghi neri che invadono le pareti dei magazzini nutrendosi dei vapori prodotti dall’alcool. “Se ci sono, vuol dire che servono anche loro a qualcosa”, si giustificano sorridendo.
Non si tolgono nemmeno le tele di ragno dalle botti, nel timore di poter danneggiare il whisky.

Con il tempo, nel corso dell’invecchiamento, il whisky perde anche il 25% del suo volume ogni dieci anni e il distillatore è tanto più fiero quanto maggiore è la perdita poiché, spiegano, è “la parte degli angeli”. È al distillatore che spetta compiere questa alchimia ed è lui a decidere quando il whisky è pronto per essere imbottigliato. A noi spetta gustare questa prelibatezza, meglio se tagliata (diluita) con uno o due terzi di acqua per apprezzarne fino in fondo ogni aroma.
La Scozia vi aspetta per farvi assaporare la sua storia in un bicchiere e, per usare le parole di Campton Mackenzie, “L’amore fa girare il mondo? Niente affatto! Il wisky lo fa girare due volte più velocemente”.

Testo e foto di Paolo Moressoni

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