Macerata. I pistacoppi dai colli patchwork



Siano essi Italiani o no, c’è una domanda che trova i più impreparati: Quali sono le regioni d’Italia? Tra le mani aperte per il conteggio, sono le solite due o tre che mancano all’appello. Le Marche è una di queste. Questione di notorietà, poca, non tanto di geografia, a cui non è giovato neanche quel Dustin Hoffman che recitava l’Infinito di Leopardi in un italiano americanizzato, sollevando polemiche anche oltreconfine.

Ma in queste Terre di Marca, come nel Medioevo le Popolazioni del Nord-Europa iniziarono a chiamare questa regione divisa in feudi, “Mark” appunto, si trova Macerata, provincia ancora per poco. Il centro storico si arrocca su di un colle (315metri slm), una tradizione consolidata nel territorio costituito per più del 60% da colline il cui stile però è tutto marchigiano. Il lavoro nobilita, il lavoro sfama, il lavoro paga. Il lavoro è tutto. Nelle Marche le mani dell’uomo hanno disegnato anche il suo paesaggio, dove la campagna è tutta organizzata in scacchi, come una grande coperta patchwork. Gli alberi nel tempo hanno fatto spazio ai mezzi agricoli e i campi sembrano disegnati con il righello.

Macerata ha dato i natali a Padre Matteo Ricci. I veri viaggiatori forse avranno sentito parlare di questo Gesuita che nel 1600 è diventato uno dei più grandi missionari della Cina, nonché mente matematica eccelsa. Ricci riuscì a vestire i panni di “mandarino”, cioè letterato e funzionario, alla corte dell’Imperatore cinese a Pechino, città proibita al tempo, dove morì con lo straordinario permesso di esservi sepolto. All’ingresso della città arrivando da Corso Cairoli, si trova lo Sferisterio, un teatro all’aperto dall’acustica notevole e 3000 posti di capienza. Le alte mura lo proteggono. Qui d’estate vengono organizzati eventi quali Musicultura e l’OperaFestival. Ma l’architetto neoclassico Ireneo Aleandri, che lo progettò nel 1823, lo aveva in realtà ideato per il gioco della Palla e Bracciale.

Passando per piazza Mazzini, il mercoledì luogo di mercato, è salendo le “scalette” che si arriva a Piazza della Libertà. Scala dopo scala, ci si rende conto di quanto Macerata sia davvero in collina. Consapevoli che per ogni salita c’è una discesa. L’arrivo porta con sé grandi respiri affannati e la Torre dell’Orologio è sempre troppo alta per riuscire a vedere che ore sono. Questa però con i suoi 64 metri è un ottimo punto panoramico da cui vedere i “coppi” ossia le tegole, in dialetto, della città. Infatti con il nome di “pista-coppi”, in dialetto si intende: i piccioni ma anche il gruppo folkloristico per eccellenza maceratese e i maceratesi stessi. Ai piedi della Torre inoltre, si trova il teatro Lauro Rossi, intitolato all’omonimo musicista maceratese.

Per un un week end o qualche ora d’aria nel verde in fuga dall’ufficio, c’è invece l’Abbadia di Fiastra, vicino Tolentino a 12 km da Macerata città. Quest’Abbazia è il più importante edificio monastico della regione, ma soprattutto ha intorno una vera e propria riserva naturale costituita negli anni ’80 dalla Fondazione Giustiniani-Bandini e la Regione Marche.

Per una buona merenda: pane, ciauscolo e Varnelli. Non c’è altro che un vero marchigiano desideri. Se poi fosse rimasto qualche scacco di vincisgrassi, certo non farebbe male a nessuno. Parole arabe? Parole sante! E purtroppo nessuno dei prodotti menzionati è esportato oltre il confine regionale, se non per poche eccezioni. Tutti validi motivi per varcare la Marca e lasciarsi naufragare tra le ricurve strade, alla scoperta di un tesoro nascosto tra le montagne e il mare.

Testo e foto di Marta Scocco

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